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Come nasce il progetto di un ambiente?

 |  Redazione Sconfini

Siamo ciò che appariamo. L’immagine è tutto. Detto così, chiunque può arguire che l’abito non fa il monaco e che è la sostanza che vince sull’esteriorità. Ma proviamo a deporre gli occhiali del luogo comune di montesquiana memoria e guardiamo l’abito come una forma di comunicazione di noi stessi o, meglio, come il tentativo, a volte consapevole a volte meno, che facciamo ogni giorno per raccontarci agli altri. Ecco allora che l’abito indossato vuole semplicemente fornire un codice di accesso al nostro modo di essere e, quindi, permettere una relazione.

 

E se accettiamo questo modo di vedere, possiamo spingerci più in là. Allora anche lo spazio dove viviamo diviene libro che narra la nostra storia, i nostri pensieri, la nostra persona. Ci deve altpur essere una corrispondenza tra il nostro mondo interiore e quello che di noi stessi offriamo agli altri! Non è pertanto un’operazione banale o solamente consumistica la costruzione dell’ambiente nel quale sul far della sera ci rintaneremo o nel quale accoglieremo gli amici. Ma se davvero è tutto così pregnante e significativo, vuol dire che, come per avere l’abito su misura andiamo dal sarto, così per avere la casa cucita addosso dovremo rivolgerci a chi ha una competenza specifica.

 

“Essere designer d’interni – afferma Sergio Marassi, designer e responsabile del negozio La Gabbia di Trieste – vuol dire essere innanzitutto capaci di penetrare la psicologia dell’individuo. Bisogna parlare molto con le persone che desiderano arredare la propria casa, è necessario comprenderle, al di là delle contraddizioni apparenti”. Come riuscire in questo? “Non è semplice – riprende Marassi – anche perché spesso ci si ritrova ad affrontare situazioni delicate e, senza urtare la sensibilità altrui, bisogna saper compiere una corretta valutazione e dare indicazioni serie e professionali. È il caso, per fare un esempio, di coloro che hanno un’improvvisa voglia di cambiamento e che volgono dal classico al moderno, transitando da una posizione estrema all’altra. Allora il professionista deve saper cogliere quanto sia effettivo e profondo il mutamento di gusto e quanto invece questo sia il frutto di un estemporaneo desiderio di novità”. Già perché a questo punto il paragone con l’abito non regge più: se il tailleur posso permettermi di indossarlo solo nella primavera-estate di un anno, la mia stanza da letto e il mio soggiorno sono destinati a durare ben più di una stagione.

 

Ecco allora quanto è importante non sbagliare, quanto è importante rivolgersi a qualcuno di cui ci si fida. “Il cliente ideale – spiega Marassi – è colui che si affida completamente al designer: porta una planimetria della casa, consegna le chiavi e dà libero accesso all’abitazione”. Nasce in un momento preciso il progetto di un ambiente, esattamente quando si varca la soglia della casa e ci si trova immersi nelle sensazioni che essa suscita, e si viene colpiti dalla luce che dalle finestre penetra o dalla penombra che anima gli angoli nascosti. Come spiegare la creatività? “È molto difficile – risponde il designer – ma è certo fondamentale avere questo talento per poter tradurre attraverso la costruzione di uno spazio quello che a parole non si riesce a dire e che viene dettato dalle sensazioni”. Già perché le sensazioni esistono e parlano, si esprimono con un linguaggio loro, non meno vero e non meno importante di quello delle parole pronunciate ad alta voce.

 

Luce, si diceva: ecco uno dei punti cardine da cui tutto parte per progettare un ambiente. Niente di nuovo allora perché, a ben pensarci, la creazione del mondo fu proprio sancita dall’arrivo della luce. C’è allora qualcosa di antico, qualcosa di primordiale che fa sì che anche nella realizzazione di uno spazio quotidiano sia ancora questo antico elemento ad apparire prioritario. E, dopo la luce, arrivano le superfici, pavimenti e pareti, che non possono e non devono essere intese come semplici barriere contenitive di un ambiente: anch’esse parlano, racchiudono lo spazio e insieme lo completano, come in un abbraccio.

 

Solamente dopo aver lavorato su luci e superfici si può volgere l’attenzione ai mobili da inserire in soggiorno, in cucina, in camera da letto. E poi, ancora, ci sono i complementi di arredo, come si è soliti chiamare quei dettagli che dettagli non sono. Le tende oggi, per esempio, sono sempre più importanti percalthé danno colore, perché filtrano la luce oppure concludono uno spazio. Allora progettare è anche soffermarsi sui particolari che ci faranno compagnia giorno per giorno nella routinaria quotidianità.

 

Non ci sono regole inoppugnabili quando si crea uno spazio – sottolinea Marassi – ma questo non significa che non siano necessarie competenze tecniche, anzi”. Poi senz’altro un ruolo importante è giocato dal gusto estetico, dalla soggettività del progettista… e il discorso si complica e si finisce con l’indagare il significato che sottostà ad ognuna delle numerosissime scelte che il designer compie nel presentare un progetto al cliente. C’è chi ama rompere gli stereotipi. “Il tavolo del soggiorno – esemplifica Marassi – normalmente ha il punto luce collocato al centro: ma quanto più bello è il lampadario leggermente spostato da un lato!”.

 

Rompere gli schemi precostituiti rende possibile qualcosa di straordinario: si tratta, infatti, di un’operazione stimolante che previene il soporifero già visto, che poi non si nota neanche più. Introdurre qualcosa di imprevedibile, di non scontato, senza ovviamente cadere negli eccessi che altrettanto possono stancare, vuol dire consentire a noi stessi di guardare ogni giorno la nostra cucina, il nostro spazio quotidiano. Di guardarlo, appunto, non di vederlo. Ed è in virtù di una costante attenzione ai significati sottostanti ogni particolare che arreda, che si riesce a rendere vissuto uno spazio nostro e solo nostro. Non ci potrà mai essere un progetto passe-partout, per tutte le stagioni, perché ogni uomo è diverso e ha una storia diversa, unica e irripetibile.

Tiziana Benedetti

 


In collaborazione con Help! 

 

 


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