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I disturbi del comportamento alimentare

 |  Redazione Sconfini

 

Si mangia con la bocca, ma è la mente che sceglie quando, cosa e quanto mangiare. Questa serie di azioni accompagnate da sensazioni, sentimenti, ricordi, emozioni, definiscono il comportamento alimentare di ogni individuo.

 

Come ogni comportamento anche quello alimentare si può facilmente alterare: gravi e rischiose possono essere quelle forme di disturbi alimentari che colpiscono molteplici soggetti, prevalentemente donne, quando non siano tempestivamente riconosciute e adeguatamente trattate o sottaciute e sottostimate. Il fatto che un'alterata condotta alimentare colpisca prevalentemente il comportamento femminile trova una parziale spiegazione nel fatto che "l'identità femminile" è da sempre in relazione con l'aspetto fisico. A questo dato se ne aggiungono altri: l'insoddisfazione della propria immagine corporea, la non accettazione di sé, le possibili conseguenze psicologiche a volte devastanti e certo degne di maggiore attenzione scientifica e sociale. Controllare quotidianamente il proprio peso, digiunare fino alla fame per poi perdere il controllo, ingerire in pochi minuti fino a 5.000 calorie, e poi correre a vomitare tutto: sono comportamenti che, se ripetuti, determinano una patologia che rientra tra i disturbi alimentari. I disturbi più noti sono l'anoressia e la bulimia; a questi si aggiunge anche il Binge Eating Disorder, letteralmente cedere alla tentazione di mangiare.

 

L'anoressia nervosa si presenta quasi esclusivamente nelle donne, prevalentemente nell'adolescenza. Nei soggetti che ne sono affetti si evidenziano un'incontrollata paura di acquisire peso, un rifiuto di mantenere il peso al di sopra del minimo per l'età e l'altezza, una percezione distorta dell'immagine corporea con intensa e immotivata paura di essere "grasse", rifiutando di ammettere la propria reale magrezza. È caratterizzata da una condotta alimentare restrittiva, se non dal digiuno totale: il corpo compensa questo comportamento riducendo ogni perdita, comprese le mestruazioni. Le complicanze mediche conseguenti alla malnutrizione, se il disturbo si fa grave e non viene trattato, possono far sopraggiungere la morte. Se ne riconoscono due tipi: l'anoressia nervosa restrittiva e quella con abbuffate e condotte eliminatorie.

 

La bulimia è caratterizzata dall'impulso irrefrenabile ad assumere cibo e da tentativi di limitare l'introito calorico. Il comportamento alimentare, differentemente da quello anoressico, è un susseguirsi di "abbuffate" in cui si assumono grandi quantità di cibo in poco tempo e durante le quali si perde il controllo, con la sensazione di non potersi fermare; a queste sono intervallati tentativi di restrizione seguiti da comportamenti compensatori (vomito autoindotto) funzionali alla necessità di "svuotarsi", anche attraverso lassativi o un'attività fisica prolungata e dispendiosa. Se ne riconoscono due tipi: la bulimia nervosa con condotte di svuotamento (vomito autoindotto, uso e abuso di lassativi e diuretici) e la bulimia senza condotte di svuotamento. Più frequente tra le donne, la bulimia ha conseguenze fisiche e organiche solitamente meno drammatiche di quelle dell'anoressia, generalmente senza modificazioni rilevanti del peso corporeo.

 

Con l'espressione Binge Eating Disorder si indica una sindrome caratterizzata da episodi di frequenti abbuffate, senza successive condotte di eliminazione. altÈ più distribuita tra i sessi: per tutti i soggetti la perdita di controllo sulla quantità e qualità del cibo diventa pressoché totale, e conseguentemente può portare a un aumento di peso fino a una vera e propria obesità. Il paziente usa il cibo come valvola di sfogo per rabbia e frustrazione, ma le abbuffate compulsive non fanno che peggiorare il senso di sofferenza e disagio, evidenziando un'accertata relazione circolare tra i disturbi del comportamento alimentare e le dimensioni depressive e d'ansia dei disturbi affettivi.

