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Lo sbaglio è figlio dell’ignoranza

 |  Redazione Sconfini

Per amare bisogna conoscere l’oggetto del nostro sentimento. E questo riguarda tanto le relazioni personali, quanto gli interessi di tipo culturale. Di fatto andare a vedere un’esposizione di quadri conoscendo qualcosa sull’estetica dell’artista, ci permette di apprezzare maggiormente le tele. Allora possiamo applicare questo concetto anche ad altri ambiti. In particolare, quando si decide di compiere un acquisto importante, è bene avere quantomeno un’infarinatura a riguardo, sia per godere appieno della qualità dell’oggetto comprato, sia per evitare di fare una spesa sbagliata. Eviteremo cosìalt di acquistare automobili di terza mano, credendole appena uscite dalla fabbrica, o appartamenti senza impianti elettrici, pensandoli costruiti a norma di legge.

 

Paradossi a parte, il ragionamento è assolutamente valido quando abbiamo intenzione di acquistare un diamante, e, perché no, anche quando lo riceviamo in dono: per apprezzarlo ed essere certi di pagarlo il giusto prezzo dobbiamo imparare a conoscerlo. Diventa allora fondamentale avere la certezza, nel momento della scelta, di essersi affidati a chi è effettivamente competente.

 

Uno dei criteri che si possono suggerire è cercare un rivenditore dalla lunga esperienza. Va da sé che l’essere presenti sul mercato da anni garantisce già sull’operato del professionista. Abbiamo quindi individuato la gioielleria triestina Gold Emotion, per cercare di saperne di più. Franco Blasi, da più di vent’anni titolare della gioielleria, non si stanca mai di ripetere che uno dei momenti più importanti nella compravendita di un diamante è l’esibizione del certificato. “Di fatto – spiega Blasi – esistono numerosi istituti che emettono certificazioni, tuttavia bisogna stare molto attenti: molti di questi infatti, pur essendo assolutamente legali, hanno alle spalle un’azienda produttrice di diamanti. Questo può ragionevolmente destare sospetti sull’imparzialità dei dati”.

 

Tuttavia vediamo nel dettaglio in cosa consistono questi certificati. Innanzitutto il loro scopo è quello di fornire l’identità del diamante stesso. “Ogni pietra estratta dai filoni di kimberlite o lamproite – sottolinea il titolare della gioielleria – è diversa dalle altre. In particolare ogni diamante possiede al suo interno piccole tracce di carbonio o piccoli cristalli di diversa natura rimasti imprigionati durante il processo di cristallizzazione. Queste disomogeneità strutturali sono considerate impronte naturali e identificano la pietra tanto quanto le impronte digitali individuano gli esseri umani”. Proprio dall’individuazione del numero delle inclusioni, questo il nome tecnico, dal loro colore, dalla loro dimensione e dalla loro relativa posizione viene a determinarsi la purezza del diamante, una delle caratteristiche che viene indicata nel certificato. La purezza, in inglese clarity, entra quindi nell’elenco delle quattro “c” (cut, colour, clarity, carat weight) che danno il valore oggettivo del diamante.

 

Questa prima osservazione ci dà il destro per fare alcune riflessioni. “Innanzitutto – sostiene Blasi – il gioielliere deve non solo esibire il certificato al potenziale acquirente, ma deve anche essere molto chiaro ed esauriente nella spiegazione di ogni singola voce. Per esempio (e questa è la seconda osservazione, ndr) deve ben spiegare che la purezza, al di là del comune pensare, non è l’elemento più importante per la determinazione del valore della pietra”. Possibile? Tutti finora abbiamo creduto che avere un diamante puro fosse il non plus ultra.

 

Tra le quattro “c” sopra citate, quella principale e che in misura importante influisce sulla bellezza del diamante è il cut, ovvero il taglio. “È infatti – conferma Blasi – il sapiente lavoro del tagliatore che consente alla pietra di sviluppare le propria potenziale brillantezza. Quando un diamante è tagliato correttamente, la luce viene rifratta e dispersa al suo interno e, come tale, viene successivamente riflessa da una facciata all’altra del padiglione, fino a giungere all’esterno della pietra attraverso la corona e la tavola, sottoforma di luce bianca. Ecco perché se il taglio è impreciso o comunque non eseguito a regola d’arte – conclude – succede che parte della luce si perde dopo la prima riflessione all’interno. È il caso che si verifica, per esempio, quando il padiglione è troppo profondo”.

 

La magia del diamante che, secondo la tradizione, era presente sulla punta della freccia che Cupido indirizzava al cuore di chi improvvisamente cadeva nelle delizie e nei patimenti dell’amore, è inoltre determinata dal colore (colour), che misura il grado di avvicinamento del diamante all’assenza del colore totale, e dai carati (carat), unità di misura del peso della pietra. Se il momento in cui riceviamo o doniamo un diamante è indimenticabile, allora cerchiamo innanzitutto di non scordarci l’importanza di queste quattro “c”, ad imperitura memoria.

T.B.

 


In collaborazione con Help!

 

 


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