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L’alfabetizzazione dei sentimenti

 |  Redazione Sconfini

 

Oggi la società richiede alle famiglie di precocizzare i tempi di apprendimento dei bambini: gli approcci di riforma scolastica propongono un sistema di organizzazione e

formazione che preveda e privilegi il “far fare molte attività”. Quasi tutti i genitori, anche di bambini che non hanno ancora compiuto tre anni, si sentono in obbligo al pomeriggio di far frequentare corsi di nuoto, di ginnastica, di musica, di lingue e così via. Divisi fra una palestra e un corso di nuoto (perché bisogna crescere con un bel corpo), tra una spiegazione ora sbrigativa ora articolata (perché bisogna diventare intelligenti), i bambini “si organizzano da sé” tutte queste cose con strumenti che non hanno.

 

Cura del corpo, cura dell’intelligenza, ma quanta cura dell’anima e dell’emotività? Padri e madri che promuovono un’educazione fisica e intellettuale, sono altrettanto sensibili all’educazione psicologica?

“Oggi i genitori – risponde Marialuigia Civita, coordinatrice di uno dei nidi del Consorzio Servizi per l’infanzia L’Arca di Trieste – sono molto attenti alla crescita dei loro figli: curano la loro alimentazione, l’igiene, la loro salute, l’aspetto culturale, sportivo; non li fanno mancare giochi e libri che stimolino la loro intelligenza, scelgono con molta cura le scuole alle quali iscriverli. E poi fanno fatica a separarsi da loro e talvolta pensano così di curare anche quella che Galimberti chiama “l’educazione dell’anima”, l’educazione dei sentimenti, delle emozioni, degli entusiasmi, delle paure. Negli ultimi decenni abbiamo sicuramente visto cambiare le modalità di comportamento emotivo dei bambini, sempre più svegli intellettualmente ma con più difficoltà nel mostrare i propri sentimenti, sempre più precoci nell’apprendere ma più fragili e più corazzati nelle relazioni”.

 

altQuanto passa tra genitori e figli di quella comunicazione indiretta per cui si sente “nella pancia”, prima che nella testa, che del padre e della madre ci si può fidare, perché li si avverte al nostro fianco nei primi movimenti un po’ impacciati della vita?

“I bambini sembrano aver acquisito la velocità del mondo che li circonda: sono rapidi nel fare delle connessioni e ancor più nel consumare stimoli e informazioni, mentre sono impreparati a confrontarsi con i luoghi delle emozioni, delle narrazioni. Il mondo emotivo vive dentro al bambino a sua insaputa, come un ospite sconosciuto a cui non sa dare nemmeno un nome. Ma i territori dell’anima non sono solo dentro. Emozione deriva da ex-movere, muovere da: la sua funzione è di mettere in contatto il bambino col mondo, con l’anima delle cose. L’impegno all’educazione affettiva diventa allora quello di costruire ponti tra questi due mondi, di lavorare in direzione di un’educazione di risonanza che aiuti a mantenere un contatto con le emozioni interne. Educare emotivamente equivale a fornire strumenti cognitivi, linguistici, emotivi, abilità sociali con cui nominare, significare, armonizzare, costruire un mondo di eventi e momenti emotivi che accadono dentro la persona e fra le persone. La facilitazione dell’esperienza emotiva, nell’autocoscienza del sé e nella relazione come scontro-incontro con l’altro, diventa obiettivo di un’educazione all’emotività che non tende a comprimere le emozioni ma, piuttosto, a renderle comprensibili, accettabili, nominabili, fruibili e condivisibili da tutti e con chiarezza. L’ambito familiare è certamente il luogo essenziale per lo sviluppo emotivo-affettivo, ma non va trascurato il ruolo importante sostenuto da ogni adulto che vive a contatto con un bambino e in particolare dagli educatori dei nidi e delle scuole dell’infanzia. I bambini imparano dalle nostre risposte al loro disagio che l’emozione ha una direzione e che è possibile passare da sentimenti di intensa tensione, ira, paura a sensazioni di agio e protezione”.

