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Endometriosi: un enigma non ancora del tutto sciolto

 |  Redazione Sconfini

 Si scrive molto su ciò che si sa: di patologie socialmente rilevanti che colpiscono un numero considerevole di malati, di soluzioni certe e tecniche consolidate dalla pratica medico-chirurgica.

Si scrive invece poco di argomenti comunque complessi, di malattie che possono anche compromettere la qualità della vita, alle quali la scienza medica non è ancora in grado di offrire soluzioni univoche e definitive: sono gli enigmi della medicina, le cui cause e terapie, lungi dall’essere certe e risolutive, meritano ugualmente di essere trattate non fosse che per offrire un approccio conoscitivo utile a formulare domande mirate allo specialista, pertinenti al problema personale, per concorrere ad una scelta terapeutica motivata.

L’endometriosi è un esempio di un’enigmatica condizione parafisiologica di pertinenza ginecologica che, quando diventa patologia, è cronica e sostanzialmente inguaribile. È strettamente correlata con la ciclicità mestruale e quindi scompare con la menopausa; ma nel corso dell’età fertile può causare dolore pelvico, cisti ovariche, infertilità. endometriosi adesivaDefinendo l’endometrio, il dottor Francesco Morosetti, specialista in Ostetricia e Ginecologia da noi incontrato, fa la premessa alla definizione di endometriosi: “L’endometrio è il rivestimento mucoso, quindi più interno, dell’utero: in questa sua fisiologica localizzazione è soggetto alla variazione ciclica imposta dalla stimolazione ormonale che lo rende idoneo all’accoglimento dell’ovocita fecondato; in assenza di gravidanza, va incontro a periodico sfaldamento con la mestruazione. La presenza di endometrio al di fuori della cavità uterina, più frequentemente nel basso addome, si definisce endometriosi”.

 

Qual è la causa dell’endometriosi?

“La sua origine è un enigma: ci sono alcune idee, ma per ora nessuna certezza. L’ipotesi più accreditata per spiegare la presenza di questo tessuto normale in sedi invece anormali è la “teoria del reflusso mestruale” formulata da Sampson nel 1927: durante la mestruazione le contrazioni uterine determinano la fuoriuscita del sangue dalla cavità uterina, in cui è contenuto, verso la vagina. È lecito pensare che la propulsione del sangue possa avvenire, oltre che verso la vagina, anche verso gli altri due orifizi dell’utero, le tube, e che attraverso esse possa raggiungere la cavità addominale, dove le tube si aprono con l’estremità opposta a quella uterina. Questa ipotesi spiega l’assoluta maggioranza dei casi, ma non tutti. Inspiegabili sono le evidenze di endometriosi in organi lontani dal bacino, peraltro assolutamente eccezionali”.

 

Quali sono i sintomi più ricorrenti?

“Per quanto riguarda i sintomi, è un enigma spesso correlarli, quando presenti, ai rilievi oggettivi: molte volte la loro gravità non è conforme alla gravità dei quadri anatomici osservati ed è difficile talora capire perché certe donne manifestano alcuni sintomi e non altri. L’endometriosi può essere completamente asintomatica, e per questo non è sempre una malattia. Lo può diventare se ci sono dolore pelvico ciclico (il dolore mestruale è il sintomo più frequente, ma è il meno specifico), aciclico (il dolore durante i rapporti sessuali è il sintomo meno frequente, ma il più specifico), cisti ovariche o infertilità. I sintomi non sono necessariamente presenti contemporaneamente, né tutti i dolori pelvici femminili hanno origine ginecologica. L’associazione di più sintomi ha un valore diagnostico superiore all’esistenza di un sintomo isolato”.

 

L’endometrio dove può “impiantarsi”?

“Il flusso mestruale è composto da sangue e da frammenti di endometrio, alcuni ancora vitali: questi possono impiantarsi in sedi del basso addome e, mantenendo le loro caratteristiche biologiche, rimangono capaci di rispondere agli stimoli ormonali ciclici finendo così per dare origine a processi di micromestruazioni endoaddominali. Queste “isole endometriali” si accrescono ad ogni ricorrenza mestruale; il sangue di queste “micromestruazioni in tasche chiuse” si riversa all’esterno e lo sfaldamento endoaddominale determina l’invasione di altre sedi prima non interessate. Possono essere causa di dolore, talora importante e invalidante, e possono essere causa della formazione di aderenze; questa sorta di “ponti di tessuto” che collegano organi altrimenti indipendenti possono essere causa, a loro volta, di dolore. Se determinano un’occlusione alle tube, diventano causa di infertilità. Focolai di endometriosi possono infine infiltrarsi nello spessore della parete muscolare dell’utero e dare origine alla cosiddetta adenomiosi. Tale forma può rimanere completamente asintomatica o diventare causa d’intensa sintomatologia dolorosa mestruale. I focolai di endometriosi dell’utero assumono la forma e le caratteristiche dei fibromi e sono da questi praticamente indistinguibili, sia all’esame ecografico che nel corso dell’esplorazione chirurgica, rimanendo un rilievo identificabile solo con l’esame istologico dell’utero eventualmente asportato”.

