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Autismo: quali sono le speranze per gli “stranieri dell’ultima frontiera”?

 |  Redazione Sconfini

1 su 167: questa, secondo i dati rilasciati dal Center for Disease Control and Prevention, sarebbe l’incidenza dei disturbi dello spettro dell’autismo negli Stati Uniti.

È la più recente e completa indagine epidemiologica condotta finora, e di nuovo si è parlato di epidemia dell’autismo. Questo corrisponde al vero?

 

La maggior parte della comunità scientifica nega che vi siano reali e documentabili aumenti di cause: la crescita dei casi diagnosticati sarebbe giustificata dalla maggiore attenzione posta dai medici, dagli educatori, dalle famiglie e dalla giusta applicazione dei criteri diagnostici. I dati sulla prevalenza dell’autismo nella popolazione mondiale riferiscono di un rapporto di 10-30 casi ogni 10.000 persone (Fonbonne 2003). È un dato significativo che segnala un’incidenza elevata, che non giustifica la convinzione, ancora molto diffusa, che l’autismo sia una sindrome rara. Questa ambiguità sulla diffusione nasce da una serie di ragioni: la variabilità dello spettro autistico e delle sindromi connesse, l’esordio subdolo e indefinito, la difficoltà della diagnosi precoce e corretta, l’eziologia ancora in gran parte misteriosa. L’autismo e i disordini dello spettro autistico, come ad esempio la sindrome di Asperger, sono delle condizioni pervasive del neurosviluppo, di natura neurobiologica e le cui origini non sono del tutto chiarite, che vengono diagnosticate secondo dei manuali utilizzati per le malattie mentali: ICD10 (O.M.S. 1993) e DSM IV (American Psychiatric Association).

 

La comparsa dei sintomi si manifesta entro i primi tre anni di vita e colpisce prevalentemente i maschi (quattro su cinque) con una serie di modificazioni clinicamente caratterizzate da compromissione della relazione sociale reciproca, attività e interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati, evitamento oculare, alterata capacità immaginativa e del gioco simbolico, scarsa autonomia e minima o assente capacità di prendere iniziative, riduzione o assenza dalla capacità comunicativa, spesso iperacusia e/o scarsa rielaborazione degli stimoli uditivi. Queste caratteristiche centrali, che riflettono le osservazioni originali dello psichiatra Leo Kanner nel 1943, identificano un gruppo estremamente eterogeneo di bambini e adulti la cui variabilità neurologica e cognitiva può spaziare dal grave ritardo mentale a quozienti intellettivi di molto superiori alla media, che giustificano poi le diagnosi di autismo a basso o alto funzionamento. Infatti alcuni soggetti possono avere particolari abilità ad esempio nel calcolo e nella memorizzazione; in alcuni possono essere presenti deficit a stimoli sensoriali che per la maggior parte delle persone risultano indifferenti o piacevoli e che possono far percepire all’autistico certi suoni, luci, odori come insopportabili. Le forme meno gravi di autismo, comportando meno menomazione e consentendo a volte originalità di pensiero, di talento artistico, letterario, emotivo, ripropongono la questione della variabilità genetica del danno autistico, comenulla è regalato nell'autismo, ma tutto si deve conquistare, apprendere ed imparare l’osservazione clinica e la ricerca sembrano sempre più confermare. Questa è la tesi di Temple Granding, professoressa alla Colorado State University e figura esemplare di adulto autistico di successo negli USA, autrice di “Pensare in immagini e altre testimonianze della mia vita di autistica”.

 

Le conoscenze in merito a questo disturbo si sono modificate in modo drammatico nelle ultime due decadi (Italia compresa, seppure in abissale ritardo culturale e scientifico). Il dibattito si è sviluppato sia in termini di nuove acquisizioni, che di collaborazioni e confronto fra università, servizi, istituzioni e famiglie che su questa patologia gravemente invalidante tendono a finalizzare le loro iniziative. Tuttavia, a 60 anni dall’individualizzazione da parte di Kanner, persistono ancora incertezze in termini di eziologia, quadro clinico, diagnosi, prese in carico, evoluzione a lungo termine.

 

L’autismo si configura come una disabilità “permanente” che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit globale e sociale assumono un’espressività variabile nel tempo. Nell’enorme variabilità sintomatologica alcune indicazioni, che riassumono il cambiamento culturale avvenuto e da perseverare, possono trasformare la diagnosi invalidante per tutta la vita in opportunità per bambini e ragazzi autistici di migliorare fortemente le loro performance fino ad arrivare a vivere una vita degna. E queste si riassumono nell’utilizzo di adeguati strumenti diagnostici, di valutazione e diagnosi precoce del disturbo autistico; nella conoscenza teorica e pratica dell’autismo da parte delle famiglie e degli operatori (assistenti sociali, educatori, insegnanti, docenti universitari); nell’uso di metodologie educative e specificatamente messe a punto per il soggetto autistico nell’ambito familiare e scolastico; nel coordinamento fra le agenzie e i servizi socio-assistenziali e educativi coinvolti nel trattamento.

