Caffè: degustarlo è proprio un gran piacere
“Il fatto che la pianta non possa essere coltivata a latitudini diverse – spiega la dottoressa Sabrina Di Santolo, tecnologa alimentare – rende indispensabile che il prodotto sia facilmente conservabile e trasportabile: la bacca di caffè, infatti, si presta bene al commercio mentre, una volta tostata, deperisce facilmente. Questo comporta che i produttori siano costretti ad esportare il prodotto agricolo senza l’inventivo a creare proprie strutture di torrefazione”.
Rispetto al passato, la qualità è decisamente migliorata grazie alle tecniche di produzione in campo, al metodo di raccolta e alle nuove tecniche di torrefazione.
> Raccolto ed estrazione dei semi
I frutti vengono raccolti in piena maturazione, quando sono di colore rosso vivo, secondo due modalità: il picking, ossia la raccolta manuale solo dei frutti maturi e sani, staccati a mano uno ad uno dalla pianta (metodo lento e costoso); lo stripping, che prevede di strappare dal ramo tutte le “ciliegie” quando il livello di maturazione è soddisfacente (metodo veloce ma meno accurato, che dà un prodotto qualitativamente inferiore).
Per evitare fenomeni di deterioramento, a pochi giorni dalla raccolta i semi devono essere estratti dal frutto, eliminando polpa e pellicola. “Anche per questa fase – chiarisce la tecnologa alimentare – esistono due metodi: a secco oppure a umido. Il primo è il più economico, dà origine al “caffè naturale” e consiste nel far essiccare le bacche che poi vengono destinate a macchine sgusciatrici; l’essiccamento può avvenire lentamente al sole oppure in essiccatoi con aria a 45-60 °C. Il secondo metodo, a umido o ad acqua, è destinato alle varietà di caffè più pregiate e consente di ottenere i caffè lavati o milds. In questo caso le bacche vengono lasciate macerare in grossi serbatoi di acqua e poi passate in una macchina depolpatrice che spacca i frutti; i semi, ancora ricoperti parzialmente dalla polpa, subiscono un processo di fermentazione in apposite vasche; successivamente sono lavati e puliti dalla polpa residua, asciugati, al sole o all’aria, e destinati alle fasi di “beneficiamento” che ne migliorano l’aspetto ed eliminano impurità e residui di pellicola”.
A questo punto i chicchi vengono selezionati e suddivisi in funzione delle dimensioni (calibratura), quindi inviati alla fase di tostatura. In funzione delle dimensioni, i chicchi si suddividono in grana grossa, grana media, grana fine e caracolito (chicchi rotondeggianti, presenti solitamente all’apice della pianta).
> Torrefazione
La torrefazione o tostatura rappresenta una significativa mutazione dei chicchi di caffè dovuta all’azione del calore: si ha variazione del colore, diminuzione del peso, aumento di volume ed acquisizione delle componenti aromatiche.
Le modificazioni legate alla temperatura sono le seguenti: a 50 °C avviene la trasformazione del tessuto dei chicchi, a 60-70 °C iniziano a perdere acqua, a 100 °C prendono un colore dorato che diviene sempre più bruno con l’aumentare della temperatura, oltre i 150-180 °C i chicchi diventano di colore marrone e lucidi, a 200-240 °C si formano le molecole aromatiche. Terminata la tostatura è necessario raffreddare rapidamente i chicchi per “catturare” all’interno le sostanze profumate.
“La tostatura – spiega la dottoressa Di Santolo – è un procedimento antico: sembra che gli Arabi lo usassero già all’inizio del 1400. Le tecniche di torrefazione si sono evolute, a partire dai contenitori. Si è passati da recipienti “rustici” come pietra, terracotta, pentolini, a contenitori metallici (durante l’industrializzazione) di forma sferica o cilindrica in cui i chicchi venivano fatti abbrustolire per 30-40 minuti e poi versati su tavole di marmo per farli raffreddare. Attualmente si utilizzano moderni impianti totalmente computerizzati, nei quali i chicchi arrivano dopo un’attenta selezione, sempre totalmente automatizzata, che permette l’eliminazione dei pezzi più grossi, più leggeri o difettosi, nonché di qualsiasi parte estranea. La lavorazione dei chicchi avviene in macchine tostatrici ad aria forzata che in pochi minuti arrostiscono uniformemente il prodotto: i chicchi galleggiano e ruotano grazie al flusso d’aria e non toccano le pareti metalliche surriscaldate. Tempi e grado di tostatura sono gestiti dal computer, in modo da effettuare la tostatura ideale in funzione della tipologia di prodotto che arriva”.
> Miscela
“Mescolare diverse varietà di caffè – evidenzia la tecnologa alimentare – permette di integrare ed esaltare le caratteristiche di ognuna di esse, al fine di creare una miscela che soddisfi le esigenze di gusto del consumatore. È possibile anche ottenere miscele con diversa percentuale di caffeina e quindi caffè da destinare a specifiche ore della giornata: quelle con meno caffeina sono più adatte alla degustazione pomeridiana o serale. La miscela può essere fatta con il seme crudo prima della torrefazione o dopo la torrefazione. È importante il confezionamento sottovuoto, al fine di preservare intatte le caratteristiche sensoriali del prodotto”.
