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Una vita spezzata

 |  Redazione Sconfini

Intervenire nelle situazioni di violenza alle donne è diventata un'emergenza di carattere sociale e sanitario per la nostra società: in molti casi la donna è incapace di difendersi in modo appropriato e non possiede i mezzi adatti per contrastare l'aggressività.

Il maltrattamento perpetrato alle donne è molte volte sottovalutato, ma fortunatamente alcune organizzazioni si sono attivate per correre ai ripari e cercare di porre un rimedio a quanto accade: centri antiviolenza, consultori dell'azienda sanitaria e servizi sociali comunali si stanno adoperando per combattere il fenomeno, offrendo il loro aiuto per difendere i diritti e garantire la tutela delle parti offese.

 

È indiscutibile che il danno arrecato è grande e che le susseguenti problematiche di carattere psicologico devono essere affrontate con mezzi idonei e da personale preparato. Solitamente siamo portati a ritenere che la violenza sia solo fisica, quando invece è bene ricordare che ogni eccesso di potere e controllo che comporti un sopruso è da considerarsi una violenza. Pensiamo alle violenze psicologiche in cui è l'identità della donna ad essere colpita, o al maltrattamento persecutorio che si presenta quando una donna cerca di allontanarsi da un rapporto che ritiene pericoloso e la controparte reagisce con dei comportamenti che minano la sua indipendenza e autonomia. Queste tipologie di maltrattamento in uguale misura possono causare problemi di non poco conto alla donna, indebolendola, impedendole di vivere la propria vita e di prendere le decisioni più giuste. Tra l'altro, rammentiamo che questi eventi possono essere esterni alla famiglia, ma possono anche avvenire tra le mura domestiche, dove spesso è lo stesso convivente ad essere l'artefice di quanto sta accadendo.

 

La difficoltà a palesare la propria condizione è da ricercare nel costante senso di colpa in cui la vittima vive, indotto dalla persona violenta che la sminuisce con offese e minacce per spingerla a comportarsi in un certo modo. È difficile esternare il proprio stato d'animo quando per troppo tempo è stato castrato, impedendogli di venir fuori. Aiutare a portare a galla il vissuto è di fondamentale importanza. Da qui sarà possibile ricostruire e ripercorrere ciò che si è vissuto in modo così traumatico.

 

I supporti offerti sono di vario tipo e si differenziano a seconda di quello che è stato compromesso. È molto importante offrire il proprio ascolto, ma molte volte ciò non basta e si rende indispensabile anche un idoneo supporto psicologico per favorire il manifestare dei propri sentimenti, molte volte contrastanti, e delle proprie angosce.

 

Ricordiamo che la violenza segue delle tappe: a un periodo caratterizzato da episodi in cui la violenza la fa da padrona segue il periodo delle scuse e del perdono, tanto che la donna è portata a ritenere che quanto ha vissuto non succederà mai più. Sfortunatamente però, passato un breve periodo di tempo, gli episodi aggressivi iniziano nuovamente. È una spirale quella in cui la donna si trova intrappolata, e le pause tra un episodio e l'altro diminuiscono sempre più. Molte volte, troppe, la persona offesa è indotta a non uscirne per paura, orgoglio, senso di colpa e inadeguatezza causati dalla situazione. Le caratteristiche stesse del ciclo della violenza conducono a non dare troppo peso a ciò che è successo e sperare sempre che l'incubo prima o poi finirà.

 

C'è la paura di essere giudicata, ritenuta non idonea alla stima degli altri, è un dolore nascosto. La difficoltà ad estrinsecare la propria interiorità nasce da un'esigenza profonda, dalla dipendenza economica, dalla paura di rompere il nucleo familiare; e se c'è un figlio, tutto si aggrava maggiormente. Togliere il padre alla propria prole è ciò che si cerca di evitare sempre, anche se la situazione non offre vie di scampo.

 

Quasi sempre in queste situazioni il modello comportamentale offerto al figlio è fuorviante e potrà originare nel futuro dei comportamenti deviati, in cui gli atti di forza al prossimo saranno considerati leciti. Inoltre, la letteratura più recente considera gli atti di violenza domestica come una vera e propria forma di sopruso all'infanzia che produce gli stessi esiti lesivi di un maltrattamento direttamente subito.

 

Le richieste di aiuto possono avvenire in diversi modi, e anche se il senso di colpa generato rende difficile raccontare il proprio vissuto, in alcuni casi, soprattutto quando i fenomeni aumentano nel tempo e quando la sofferenza dei figli inizia ad esprimersi, è la donna stessa a non volere più spingersi oltre e a chiedere aiuto. Altre volte, invece, è il ripetuto rivolgersi alla struttura sanitaria che fa scattare la denuncia: fratture, contusioni o altri episodi di origine traumatica insospettiscono il personale medico che, qualora sia sensibilizzato e preparato ad affrontare il problema, avvia le procedure del caso (una prognosi del medico superiore a 21 giorni implica l'obbligo di referto e la conseguente querela d'ufficio).

 

Anche le persone vicine alla donna maltrattata possono giocare un ruolo determinante nelle procedure di intervento per sanare una situazione già compromessa o che si sta deteriorando. Molte volte, infatti, sono gli amici o i genitori che si accorgono di qualcosa che non va bene nella vita privata della persona cara e si rivolgono ad una struttura di competenza per segnalare l'accaduto e chiedere aiuto.

 

Abbandonare il nucleo abitativo è molte volte di fondamentale importanza per fronteggiare l'emergenza ed evitare più gravi prepotenze. Alcune strutture offrono la possibilità di essere ospitate in assoluta riservatezza, senza che vi siano intrusioni di persone che possano nuocere all'incolumità fisica e psichica della donna ospitata. La donna maltrattata ha bisogno di sentirsi compresa da chi le sta accanto e soprattutto protetta. Niente e nessuno potrà restituirle quello che ha perso, ma sicuramente sarà possibile impedire che quanto le è successo accada di nuovo. 

Paolo Baldassi

 

 
In collaborazione con Help!

 

  


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