 

Di questi problemi si è ampiamente illustrato in una recente conferenza tenutasi a Trieste dal titolo: "Immagine corporea e patologie psichiatriche. I disturbi del comportamento alimentare". Relatore il dottor Emanuel Mian, ricercatore sui temi dell'immagine corporea e autore di un recente testo ("Specchi", viaggio all'interno dell'immagine corporea) che tratta questi argomenti. La conferenza, che aveva lo scopo di sensibilizzare su questo variegato quadro patologico, con nuove emergenze preoccupanti, e di informare su metodi preventivi, di diagnosi e terapie, ha registrato la presenza interessata di un vasto pubblico composto di clinici e non solo. Non è passata inosservata l'assenza imbarazzante delle varie "agenzie" educative e delle forze politiche e istituzionali triestini e regionali, che hanno così confermato il disinteresse e la non sensibilità verso un problema che investe i giovani e che vede la nostra Regione senza un osservatorio, un piano di sensibilizzazione e di sedi di diagnosi e cura adeguate. I rappresentanti e i dirigenti degli istituti scolastici giuliani hanno anch'essi disertato in massa l'appuntamento e rifiutato quasi unanimemente un progetto di educazione su queste patologie creato e indirizzato ai giovani studenti triestini. Al relatore Emanuel Mian abbiamo rivolto alcune domande.

 

Quanto è diffuso il fenomeno dei disturbi alimentari e quali sono le età più a rischio?

"In Italia sono oltre 2 milioni i ragazzi tra i 12 e i 25 anni che soffrono di anoressia e bulimia nervosa. Il rapporto maschi/femmine è di 1 a 9 per l'anoressia e di 1 a 20 per la bulimia. In termini di percentuale nel nostro Paese lo 0,8% della popolazione femminile soffre di anoressia e circa il 3% è affetta da bulimia. Non si deve sottacere che disinformazione, incapacità o vergogna di ammettere il problema, sono alcuni fra i motivi che fanno sì che questi dati siano purtroppo in difetto. Solitamente l'anoressia si presenta all'inizio dell'adolescenza mentre la bulimia raggiunge il picco massimo di casi intorno ai 18-19 anni, gli anni che segnano il passaggio dall'adolescenza all'età matura. Oggi esiste anche un insorgere tardivo del disturbo anoressico, che non si presenta più esclusivamente in soggetti di sesso femminile ma, anche se in numero molto minore, pure in quelli di sesso maschile. Li colpisce in un'età compresa fra i 14 e i 30 anni: ha come costante la percezione errata e visualmente ingannevole del proprio corpo, inteso come grasso e pesante".

 

Ci sono delle caratteristiche comuni nei percorsi mentali e nelle personalità di questi pazienti?

"Nella mia esperienza ho avuto spesso la percezione che in molti di loro azioni, pensieri, sentimenti, non originino dentro di sé ma riflettano passivamente aspettative e richieste esterne, fino a diventare una presenza incombente nella loro vita. In molti casi di giovani donne anoressiche, è riscontrabile una tendenza a una vita marcatamente tendente alla perfezione: sono studiose, ordinate e precise in tutto. Una vita attiva e zelante è un sistema per bruciare calorie senza destare troppo l'attenzione di parenti e amici che, anzi, nella fase iniziale se ne compiacciono. In tutti gli stadi della malattia, lo stato emotivo va di pari passo con il calo ponderale: non sono gli eventi quotidiani a costituire motivo di gioia o dolore ma solo il responso della bilancia. Non si perde mai peso a sufficienza e l'insoddisfazione che ne deriva per il risultato mancato fa cadere in depressione. Depressione che è l'atto finale di tutti questi disturbi ma che gioca sempre un ruolo primario nella dinamica patologica".

 

Quali sono i segnali ai quali bisogna prestare attenzione?