 

Perché alcune donne sviluppano la malattia?

“Il perché solo alcune donne in età fertile si ammalino di endometriosi è misterioso. Un’ipotesi accreditata è che il sistema immunocompetente della maggior parte delle donne riconosca come estraneo l’endometrio normale in sedi “anormali”, lo distrugga e lo elimini. Un difetto di risposta immunitaria sarebbe la causa che permette a frammenti endometriali di impiantarsi in sedi anomale, di diffondersi, di estendersi e quindi di sviluppare l’endometriosi. Se incerto è il ruolo della familiarità, fra le circostanze che aumentano le probabilità di contatto e di sviluppo della malattia si annoverano il menarca precoce, i flussi abbondanti e frequenti, e la nulliparità. Il rischio è azzerato nelle donne che per difetto congenito non hanno utero, mentre dopo l’isterectomia senza asportazione delle ovaie i focolai già presenti potranno ancora svilupparsi per effetto delle stimolazioni ormonali cicliche. Controverso il ruolo dei contraccettivi orali: poiché riducono il dolore mestruale possono contemporaneamente produrre una sottostima dei casi esistenti”.

 

Come si arriva quindi alla diagnosi?

“L’anamnesi e l’esame ginecologico hanno un valore determinante nel formulare il sospetto di endometriosi. Non esiste attualmente alcun esame diagnostico (ecografia, TAC, risonanza magnetica nucleare) in grado di tradurre in immagini queste lesioni, che hanno dimensioni sempre al di sotto del potere risolutivo dei mezzi impiegati in diagnostica. Nemmeno l’ecografia, che è il più prezioso ausilio diagnostico attuale nelle mani del ginecologo, è in grado di rivelare la presenza dell’endometriosi, con l’unica eccezione delle cisti dell’ovaio che possono essere sì viste in ecografia ma non sono presenti in tutti i casi. La conferma dell’esistenza (o dell’assenza) di un processo endometriosico si può ottenere soltanto attraverso la visione diretta della cavità addominale, cioè attraverso un esame endoscopico. La laparoscopia è l’esame endoscopico che consente la visione della cavità addominale: è un intervento chirurgico in piena regola, benché – come si dice – mininvasivo; richiede l’anestesia generale e come ogni intervenlesione endometriosa tipicato chirurgico, piccolo o grande che sia, implica l’assunzione di un certo rischio. Rinunciando alla laparoscopia si ha la consapevolezza che una donna potrà presentare al massimo i sintomi dell’endometriosi, ma non sarà mai possibile formulare una diagnosi definitiva che confermi od escluda la diagnosi supposta. Di più in sede preoperatoria non si può fare, spettando appunto la parola conclusiva alla laparoscopia, alla quale – è l’esperienza personale – la paziente accetterà di sottoporsi solo se i suoi sintomi sono importanti e influenzano la vita quotidiana e la psiche. Una donna che accetta la proposta di una laparoscopia è fortemente motivata a fare il massimo sforzo possibile per fare chiarezza sull’origine dei suoi sintomi e per un’eventuale soluzione terapeutica”.

 

È possibile stimarne la diffusione?

“È molto difficile stabilire quale sia la diffusione dell’endometriosi nella popolazione femminile dal momento che la diagnosi di endometriosi può essere posta soltanto attraverso l’osservazione chirurgica. È possibile osservare in quanti casi viene occasionalmente riscontrata l’endometriosi in donne operate per motivi diversi. Studiando le donne operate per fibromatosi uterina (l’indicazione chirurgica più frequente in ginecologia), si è stimato che la frequenza dell’endometriosi nella popolazione femminile è del 12%: ciò significa che ogni 100 donne circa 12 sviluppano un’endometriosi che però non dà segno della sua esistenza (erano sono state operate per motivi diversi). La frequenza dell’endometriosi sale fino al 30% nelle donne sottoposte a laparoscopia per infertilità, al 45% nelle donne sottoposte a laparoscopia per dolore pelvico cronico ed al 35% nelle donne operate per cisti ovariche. Da questi dati si evince come l’endometriosi possa sì restare completamente asintomatica, ma come sia invece la causa del 30% dei casi d’infertilità, del 45% dei casi di dolore pelvico cronico e del 35% delle cisti ovariche”.

 

Quali sono le possibili scelte terapeutiche?

