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Adozioni internazionali (parte I): genitori sotto esame

 |  Redazione Sconfini

Ogni anno in Italia tante coppie decidono di intraprendere il lungo e non facile cammino necessario per diventare genitori adottivi. Da un punto di vista burocratico, le cose non sono poi così complicate: basta rivolgersi al Tribunale dei minori e presentare la domanda di adozione, oltre ad una serie di certificazioni anagrafiche, penali, di salute. Dopo questo iter i servizi territoriali di competenza hanno il compito, attraverso l’operato di psicologi e assistenti sociali, di redigere una relazione sull’idoneità della coppia all’adozione. È a questo punto che per gli aspiranti genitori comincia il percorso adottivo vero e proprio.


La consapevolezza e la conoscenza delle problematiche dell’adozione sono alla base della buona riuscita di questo importante progetto familiare. Per consapevolezza si intende la capacità della coppia di mettersi in discussione e capire quelli che sono i propri limiti e la propria maturità rispetto all’adozione. Cercare di approfondire le problematiche psicologiche e relazionali che sono insite nel percorso adottivo, è estremamente importante. Leggere dei libri sull’argomento è molto utile, così come partecipare agli incontri che sono promossi da alcune associazioni o dagli stessi servizi territoriali; ancor meglio, si possono contattare genitori adottivi, che hanno già vissuto questa esperienza e sono quindi fonti inesauribili e dirette d’informazione.


Questo percorso “formativo” è indispensabile perché l’essere impreparati, o peggio, credere che tutto si possa risolvere con l’amore, con il fornire al bambino sani principi ed esempi morali senza, invece, riuscire a comprenderne il vissuto, i bisogni, può portare al fallimento. Forse non tutti sanno che le adozioni che s’interrompono sono circa l’1,8% (dati 2002) e i bambini vengono così “restituiti” con l’inevitabile conseguenza di terribili tragedie umane, sia per i genitori costretti a scoprire le loro inadeguatezze, che per i bambini obbligati ancora una volta a subire il trauma dell’abbandono, con effetti devastanti che comprometteranno quasi certamente il loro futuro esistenziale.


Pur avendo ponderato, valutato e meditato a lungo sull’adozione, spesso vi sono, all’interno della coppia, situazioni personali non ancora del tutto risolte. Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, i coniugi che intendono adottare un bambino non possono averne di propri a causa di problemi d’infertilità. Il percorso adottivo di queste coppie è inevitabilmente molto articolato e complesso essendo molto coinvolte psicologicamente ed emotivamente. L’infertilità è avvertita come un lutto e come tale dovrà quindi essere “elaborata”, con un processo, all’interno della coppia, laborioso, doloroso, costruttivo.


Lo studio di coppia è svolto dagli assistenti sociali e dagli psicologi in un arco di tempo variabile che occupa diversi mesi. Il colloquio iniziale è fatto congiuntamente, poi sono previsti altri incontri, che la coppia deve sostenere individualmente, attraverso i quali gli operatori cercano di comprendere le motivazioni, le capacità educative, i valori etici, la maturità all’adozione da parte dei coniugi. Capita spesso, soprattutto nei soggetti più giovani o in coppie con problematiche interne ancora non chiarite, che lo studio sia vissuto come una specie d’inquisizione. È necessario, nonché auspicabile, che in questi casi sia l’assistente sociale che lo psicologo siano altamente preparati e pronti ad accogliere anche la richiesta d’aiuto di questi soggetti, bisognosi di più attenzione, di più tempo, di essere in qualche modo guidati lungo il percorso. Emettere un parere negativo senza aver cercato in tutti i modi di aiutare la coppia, svolgendo mere funzioni di giudici indagatori, ponendosi cioè di fronte e non al fianco della coppia, può avere gravi ripercussioni psicologiche sugli interessati.


Entro i due mesi successivi al ricevimento della relazione, il Tribunale dei minori rilascia (oppure no) il tanto sospirato “decreto d’idoneità”. A questo punto agli aspiranti genitori adottivi non resta che affidarsi e conferire l’incarico ad uno degli enti autorizzati. L’albo degli enti autorizzati può essere reperito sul sito della Commissione per le Adozioni Internazionali (www.commissioneadozioni.it). Oltre ad essere l’organo che garantisce le adozioni internazionali, nel rispetto di quanto sancito a tutela dei minori dalla Convenzione de L’Aja, la CAI autorizza gli enti allo svolgimento delle procedure di adozione e ne controlla periodicamente i requisiti.


Come destreggiarsi nella scelta? Ci sono enti più conosciuti e diffusi sul territorio nazionale, che hanno una struttura importante e molti dipendenti. Forniscono un servizio forse più completo a livello di documentazione (che comunque viene pagato) e operano con numerosi Paesi stranieri. Ci sono altri enti, invece, che hanno una struttura organizzativa molto snella, affidata in maggioranza a volontari, che operano su una fascia di territorio limitata e che sono autorizzati ad operare con uno o pochi altri Paesi.


Le motivazioni alla scelta sono tuttavia molto personali e variano in base alle esigenze della coppia, come ad esempio il Paese d’origine del bambino, i costi da sostenere, la vicinanza dell’ente alla propria residenza. Per avere un quadro più preciso, è utile contattare ed avere un incontro preliminare con più di un’associazione. Confrontarsi con coppie che hanno già fatto questa esperienza e compiuto il loro iter adottivo, tuttavia, resta sicuramente la cosa migliore da fare. Compiuta la scelta, per i genitori adottivi inizia il periodo dell’attesa, un lasso di tempo che sembra non finire mai, in cui dubbi, interrogativi, ansie sono da mettere in preventivo. Un giorno, quando meno lo si aspetta, in tutt’altre faccende affaccendati, può arrivare “la telefonata”…

Cecilia Pulsinelli

 


In collaborazione con Help! 

 


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