"I segnali che devono indurre al sospetto vanno dall'inadeguata assunzione di cibo, intervallata a volte da abbuffate, alla paura non solo del cibo ma anche dei luoghi dove esso è presente (cucina, centri commerciali, ristoranti, ecc.), all'uso di un particolare abbigliamento atto a confondere le proprie forme corporee. Diventa poi palese la perdita di peso, la sensazione di freddo è onnipresente ed obbliga alcune ragazze anoressiche a vestirsi con maglioni pesanti in piena estate; vertigini e svenimenti fanno parte del quadro clinico. L'autostima è determinata a seconda di cosa si mangia o meglio non si mangia. Col passare del tempo ci si chiude in se stessi e si tende a evitare qualsiasi contatto esterno o evento socializzante".

 

Quali conseguenze fisiche, fisiologiche e ormonali si determinano?

"In molti casi il fisico, dopo un lungo periodo di anoressia, rimane irrimediabilmente segnato. Le complicanze mediche, nelle situazioni più disperate, come le cronache documentano, possono portare alla morte. Il sottopeso riduce la massa del muscolo cardiaco con conseguente arresto dello stesso. Gli squilibri glicemici ed elettrolitici dovuti al vomito o all'uso improprio e continuato di lassativi possono pregiudicare la funzionalità renale. Il vomito autoindotto e reiterato produce pericolose lacerazioni ad esofago e intestino. L'erosione dentale comporta la conseguente carie. Nelle donne l'assenza di ciclo mestruale è una costante che, se protratta a lungo, può essere causa di infertilità permanente".

 

La consapevolezza è il primo passo per risalire la china?

"Le patologie derivanti da un'alimentazione errata sono diffuse e condizionano pesantemente la vita di chi ne è colpito. Bisogna chiedersi qual è il fattore scatenante che porta una persona sana a diventare anoressica, bulimica o a spingerla ad alimentarsi in forma incontrollata. Un cambiamento del modo di mangiare è all'origine di domande sul proprio aspetto, e altrettanto un cambiamento del nostro stato d'animo, verso l'ansia o la depressione, si riflette inevitabilmente sull'appetito. È un'esperienza comune. L'adulto che segue una condotta alimentare sbagliata è più facilmente consapevole e responsabile, un adolescente no e quindi deve essere sostenuto dalla famiglia e anche aiutato a identificare, riconoscere e ammettere i segni di un disturbo del comportamento che non si vuole ammettere (bisogna monitorare nella dimensione più psicologica)".

 

Sulle cause di queste patologie non esistono dati certi, ma il mondo scientifico le identifica in una multifattorialità (famiglia, ambiente, relazioni interpersonali). La gestione terapeutica dopo la diagnosi è altrettanto complessa?

"Allo stato attuale è importantissima la sensibilizzazione sociale in generale e degli specialisti in particolare, per fare emergere il problema nella sua gravità senza colpevoli sottovalutazioni. Lo strumento diagnostico, ovvero l'esame clinico affidato e condotto da specialisti in centri specializzati che purtroppo nel nostro territorio regionale non sono identificabili, è  il primo passo di un percorso terapeutico e riabilitativo complesso e personalizzato. Tanto più la diagnosi è precoce, tanto più il percorso terapeutico avrà la possibilità di essere efficace, combattendo, adeguatamente sostenuti, le proprie debolezze per riguadagnare in buona parte il benessere, fino a riappropriarsi della propria vita".

 

Ci piace, infine, citare alcune indicazioni (come i manuali di buoni consigli medici riassumevano in spoglie formule ricche di contenuti) mediate da chi quotidianamente si occupa di queste patologie: se la sede della causa è nella mente, si cominci a cercarla dov'è; se esiste uno strumento diagnostico valido, si usi; se la cura comincia prima, il danno sarà minore e migliore il risultato; se esiste rischio di morte, è giustificato ogni intervento per evitarlo.

 

Ignazia Zanzi

 

 

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