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C’è tempo per diventare adulti

 |  Redazione Sconfini

Tutte le culture riconoscono che la prima infanzia è un periodo della vita tutto speciale (sin dal suo inizio richiede risposte precise e soddisfacenti ai bisogni dei bambini) e che devono essere garantite attenzioni, cure e disponibilità particolari per sostenere e sollecitare il personale sviluppo cognitivo, affettivo ed emotivo del bambino.

 

La nostra realtà sociale registra, con un tasso inferiore ad altre medie europee ma pur sempre significativo, che sempre più bambini sono affidati ad altre figure di riferimento (strutture istituzionalizzate come asili nido e scuole materne, baby sitter o nonni) per molte ore ogni giorno, sin dai primi anni d’età. Molti studi pedagogici confermano che questa realtà non è in sé affatto negativa per lo sviluppo e la crescita dei bambini: se l’ambiente è stimolante ed accogliente, l’evoluzione psico-motoria, l’apprendimento e lo sviluppo della socialità, lo sviluppo emotivo saranno equilibrati. Il problema che si pone, in modo non sempre esplicito ma non per questo meno sollecito, è l’equilibrio fra il tempo passato con le altre figure di riferimento e quello con la mamma o il papà, ossia la disponibilità e la qualità di tempo genitoriale dedicato ai figli.

 

I complessi cambiamenti sociali registrati in questi anni hanno indotto in modo pressante nei nuclei familiari e in particolare nei bambini, più emotivamente esposti, dei meccanismi di cambiamento e adattamento che non sempre rispettano e favoriscono la serenità di piccoli e adulti. “Da oltre vent’anni mi occupo di bambini – afferma la dottoressa Federica Seghini, operatrice e pedagogista del Consorzio Servizi per l’infanzia L’Arca di Trieste – e da questo osservatorio ho assistito a profondi cambiamenti nella società, nei nuclei familiari e parentali, nei bambini stessi. Noi registriamo, con sempre maggiore frequenza ed intensità, un generale stato di “affanno” delle famiglie e forse soprattutto delle madri (stato che in taluni casi può assumere caratteristiche di grande fatica) nel conciliare la professione esterna, il lavoro domestico e una disponibilità ai bisogni dei bambini realmente corrispondente alle loro esigenze, ai loro ritmi, alle loro fasi evolutive”. “Questa difficoltà nel conciliare i diversi tempi della quotidianità – aggiunge – vede alcune volte come conseguenza più diretta un senso di inadeguatezza, dei sensi di colpa per le assenze che muovono a inconsce richieste di adeguatezza dei bambini alle nostre presenze”.

 

I versi di una poesia di J. Korczack recitano: “Dite: / è faticoso frequentare i bambini. Avete ragione. / Poi aggiungete: / bisogna mettersi al loro livello, / abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli. / Ora avete torto. / Non è questo che più stanca. / è piuttosto il fatto di essere obbligati ad / innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. / Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. / Per non ferirli”.

 

La stanchezza e le energie esaurite, i ritmi incalzanti di una società che privilegia e premia la prestazione standard medio-alta, imponaltgono ruoli, riferimenti e valori confusi ai bambini senza offrire forme organizzative, culturali e comportamentali adeguatamente rinnovate.

 

“Le mamme – spiega la dottoressa Seghini – sono attente, consapevoli delle difficoltà attuali di conciliare le loro legittime aspirazioni professionali senza abdicare alla vocazione genitoriale e si trovano spesso oberate da una serie di responsabilità alle quali in genere non si vogliono sottrarre. Scatta allora a volte, inconsciamente, la richiesta di essere esse stesse supportate, sgravate dal ruolo di cura adeguata alla reale fase di vita del bambino, sollecitando un’acquisizione di autonomia da parte del figlio, tanto più precoce quanto più ben accetta. Si richiede ai piccoli di dare prestazioni “nella norma” senza rispetto dei loro ritmi di sviluppo, si incoraggiano ad essere competenti oltre la loro età anagrafica, a produrre risultati da esibire quasi a trofeo o conferma delle proprie competenze genitoriali. Si chiede molto spesso di essere diversi da quello che sono, gratificandoli se bruciano le tappe, se reagiscono bene alle difficoltà, sottovalutando che più si presta (noi adulti) tempo e disponibilità alle loro esigenze più essi saranno nel futuro emotivamente solidi e impareranno ad avere fiducia in sé stessi, nelle loro capacità adeguatamente conquistate”. “Involontariamente – conclude – stiamo allevando una generazione di bambini estremamente competenti e pronti nel saper fare ma terribilmente fragili nella sfera emotiva, nel loro essere”.

 

Insomma, bisogna lasciare ai bambini il tempo di essere senza chiedere troppo di fare, di diventare troppo presto uomini e donne. È forse il momento per riflettere, l’occasione per chiarire le priorità, le vocazioni e le aspirazioni, per ripensare alla propria organizzazione familiare, per conciliare più consapevoli scelte di vita che siano più efficaci per una migliore qualità di vita personale e sociale, nostre e dei nostri figli.

Ignazia Zanzi

 


In collaborazione con Help! 

 

 


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