 

Seppure a volte difficile, la diagnosi precoce, identificando i segnali di rischio di alterato sviluppo comunicativo-relazionale, entro il secondo anno di vita e un intervento tempestivo possono migliorare sensibilmente la qualità della vita della persona autistica e della famiglia, permettendo la programmazione immediata di un percorso educativo personalizzato, mirato alle potenzialità del bambino e alla qualità futura delle sue capacità adattive.

 

Sul fronte degli interventi e trattamenti si è assistito e si assiste ad una vera e propria “battaglia ideologica” che riflette le incertezze delle cause, la variabilità delle performance sulle quali si inseriscono i fattori ambientali che ne determinano la maggiore o minore complessità clinica. Dall’interpretazione del non compianto Bruno Bettelheim che addebitava “la chiusura del bambino” alla gelida mancanza di affetto della madre “frigorifero” e proponeva l’allontanamento dal nucleo familiare e l’istituzionalizzazione come terapia ortogenica, bisogna arrivare al 1974 perché il Dr. C.H. Delecato avanzasse l’ipotesi del danno organico come causa dell’autismo e proponesse una terapia d’integrazione sensoriale per “lo straniero dell’ultima frontiera”. Attualmente le terapie cognitivo-comportamentali ABA (Applied Behavioural Analysis) e TEACCH (Treatment and Education of Autistic and Communication Handicapped Children), eseguite il più precocemente possibile e nel modo più intensivo possibile, sono riconosciute come i trattamenti che possono produrre cambiamenti determinanti, documentati e duraturi in molti, non tutti, bambini e ragazzi.

 

Non esistono purtroppo terapie valide per tutti e infallibili, e l’Italia è ancora carente rispetto al confronto internazionale. Vi è incertezza fra terapie collaudate ma considerate obsolete, come psicomotricità e psicoterapia, e il caos di interventi generici, poco o nulla documentati, oppure oggetto di speculazioni fra “guru” e terapisti di opposte fazioni. Di fronte a trattamenti biochimici, farmacoterapia, portage, holding, A.I.T. (Auditory Integration Therapy), musicoterapia, pet-therapy, comunicazione facilitata e comunicazione aumentativa, soppressioni o restrizioni dietetiche di caseinati e glutine, i genitori si trovano nell’angosciosa e drammatica incertezza su cosa scegliere per i loro bambini, che solo l’attivazione di “parent training” può risolvere fornendo alle famiglie le basi per gestire la scelta congiunta e più opportuna per il proprio figlio.

 

“Nessuno ha diritti d’autore sull’autismo: esisteva molto prima che gli fosse assegnata una definizione, molto prima che sorgessero istituzioni benefiche o organizzazioni per occuparsene, molto prima che scrivessero libri o si girassero film sull’argomento…”, scrive Donna Williams nel suo libro “Il mio e il loro autismo”, itinerario tra le ombre e i colori dell’ultima frontiera, testimonianza che è una miniera di suggerimenti, soluzioni, strumenti preziosi per genitori e professionisti.

 

Diversi studi comparati concordano nell’assegnare a cause genetiche un ruolo importante nell’eziologia dell’autismo: a tutt’oggi non è stata identificata nessuna specifica ed esclusiva locazione cromosomica, ma attraverso studi su famiglie in cui la condizione è ricorrente, sono stati individuati alcuni possibili candidati. Altri studi hanno messo in relazione le vaccinazioni pediatriche e fenomeni di “autismo regressivo” senza avere conferme scientifiche inequivocabili. Un filone di ricerca neurobiologica, recente e particolarmente interessante, propone il sistema dei neuroni a specchio come una possibile chiave nella comprensione di questa enigmatica sindrome. I neuroni a specchio consentono, nelle scimmie e nell’uomo, di comprendere le intenzioni altrui attivando le medesime zone nella corteccia cerebrale che sono attive in chi sta seguendo un’azione. Tutto ciò rappresenta la chiave di volta dell’imitazione, che nell’autismo è gravemente compromessa, e probabilmente anche dei giochi di simulazione, finzione e altre modalità di intelligenza sociale. Un’ipofunzione o disfunzione del sistema dei neuroni a specchio compromette gravemente la comprensione dell’agire altrui, la relazione, la comunicazione. È probabile, pertanto, che abbia un ruolo importante nel divenire dei disturbi dello spettro autistico.

 

È con l’intento di dare reali speranze ai bambini autistici e di scongiurare il dilagare della “fabbrica delle illusioni” che è nato un progetto promosso dalla Fondazione Smith Kline che si avvarrà del supporto di 18 centri di ricerca sparsi su tutto il nostro territorio nazionale. Il progetto, presentato al Ministero della Salute nel mese di ottobre, avrà il centro coordinatore a Verona dove si raccoglierà il DNA dei pazienti e dei loro familiari all’interno di una “Banca dati biologici e clinici”. L’obiettivo a cui i ricercatori guardano con molta fiducia è quello di “definire le cause della malattia e individuarne possibili cure”; inoltre, nel giro dei prossimo mesi si conta già di poter effettuare i primi studi sulla genetica della malattia.

Ignazia Zanzi

 

 
In collaborazione con Help!

 

 


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