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Itis: un esempio di concreta integrazione con il territorio

 |  Redazione Sconfini

“Attraversare la piccola storia dell’Itis è attraversare la grande storia di Trieste”. Così si è espressa la ricercatrice universitaria Annalisa Di Fant per illustrare il suo lavoro di analisi e studio dell’archivio dell’Istituto triestino per interventi sociali. Le origini di questa istituzione infatti risalgono al 1810, allorché un gruppo di cittadini benestanti filantropi, tra i quali Domenico Rossetti, elaborarono un progetto per realizzare un istituto di lavoro e beneficenza. Ma fu alla fine dell’anno seguente che coloro che vivevano in uno stato di povertà trovarono ricovero presso l’edificio ex caserma ed ex Lazzaretto nuovo, in zona corso Cavour. Inizialmente questo spazio di accoglienza non era destinato soltanto agli anziani bensì anche ai giovani, ai quali veniva data la possibilità, qualora il fisico lo consentisse loro, di apprendere un mestiere, grazie alle scuole di lavoro interne.

 

Per comprendere il perché della sensibilità nei confronti delle persone che versavano in condizioni di povertà, bisogna ricordare che in quegli anni Trieste viveva una difficile crisi economica e quindi il numero di mendicanti e di vagabondi andava aumentando in misura significativa. A questo si aggiunga una riflessione sulla mentalità dei promotori dell’iniziativa: benestanti e, come si direbbe oggi, un po’ snob provavano fastidio nell’incontrare lungo le loro passeggiate persone malconce e con la mano tesa nel tentativo di racimolare qualche centesimo per sopravvivere. L’ideologia paternalistica e volta al controllo sociale dava come conseguenza adito a veri e propri atti repressivi: i mendicanti spesso venivano trascinati all’interno dell’edificio benefico con la forza. Ancora è bene riflettere sul fatto che nell’Ottocento non esisteva il problema anziani: altre erano infatti la concezione e la struttura della famiglia, che, normalmente, accoglieva in casa i propri vecchi. Molto numerosi erano invece gli orfani.

 

Data 1862 il nuovo Istituto dei poveri, realizzato in contrada Chiadino nella sede ancora attuale, sia pur ristrutturata, dell’Itis. Giovani, invalidi e anziani indigenti e privi del sostegno familiare erano gli ospiti della struttura del XIX secolo. Dopo la prima guerra mondiale, in base alla legge Crispi del 1890, questa istituzione venne trasformata in un’Ipab, cioè un’Istituzione pubblica di assistenza e beneficenza, pur conservando un forte legame con i privati. Erano infatti le elargizioni e i lasciti della cittadinanza a contribuire significativamente al mantenimento dell’Ipab triestino. In epoca fascista, con l’istituzione degli Eca, si rese possibile un’unica gestione amministrativa per Ipab e fondazioni.

 

Nel 1963 nasce formalmente la Regione Friuli Venezia Giulia, che comincia ad operare l’anno successivo; l’Istituto triestino dei poveri diventa Itis e assume la finalità di assistere gli anziani con lo statuto approvato dalla Regione nel 1976. Negli anni Settanta, infatti, il problema della cura di coloro che appartengono alla terza età diventa problema sociale. Facendo un salto a piè pari nella storia, arriviamo al 2005, anno in cui avviene la trasformazione da Ipab in Azienda di servizi alla persona, ovvero Asp. L’Itis può dunque operare con criteri di imprenditorialità, pur mantenendo la natura pubblica e l’assenza di fini di lucro.

 

La finalità prevalente è l’assistenza agli anziani, in termini di prevenzione, riabilitazione, sostegno domiciliare e, qualora non siano percorribili altre soluzioni, ricovero. Ne parliamo con il presidente, Elio Palmieri. “Oggi – spiega – l’Itis collabora e partecipa al sistema integrato di interventi e servizi sociali tanto pubblici quanto privati, in particolare attraverso il piano di zona del Comune. L’obiettivo finale è riuscire a rispondere adeguatamente alle reali esigenze dei cittadini. In quest’ottica vanno lette le molteplici attività in corso, dai centri diurni, uno dei quali accoglie anziani affetti da disturbo cognitivo, alla casa albergo, all’aiuto domiciliare e ai servizi residenziali. Vengono poi promossi momenti culturali e ludico-ricreativi, sfruttando d’estate anche l’accogliente giardino interno al comprensorio. Tali iniziative, aperte alla cittadinanza oltre che agli ospiti e ai loro familiari, consentono l’integrazione con il territorio, superando la vecchia logica del contenitore avulso dalla realtà circostante. Stiamo inoltre lavorando a un progetto molto importante: la realizzazione di un condominio solidale in un edificio di via Manzoni. Si tratta di una forma di abitare autonomo, ma collegato a servizi, per soggetti a rischio o parzialmente non autosufficienti, che potranno anche convivere, nello stesso stabile ma in appartamenti separati, con i loro familiari. Presso l’Itis l’anziano può essere accolto anche per un periodo limitato o con il cosiddetto modulo sollievo, per cui il congiunto che lo assiste può concedersi una breve vacanza per ricaricarsi dalle fatiche e dallo stress che simili problemi comportano”.

 

“L’Itis – sottolinea in conclusione Palmieri – intende promuovere e sviluppare, in raccordo con gli altri enti ed organizzazioni del territorio, un modello di welfare basato sulla personalizzazione ed appropriatezza degli interventi, sulla valutazione della loro efficacia, sulla professionalità degli operatori e soprattutto sulla dignità della persona anziana, da considerare anche nelle sue potenzialità e risorse per la comunità”.

Tiziana Benedetti

 


In collaborazione con Help! 

 

 


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