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Come natura vuole? Il ruolo delle donne

 |  Redazione Sconfini

Nascere donna e avere un ruolo nel proprio ambito, nel sociale, nella vita. Un ruolo si interpreta, si assume: attenendosi a regole e aspettative stabilite socialmente, spesso percepite come imposte, estranee, subite. Ruolo è un termine inflazionato, utilizzato soprattutto in chiave sociologica, in realtà è mediato da un francesismo e dal mondo teatrale: deriva dal latino rotulus, il foglio arrotolato dal quale gli attori leggevano le battute.


Niente di nuovo: il ruolo sociale in ogni società ed epoca indica quel codice di comportamenti attribuiti e quelle aspettative attese da un individuo proprio in virtù della posizione e status. Uno stato si riveste, il ruolo si interpreta, più o meno liberamente. Si può scegliere di uniformarsi o di non corrispondere alle aspettative di ruolo: in toto o in parte anche in base al grado di coercizione associato alle aspettative stesse rispetto alle proprie, rispetto a un concetto di emancipazione personale e collettiva genericamente intesa. L’attribuzione delle aspettative di ruolo da sempre ha avuto la funzione di rendere prevedibili i comportamenti delle persone, facilitandone la lettura dei contesti e delle situazioni, ma anche quella di controllo sociale. Inesorabilmente disattendere il ruolo preordinato, anche quando non si traduce formalmente in “censura” o sanzione, genera tensione con l’ordine e il controllo sociale.


Forse fra tutti l’attribuzione del ruolo di genere è stato per secoli quello che più pesantemente ha inciso sui rapporti di potere esistenti, sull’accesso e la partecipazione ai processi decisionali, ai benefici o meno che ne derivano. La riflessione sulle differenze sessuali e sui ruoli attribuiti a donne e uomini, ha avuto grande attenzione nel mondo occidentale grazie all’influenza e all’analisi esercitate dal movimento femminista a cominciare dagli anni ’60 e, seppure con minore vigore e originalità, continuano ancora.


Nell’ambito del corso di perfezionamento e aggiornamento professionale “Donne, politica e istituzioni”, l’Università di Trieste ha avuto recentemente in programma il convegno dal titolo “Come natura vuole? Il altruolo delle donne”. Ampio e articolato è stato l’apporto a questo tema, infatti la ricerca si è sviluppata da diverse prospettive: sociologica, storica, religiosa, medica, biologica.


Per una certa analisi la situazione di svantaggio della donna è spiegabile in termini di sviluppo fisico e differenze biologiche. La disuguaglianza è la conseguenza della minore forza fisica della donna e della vulnerabilità connessa al ruolo materno. Cettina Militello, direttrice della cattedra “Donne e Cristianesimo” presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum di Roma, si è sforzata di offrire una lettura di genere del cattolicesimo oltre il ruolo riproduttivo della donna ma considerando anche la produzione culturale. A questa analisi si è aggiunto il contributo che Liliana Ferrari, dell’Università di Trieste, ha offerto ripercorrendo l’azione delle donne nell’Azione Cattolica, organizzazione che nella seconda metà degli anni ’60 aveva circa due milioni di aderenti; a queste donne, un programma ambizioso e pragmatico aveva assegnato una “missione” forte che non è stata disattesa, quella di fare numeri, raccogliere fondi e proseliti, come segni tangibili di fede e devozione.


Molti i tentativi spesi nel convegno a distinguere il dato biologico dall’elemento educativo e culturale, socialmente costruito. Il rapporto è complesso e non ancora risolto. È innegabile che in termini strutturali e ormonali i due sessi hanno predisposizioni ben differenziate, ma la rigidità e la grande distanza tra le attribuzioni di ruolo riservate alle donne e agli uomini è spiegabile solo se si considera la rilevanza della componente sociale e culturale. Fin da piccoli a femmine e maschi vengono offerti (e finiscono per preferire) giocattoli e giochi diversi. Crescendo queste differenze tra i sessi si riflettono sulle scelte scolastiche o lavorative. Ma siamo davvero così diversi, e se lo siamo, perché? È la natura o la cultura a determinare queste differenze?


Il processo di differenziazione sessuale, che trasforma l’embrione in femmina o maschio, inizia grazie a fattori innati ma è portato a termine dagli ormoni. Non si hanno le idee altrettanto chiare sulle cause che determinano altre differenze, come quelle cognitive, ma le ricerche più recenti mostrano che si sono ridotte notevolmente negli ultimi decenni, soprattutto nei Paesi con una maggiore equità tra i sessi. “Allora, non solo natura?”, si è chiesta Raffaella Rumiati, della Sissa di Trieste, autrice anche di un testo su questo tema (“Donne e uomini. Si nasce o si diventa?”). Nella sostanza “il sistema di ruoli finisce per condizionare la vita e il destino”, ha ricordato la professoressa Teresa Tonchia della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Trieste. Essere donna (come essere disabile, essere extracomunitario, giusto per citare altri stati svantaggiati) rende generalmente più difficoltoso l’accesso ai ruoli considerati prestigiosi e, talvolta, anche il riconoscimento dei propri diritti.


Mai conoscerà la prosperità il popolo che affidi i suoi interessi ad una donna”: la citazione di Lucia Sorbera, docente dell’Università di Milano, svela in pieno quello che è il rapporto fra concetto di genere, cultura e potere negli Islam(s) contemporanei. La prospettiva di genere è stata introdotta nel mondo arabo dalla storiografa femminista Fatema Mernissi dai cui elaborati si rende evidente come l’esclusione delle donne dal potere sia più frutto di vicende storiche che di precetti religiosi. Le parole hanno una storia e in arabo non esistono termini femminili per indicare certe cariche istituzionali e di prestigio. “Ma sarebbe pretestuoso l’uso del rapporto democrazia e diritti umani per questi Paesi secondo le categorie politiche e di genere dell’Occidente. È l’analisi della condizione femminile che dà la possibilità di una lettura più interessante dei femminismi islamici, intenzionalmente declinati al plurale, per comprendere la diversificazione e la ricchezza dei fermenti presenti in Africa, in Asia, negli Usa e dai quali ci si può aspettare novità”. Secondo alcuni le discriminazioni di genere sarebbero se non ingenerate almeno perpetuate delle donne stesse, dalle loro scelte di vita più o meno consapevoli.


Interrogarsi sulle aspettative di ruolo nei confronti delle donne ha offerto complessivamente lo spunto per riflettere sulla natura delle cose: su ciò che è dato biologicamente e va accettato, integrato come parte di sé, e ciò che, in quanto costruzione sociale capace di ingenerare svantaggio, può e deve essere modificato. Dopo i percorsi d’autocoscienza degli anni ’60-’70 l’elaborazione femminista ha subito uno stop deciso. Il consumismo imperante con tutti i suoi input è una grandissima minaccia all’elaborazione di un’alternativa sociale originale che offra prospettive alle giovani donne, non solo libere da modelli e condizionamenti di ruolo vecchi, ma purtroppo anche da pregiudizi nuovissimi.

 

Ignazia Zanzi


In collaborazione con Help!


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