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È giusto pagare la borsa della spesa?

 |  Redazione Sconfini

Vorrei capire perché io consumatore, ogni volta che mi reco in un supermercato, sono obbligato a pagare 3, 4 o addirittura 5 centesimi per il sacchetto di plastica dove poi metto la spesa. Se il sacchetto in questione fosse bianco, senza scritte, sarebbe anche giusto pagarlo, poiché è comunque un prodotto; ma trovo invece inaccettabile pagare una borsa di plastica con stampata sopra la pubblicità dello stesso supermercato, il quale in tale ipotesi, per assurdo, dovrebbe essere lui a pagare me come testimonial visto che porto in giro il suo marchio facendogli indirettamente pubblicità. E poi in qualsiasi altro esercizio, per qualsiasi altro prodotto acquistato (vestiti, scarpe, profumi, libri, cd musicali, lampadine), il sacchetto con il nome del negozio mi viene fornito sempre gratuitamente. E allora perché mai nei supermercati lo devo pagare? Mi posso rifiutare di farlo?

Lettera firmata

 

Si afferma da sempre che la pubblicità sia l’anima del commercio, e ciò è tanto più vero se rapportato ai tempi attuali caratterizzati da un mercato sicuramente in fase di “stanca” per una palese indisponibilità di danaro da parte del consumatore medio, che prudentemente indirizza i suoi acquisti sui cosiddetti beni di prima necessità, riducendo quelli cosiddetti voluttuari.

 

La pubblicità, quindi, deve diventare il più possibile efficace attraverso anche una capillarità sicuramente in più casi “ossessiva”. Proprio in tale ottica, il distributore finale (nel caso specifico molti supermercati) non disdegna di pubblicizzare il proprio marchio – stampigliandolo spesso corredato da qualche slogan suadente – sulle buste di plastica che vengono consegnate all’atto del pagamento della merce.

 

Il quesito del lettore è fondato ed interessante perché è indubbio che con questo sistema il supermercato in questione rende capillare la promozione del suo marchio, “usando” letteralmente il suo cliente come vero e proprio veicolo pubblicitario, in quanto la busta marchiata, una volta uscita dal supermercato, percorre le vie cittadine, raggiunge le case, spesso (se non sempre) ritorna in circolazione come contenitore per altra merce od oggetti di casa del consumatore, raddoppiando quindi l’efficacia della diffusione del logo del supermercato.

 

Tutto questo è ben noto ai gestori di supermercati, e pertanto non vi è alcuno di questi (ma ciò vale anche per il piccolo distributore) che rinunci a questo veicolo di promozione, però – per ciò che si andrà a dire – con modalità diverse.

 

Invero molti distributori commerciali offrono la busta della spesa con il loro logo impresso del tutto gratuitamente, ben consapevoli che tale “gratuità” è solamente virtuale, in quanto nei ricarichi del prezzo al consumatore del singolo prodotto, vi è percentualmente presente anche il costo pro quota della pubblicità rappresentata dalla produzione e stampa della busta.

 

Altri distributori, al contrario, gravano il servizio reso al consualtmatore (la messa a disposizione di una busta per contenere la merce acquistata) di una somma sicuramente irrisoria, ma che comunque rappresenta un qualcosa di non dovuto, proprio in base a quanto sopra evidenziato. Infatti, partendo dal presupposto che il costo della busta sia già ampiamente ed opportunamente ricaricato sul prezzo finale del prodotto acquistato, ne deriva che qualunque cifra a qualunque titolo sia chiesta per la disponibilità della busta rappresenta sicuramente – a mio avviso – un atteggiamento censurabile sia in fatto che in diritto.

 

In effetti il vantaggio rappresentato dalla pubblicità capillare che la circolazione della busta della spesa rappresenta, dovrebbe già indurre il venditore a ritenersi “pagato” per i costi sostenuti, costi – si badi bene – che per quanto sopra detto sono già comunque sicuramente pagati dal ricarico sul prezzo finale del bene acquistato. Si potrà quindi ravvisare in questo caso – a mio parere – un vero e proprio indebito arricchimento così come previsto dal vigente Codice Civile all’art. 2041, il cui dettato prevede che “chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, ad indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”.

 

È evidente quindi che il lettore sicuramente potrebbe rivolgersi al Tribunale, esponendo il fatto lamentato e chiedendo che questo accerti l’effettivo indebito arricchimento del supermercato, condannando quest’ultimo alla restituzione di quanto non dovuto, gravato anche delle spese legali anticipate.

 

Una considerazione pratica però non può essere elusa, riportandomi a quanto più volte espresso in questa rubrica: ovverosia valutare sempre il rapporto fra costi e benefici. Indubbiamente nel caso specifico, a fronte di pochi centesimi di euro da recuperare, vi è la fondata ipotesi di dover soggiacere a spese legali da anticipare e tempi certamente non brevi per avere una pronuncia a favore.

 

Pertanto, al lettore lascio doverosamente l’ultima parola sul da farsi, suggerendo però un’altra strada, ovverosia quella di farsi capofila di un certo numero di consumatori che intendano azionare lo stesso diritto, e quindi proponendo un’azione collettiva, con il vantaggio di dare più “forza” alla stessa, ed una suddivisione pro quota dei relativi costi, fermo restando che questi, in caso di sentenza favorevole, saranno rimborsati di ogni spesa.

 

Marcello Giordano, avvocato

 

 

In collaborazione con Help!

 

 


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