“Una vera terapia risolutiva che conduca all’eradicazione dell’endometriosi, consentendo al tempo stesso di conservare l’integrità dell’apparato genitale, di ripristinare il potenziale riproduttivo spontaneo, se compromesso, e di risolvere il dolore, non esiste ancora. L’endometriosi può andare incontro a regressione spontanea ma non è possibile tuttavia sapere quali, tra i casi osservati, guariranno senza alcun trattamento. D’altra parte la “malattia endometrosica” è tendenzialmente progressiva: così tutti i casi di endometriosi chirurgicamente dimostrati dovrebbero essere trattati perché la terapia, medica e chirurgica, aumenta la percentuale di regressione della malattia o, per lo meno, pone un freno alla sua possibile progressione. L’endometriosi è alimentata dal susseguirsi dei flussi mestruali. Può apparire evidente allora come l’unica vera soluzione possa essere rappresentata dall’abolizione definitiva dei flussi, cioè dalla menopausa, spontanea o indotta chirurgicamente attraverso l’asportazione delle ovaie. La cessazione dell’attività ovarica, spontanea o chirurgica, fa sì che i focolai attivi non vengano più stimolati dalla produzione ciclica degli ormoni femminili (che vengono sintetizzati appunto nelle ovaie) e che, pertanto, vadano incontro ad una regressione atrofica “spegnendo” definitivamente la malattia. La scelta chirurgica radicale è proponibile però solo alle donne non più giovanissime, che abbiano completato il loro desiderio riproduttivo e che siano afflitte da dolori invalidanti, di solito presenti da diversi anni, e non gestibili altrimenti: in simili casi questa scelta appare razionalmente motivata perché in grado di migliorare la qualità della vita delle pazienti. Tuttavia, di fronte alla donna giovane o infertile, s’impongono delle scelte conservative che vanno modulate sulle necessità e priorità della singola paziente, ben sapendo però che possono essere lontane dall’essere risolutive e definitive”.

 

L’opzione tra l’atteggiamento chirurgico radicale e gli atteggiamenti chirurgici o farmacologici conservativi, non è effettivamente una scelta…

“Diviene in realtà un compromesso tra l’esigenza di curare la paziente (non la malattia!) e le sue priorità. Anche le donne lontane dalla menopausa spontanea risultano sollevate da una scelta finale radicale, demolitiva ma risolutiva, che possa migliorare la qualità di una vita afflitta dal dolore cronico insopportabile, senza uscita e deprimente. Nella maggior parte dei casi è possibile la distruzione fisica o l’escissione dei focolai di endometriosi. Un limite della chirurgia, laparoscopica o tradizionale, è costituito dal fatto che il chirurgo può trattare solo ciò che vede, ed è possibile quindi che al termine dell’intervento residuino dei focolai così piccoli da essere al di sotto dell’umana capacità visiva. Questo fatto costituisce il principio di base che giustifica il trattamento farmacologico post-chirurgico, che ha lo scopo di prevenire le recidive e di controllare il dolore. I farmaci impiegati devono essere in grado di eliminare le mestruazioni o ridurne significativamente la quantità. È possibile indurre uno stato di “menopausa farmacologica” mediante l’impiego di una classe di farmaci chiamata “analoghi agonisti del GnRH”: essi agiscono annullando completamente, ma temporaneamente, l’attività ovarica. Sono di agevole impiego e molto ben tollerati, nell’esperienza personale, se non per l’insorgenza inevitabile della specifica sintomatologia menopausale (vampate di calore, secchezza vaginale), ed anche ben accettati dalle pazienti perché lo stato di menopausa da essi indotto è completamente reversibile e le mestruazioni riprendono di solito dopo due mesi dalla cessazione della terapia. Tali farmaci portano a un significativo controllo del dolore, ma non possono essere usati a lungo perché determinerebbero l’insorgenza degli stati carenziali della menopausa (rischio di osteoporosi); tale terapia viene quindi protratta per circa sei mesi e poi interrotta. Il risultato ottenuto sul controllo del dolore non viene sempre mantenuto dopo la sospensione del trattamento. A questo punto è possibile proseguire la terapia farmacologica mediante l’impiego dei contraccettivi orali a basso o, più recentemente, a bassissimo dosaggio, che determinano generalmente sia un efficace controllo del dolore ciclico mestruale sia una significativa riduzione della quantità del flusso mestruale. La terapia combinata, prima chirurgica e poi medica, può migliorare la prognosi riproduttiva ed ottenere un controllo più adeguato sul dolore pelvico di quanto possa la chirurgia da sola. Dopo la menopausa, l’endometriosi si spegne spontaneamente”.

Ignazia Zanzi

 

 

In collaborazione con Help!

 

 


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