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Jason Leung

Chiare, fresche e dolci acque…

 |  redazionehelp

I grandi cambiamenti, dovuti sia all’uomo che all’ambiente, verificatisi nell’ultimo secolo hanno messo in discussione il concetto di acqua come risorsa senza limiti, garantita, oltre che gratuita, aprendo la strada a serie problematiche e riflessioni critiche sul suo utilizzo futuro, nonché sulla potenzialità del reperimento di nuove fonti di approvvigionamento.

Tali temi caldi, di stretta attualità, sono stati approfonditi in un incontro pubblico, organizzato dall’Immaginario scientifico di Trieste, svoltosi nel maggio scorso presso la Casa della Musica, dove il giornalista d’inchiesta Charles Fishman, introdotto dal giornalista scientifico Fabio Pagan, ha presentato il suo recentissimo libro “La grande sete. L’era della scommessa sull’acqua” (Egea, 2011). Fishman, nato a Boston ma cresciuto a Miami in Florida, laureatosi alla Harvard University, è stato reporter del “Washington Post” e dal 1996 collabora con il business magazine “Fast Company”. Negli ultimi vent’anni ha svolto interessanti inchieste sulle grandi organizzazioni multinazionali americane: dalla Nasa alla Tupperware, sino alla Wal-Mart, società proprietaria dell’omonima catena di negozi al dettaglio, cui ha dedicato il suo primo libro, il bestseller “Effetto Wal-Mart. Il costo nascosto della convenienza” (Egea, 2006). Da qualche anno Fishman ha rivolto il suo interesse professionale all’universo affascinante dell’acqua, fattore fondamentale per l’uomo ma anche bene di consumo. Per approfondire la sua inchiesta il giornalista americano ha letteralmente girato il mondo dall’Italia all’America e dall’Australia all’India, testimoniando poi nella sua opera (per cui ci sono voluti ben tre anni di lavoro) il complesso legame che ovunque gli uomini hanno con l’acqua. “Il nostro rapporto con l’acqua – ha affermato Fishman – è complicato, conflittuale, essenzialmente inconfessato… ed il nostro atteggiamento quotidiano rispetto ad essa è un coacervo di contraddizioni”. L’acqua è assolutamente indispensabile, si sa, ma spesso la sprechiamo e sfruttiamo non rendendoci conto di quanto sia “una sostanza magica, per cui dobbiamo provare ammirazione, oltre che rispetto”. ”Tutta l’acqua che c’è nel nostro pianeta – ha continuato – è arrivata dallo spazio; è stata creata nella Via Lattea e non c’è nulla sulla Terra che crei o distrugga l’acqua, non va perduta ma riciclata, perché è perfettamente rinnovabile. L’acqua è l’iceberg ma è anche il fiocco di neve; l’acqua serve per mangiare, lavarsi ma anche per fare il cemento e lanciare gli space-shuttle”. Insomma, non esiste neanche un minuto della nostra vita senz’acqua; noi siamo fatti essenzialmente d’acqua: circa al 60% per gli uomini e 55% per le donne. Eppure sembra non ne siamo consapevoli e non ci prendiamo cura di questo vero e proprio patrimonio dell’umanità! Secondo l’indicazione di alcune norme della Fao (Food and agriculture organization), ciascuno di noi ha bisogno di una dose giornaliera di almeno 50 litri al giorno di acqua per vivere, ma almeno il 40% della popolazione mondiale accede all’acqua con difficoltà o deve camminare per procurarsela e ciò avviene per lo più nel Sud del mondo. A tale proposito è illuminante, e nel contempo sconcertante, il racconto di Fishman della sua esperienza, durata circa un mese, in India nella zona di Nuova Delhi: “Ho accompagnato una ragazza di 12 anni del villaggio di Jargali, 80 km a sud di Delhi, a prendere l’acqua da un pozzo di un campo agricolo nel mezzo del nulla, dovendo camminare 2 km. La ragazzina ha portato sulla testa 20 kg e lo fa tutti i giorni per due volte al giorno; l’acqua che ha portato è sufficiente per tirare lo sciacquone un’unica volta in un bagno occidentale”. Emergono chiare e nette, da questa ed altre narrazioni contenute nel libro dell’autore