 

Un bambino vive molto presto delle emozioni sotto forma di manifestazioni somatiche: il cuore accelera il battito, il respiro si fa affannoso, si può arrossire, gli occhi si fanno lucidi, ma soltanto le emozioni divenute pensieri si trasformano in sentimenti…

“Le prime manifestazioni emozionali del bambino hanno una forma piuttosto primitiva e si ricollegano alle soddisfazioni dei sensi, all’accoglienza, all’indifferenza o al rifiuto, al benessere oppure a disturbi fisici. Sentimenti questi che possono essere non percepiti da un osservatore esterno ma decisivi per la formazione del neonato in quella che viene definita “fiducia di base”, che è la prima condizione per essere al mondo, senza essere sopraffatti dall’angoscia. Le emozioni di tipo più elevato e sfumato, alle quali si può dare il nome di sentimenti, nascono dalle relazioni che il bambino comincia ad attivare in particolare con la madre: attraverso il continuo scambio emotivo con la madre, impara a parlare delle proprie emozioni e a classificarle. Vivere emozioni e avere qualcuno che le riconosca e dia loro un nome, permette poi di raggiungere una consapevolezza emotiva, saper identificare i propri sentimenti, divenire sensibili alla presenza di emozioni e sentimenti nelle altre persone”.

 

Il bambino piccolo è in grado di scambiare empaticamente emozioni con un’altra persona?

“Certamente, a patto che questa desideri presentarsi emotivamente disponibile verso lui. L’approccio deve essere rispettoso delle diverse realtà infantili, cioè fondato sulla consapevolezza che l’immaturità psichica, fisica e intellettuale fanno parte della naturale struttura del bambino. L’adulto deve necessariamente accettare i ritmi biologici propri di ogni bambino: c’è chi cresce più in fretta, chi più tardi, e l’ansia di avere a tutti i costi un figlio “maturo” può far perdere di vista l’armonia del suo sviluppo e soffocare le sue potenzialità”.

 

L’analfabetismo emotivo dei bambini nasce dal timore che sentimenti come il disagio, la solitudine, la paura, la rabbia e l’impotenza non siano accettati e ascoltati dagli adulti?

“Noi insegniamo ai nostri bambini a comprendere le classificazioni degli animali, delle piante, quelle grammaticali, e purtroppo non insegniamo loro a distinguere e valorizzare i diversi sentimenti, conoscenza fondamentale per la crescita mentale, culturale, sociale. E capita sempre più spesso di incontrare adolescenti che sembrano del tutto impermeabili a ciò che accade intorno a loro, bambini anche molto piccoli che inibiscono le loro emozioni, anche le più profonde e coinvolgenti come riso e pianto. L’indifferenza emotiva presente negli adolescenti sempre più spesso, li lascia assolutamente privi di emozioni in presenza di fatti a cui assistono o a gesti compiuti. Gli effetti di immaturità affettiva o analfabetismo emotivo sono l’incapacità ad esprimere sentimenti positivi come simpatia e gratitudine, l’apatia morale con mancanza di rimorsi o sensi di colpa: sono condotte che portano a comportamenti antisociali realizzati con freddezza e indifferenza”.

 

L’analfabetismo degli adulti è ancora più radicato e profondo?

“Si pensa che le emozioni sono espressione di debolezza, di inferiorità e di scarso autocontrollo razionale… d’altro canto l’alfabetizzazione emotiva non è ancora un obiettivo della nostra società, ma educatori e insegnanti dovrebbero iniziare a sentire la necessità primaria di formazioni che puntino maggiormente “all’ascolto” che “al fare”. È necessario che la scuola si popoli di professori (e in molti casi già ce ne sono) che sappiano parlare non solo con la classe, ma con i singoli studenti, che sappiano seguirne i percorsi di vita, che non si appellino all’indolenza o alla cattiva volontà dei ragazzi, perché sanno che la volontà non esiste al di fuori dell’interesse, che l’interesse non esiste separato dal legame emotivo, che il legame emotivo non si costruisce quando il rapporto tra professore e studente è un rapporto di reciproca diffidenza, quando non di assoluta incomprensione”.

 

È frequente vedere genitori e nonni che ritengono di aiutare il bambino tenendolo lontano da tutto ciò che non è felicità, gioia, allegria, talora confondendolo e facendogli vivere sentimenti d’amore e generosità quando quello che lui sente è rabbia e aggressività.

“Ascoltare il bambino e comprendere le sue emozioni non significa che si debba permettere lo sfogo a tutti gli impulsi che le emozioni suggeriscono. Il ruolo dell’adulto è quello di far capire il limite, il confine, di comprendere i suoi sentimenti e di rassicurarlo sul temuto potenziale distruttivo di questi. Occorre perciò passare tanto tempo con i figli, parlando con loro, ascoltandoli, non lasciandoli soli con un eccessivo carico emozionale e senza l’importante strumento di contenimento che solo chi ama come un genitore può dare”.

Ignazia Zanzi

 


In collaborazione con Help! 

 

 


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