> Proprietà del caffè
Dal punto di vista alimentare, l’elemento distintivo del caffè è legato alla presenza della caffeina visto e considerato che tale bevanda, se non zuccherata, è praticamente priva di calorie: una tazzina di caffè amaro contiene circa 2 calorie, una tazzina di caffè amaro macchiato con latte ne contiene 10, mentre un caffè con un cucchiaino di zucchero apporta circa 20 calorie.
Il contenuto in caffeina dipende dalla varietà utilizzata e dal metodo di preparazione: è piuttosto basso nel caffè solubile, intermedio nell’espresso, elevato nel caffè prodotto con la moka tradizionale e massimo nel caffè non filtrato. La caffeina è una sostanza che stimola il sistema nervoso centrale e la contrazione del muscolo cardiaco: assunta a piccole dosi svolge un’azione tonica, mentre in dosi eccessive può provocare palpitazioni, tachicardie ed extrasistoli.
Il caffè ha un’azione diuretica, accelera il metabolismo ed aiuta a digerire in quanto stimola la produzione di saliva e di succhi gastrici. È controindicato in caso di gastrite, ulcera, nevrosi, cardiopatia, tachicardia ed aritmia.
Angelica Pellarini
ALCUNI MODI DI PREPARARE UN CAFFE'
> Caffè alla francese o a infusione
Risale al 1771. Si fa bollire l’acqua in un recipiente metallico col beccuccio, la si versa in un altro recipiente e nel bricco caldo si mette qualche cucchiaio di caffè (10 g per tazza) macinato medio; poi si versa l’acqua bollente sul caffè e si mescola. Si lascia in infusione per pochi minuti e si filtra con un colino a trama fitta.
> Caffè alla turca
Tipico in Turchia, Grecia e Medio Oriente, si fa utilizzando l’ibrik, un piccolo contenitore in metallo (ottone o rame zincato). Si mette nell’ibrik lo zucchero necessario per una tazzina, si aggiunge acqua (100 ml per ogni tazzina), si mette il bricco sul fuoco fino a quando bolle l’acqua. Poi si toglie dal fuoco e si aggiunge il caffè (ben tostato e macinato finissimo), si mescola e si rimette a bollire il contenuto del bricco. Quando risulta schiumoso, si toglie dal fuoco, si mescola e si attende che la schiuma scenda, si rimette sul fuoco e si ripetono le operazioni per altre due volte. Per bere si attende che i fondi si depositino oppure, come da tradizione araba, si beve con le particelle in sospensione.
> Caffè bollito
Tipico dei Paesi scandinavi, si fa bollire acqua e caffè (macinato grosso e poco tostato) per circa 10 minuti: 10 g di caffè per 150/190 ml di acqua. Quando bolle si toglie dal fuoco e si versa nelle tazze senza filtrare. Si lascia per qualche minuto depositare la polvere e poi si beve.
> Caffè all’americana
Diffuso negli Usa e nei Paesi anglosassoni, servono una brocca di vetro resistente al calore, un filtro ed alcuni sacchetti-filtro di carta o stoffa. Si riscalda la brocca prima di far cadere lentamente l’acqua bollente sul filtro contenente il caffè (5-6 g di caffè per 150-190 ml di acqua). Quando tutto il liquido è passato nella brocca, si toglie il filtro e si serve. Esistono apposite macchinette che sostituiscono questa modalità piuttosto casalinga di preparare il caffè all’americana.
> Caffè alla napoletana
Si chiama così quello preparato con l’apposita caffettiera composta da due cilindri, divisi da un filtro a cestello, nel quale si mette il caffè macinato. Si mette acqua nella parte inferiore, si avvita e si colloca sul fuoco. Quando l’acqua bolle, si toglie dal fuoco, si capovolge in modo che l’acqua calda scorra attraverso il caffè e vada a finire nel contenitore col beccuccio.
> Caffè con la moka
La classica moka è costituita da una caldaia per l’acqua, un filtro metallico che contiene il caffè e un recipiente in alto che raccoglie il caffè bollente. Le regole per un buon caffè con la moka sono poche ma importanti. La prima prevede un’accurata scelta della miscela e una macinatura ad hoc: se si preferisce un caffè dolce è bene usare miscele di Arabica, mentre per un caffè corposo si deve utilizzare una miscela di Arabica e Robusta; la miglior macinatura è la medio-fine (se macinato grosso il caffè non trasmette l’aroma, se troppo fine può dare sentore di bruciato). In secondo luogo bisogna utilizzare un’acqua idonea: non clorata e non dura, altrimenti si altera l’aroma del caffè. Dosi: 6-7 g di caffè in polvere (2 cucchiaini da caffè per ogni tazza, che corrispondono a 50 chicchi per ogni tazza) e 40-50 ml di acqua. La terza regola, infine, impone un corretto uso della caffettiera: il caffè va messo raso senza comprimere; quando escono le prime gocce, si deve abbassare la fiamma in modo da dare il tempo all’acqua di estrarre tutte le sostanze aromatiche dalla polvere di caffè (1 minuto circa) e poi spegnere subito il gas perché la bevanda non deve mai bollire; il caffè avanzato infine va riscaldato a bagnomaria, non su fuoco diretto (si può usare anche il microonde). Un’ultima raccomandazione suggerita dal galateo: versare il caffè in tazzine preriscaldate e riempite per 2/3, sempre accompagnate dal loro piattino.