americano, le contraddizioni di una nazione come quella indiana in crescita rapida, di forte spirito imprenditoriale, in cui però più della metà degli abitanti non ha disponibilità sufficiente d’acqua (solo due ore al giorno dai rubinetti dei quartieri borghesi delle città) e che spende il 2% del Pil del Paese per curare la dissenteria (situazione medica dovuta alla scarsa qualità dell’acqua). Diversa la situazione in Italia ma ugualmente contraddittoria. L’acqua del nostro rubinetto è tra le migliori al mondo ma il consumo di acqua minerale in bottiglia è altissimo: 200 litri pro capite ogni anno. Fino al 2006 l’Italia era al primo posto nella classifica mondiale del consumo pro capite; oggi siamo al secondo posto dopo il Messico, che però non ha la nostra rete idrica! Per esaminare più da vicino la situazione italiana e comprendere meglio il culto dell’acqua minerale che vige nel Belpaese, Fishman si è recato a San Pellegrino Terme, località storica, sede di un impianto altamente tecnologico che fornisce un’acqua considerata di lusso negli Stati Uniti, scoprendo che, come molte altre minerali gassate, la San Pellegrino non ha un’effervescenza naturale, bensì aggiunta in un secondo tempo grazie al biossido di carbonio: quest’acqua inoltre, di proprietà del colosso mondiale Nestlè, rappresenta un business da 7 miliardi all’anno, che comprende anche Acqua Panna, Levissima, San Bernardo, Recoaro e Perrier. “Gli Italiani – ha sottolineato Fishman – sono famosi per le loro infrastrutture idriche, messe a punto già all’epoca dell’Impero romano; tuttavia oggi hanno qualche dubbio sul loro sistema idrico se, secondo un’indagine condotta dall’Istat, il 70% degli Italiani beve almeno mezzo litro di acqua minerale al giorno”. La mancanza di fiducia non risulta però essere frutto di fantasia: la rete idrica è antiquata e mal gestita e studi recenti parlano di perdite del 30-40% dell’acqua che scorre. Ma l’acqua in bottiglia non è la soluzione. “Bisogna fare un passo indietro – ha asserito Fishman – e ricordare che la rete idrica dell’Italia è il suo fondamento, e cambiare prospettive, modificando la scala delle priorità”. A tale proposito nel suo testo cita interessanti iniziative sul territorio italiano, ad esempio: Publiacqua ha installato 16 “case dell’acqua” in tutta la Toscana, cui accedere per recuperare con dei contenitori acqua, gratuita, ultra filtrata, naturale e frizzante; e poi Coop sta cercando, tramite spot televisivi e distribuzione di materiale informativo nei punti vendita, di persuadere i clienti a comprare meno acqua minerale, per salvaguardia dell’impatto ambientale del trasporto dell’acqua dagli impianti ai negozi e anche di quello di bottiglie e bicchieri di plastica. Il problema fondamentale è ancora più ampio ed è quello dell’economia dell’acqua; c’è bisogno di denaro e risorse per difendere l’ambiente da cui tale pregiato tesoro sgorga e, contemporaneamente, sostenere i cambiamenti per creare basi e premesse di buon funzionamento del sistema. Perché ciò si compia è necessario però mutare la nostra mentalità, il nostro atteggiamento e rapporto con l’acqua. E va in questa direzione – una nuova cultura dell’acqua – il monito, prudentemente assennato ma fiducioso, presente alla fine del libro “La grande sete” di Charles Fishman: “Molte civiltà sono state danneggiate o distrutte dall’incapacità di capire l’acqua o di gestirla. Abbiamo un grande vantaggio rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto: possiamo capire l’acqua e usarla in modo intelligente. Tutto ciò che la riguarda sta per cambiare, ma non l’acqua in sé. Il nostro destino dipende da come la approcciamo, ne dipendono la qualità della vita, la ricchezza e la resistenza della società, l’indole dell’umanità. L’acqua in sé continuerà a cavarsela bene. Continuerà a essere briosamente bagnata”. Virna Balanzin


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