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Interruzione volontaria di gravidanza: stare zitti non è possibile!

 |  Redazione Sconfini

La legge 194 sulle “Norme per la tutela della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”, in vigore dal 1978, prevede che, in Italia, una donna possa abortire entro i primi 90 giorni dal concepimento. Per le donne minorenni è richiesta l’autorizzazione di entrambi i genitori o del giudice tutelare mentre l’interruzione di gravidanza dopo i 90 giorni è prevista solo nei casi di malformazione grave del feto e di pericolo di vita della madre. I medici, inoltre, hanno la possibilità dell’obiezione di coscienza. I consultori familiari, istituiti dalla legge nel 1975, assistono la donna in stato di gravidanza e contribuiscono a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione di gravidanza, soprattutto quando la richiesta di interruzione sia motivata da condizioni economiche, sociali o familiari.
La legge 194 non è in discussione, per affermazione unanime, eppure lo scontro politico non accenna a placarsi. Da una parte, le iniziative di An e dell’Udc, per controllarne la “corretta applicazione”, sono messe sotto accusa da chi le giudica un tentativo per rimettere in forse l’intera legge, dall’altra si risponde che la legge impegna a prevenire l’aborto, e questo richiede il controllo della sua applicazione. Il punto più controverso è quello dell’ingresso nei consultori del movimento per la vita, una possibilità sostenuta da chi la giudica un modo di aiutare le donne in difficoltà, ma attaccata da chi vi legge la volontà di intromettersi nella decisione sull’aborto. Fa bene, poi, chi avanza la richiesta di una commissione parlamentare per verificare la corretta applicazione della legge sull’aborto e sulla pillola RU-486 entro gennaio. L’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, scrive che la legge 194 è stata applicata male in quanto ne è stato violato lo spirito. Secondo l’Osservatore, fino ad oggi, l’unica forma di prevenzione all’interruzione volontaria della gravidanza è stata la contraccezione e in tal senso i consultori familiari, invece che centri per la vita, si sono rivelati, per la gran parte, dispensatori di certificati di aborto. Il ministro Storace si è anche dichiarato favorevole alla proposta del cardinale Ruini di aprire ai volontari cattolici i consultori dello Stato.
La sinistra appare, invece, molto compatta in difesa della legge 194, giudicando la proposta del centrodestra un tentativo di fare propaganda elettorale sulla procreazione. Al Ministero della Salute si lavorerà a una bozza di accordo da proporre alle Regioni per il monitoraggio dell’attuazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza. La vita umana è molto importante e abbiamo il dovere di tutelarla. Lo Stato, pertanto, non se ne può disinteressare. Anche nello stesso dibattito scaturito dall’uso della pillola abortiva non si parla abbastanza dei soggetti più deboli: tutti dovremmo ricalibrare il dibattito ponendo proprio questi soggetti al centro. Tutto sarà più facile perché conseguente agli interessi per la vita di chi è sopraffatto o subisce.

Daniele Damele

da “Il Piccolo” di Trieste del 17.12.2005 - L’OPINIONE


I consultori familiari “si sono rivelati, per la gran parte, dispensatori di certificati di aborto”? Ma per piacere: ci lavoro dal 1987! Innanzi tutto mi sembra doveroso precisare che, nell’articolo sopra riportato, il panorama introduttivo sulla 194 contiene due errori d’interpretazione del testo di legge: una donna può abortire “entro i primi 90 giorni” (art. 4) ma nessuno ha mai stabilito che questi si calcolino a partire “dal concepimento” (suggerimento: per migliorare la “corretta applicazione della legge sull’aborto” si definisca, una volta per tutte, da dove inizia il calcolo di questi benedetti 90 giorni; perché in Ostetricia tutti i calcoli sull’epoca di gravidanza iniziano dal primo giorno dell’ultima mestruazione e non dal giorno del concepimento: chi può saperlo? Tra l’una e l’altra interpretazione del testo di legge ci sono ben due settimane di differenza!); dopo i primi 90 giorni la gravidanza può essere interrotta “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (art. 6): ciò significa che “grave” dev’essere il pericolo per la salute della donna e non necessariamente la malformazione fetale; tant’è che nessuno ha mai stilato un elenco di quali malformazioni siano da ritenersi “lievi” ovvero “gravi”, anche perché qualunque elenco sarebbe mutevole col passare del tempo (il “labbro leporino” dà lo stesso diritto dell’anencefalia; una malformazione che oggi non è operabile con successo dopo la nascita – e che, pertanto “oggi” è da considerarsi “grave” – potrebbe diventare operabile “domani”, forse anche in utero, e pertanto “domani” potrebbe non essere più considerata “grave”). A sostegno di questa interpretazione ricordo che nel 1978 la diagnosi ecografica delle malformazioni fetali era di là da venire e che non era immaginabile quale sarebbe stato lo sviluppo dell’ecografia: non si poteva dunque legiferare su ciò che non si conosceva. Queste “pignolerie” attengono alla “corretta applicazione della legge sull’aborto”, la cui verifica pare sia diventata una preoccupazione per tutti gli schieramenti politici: sia per quelli che, invocando il rispetto per la vita come se ne fossero gli unici depositari, fanno prevalere il diritto di chi potrebbe essere (embrione/feto) su quello di chi già è (donna/uomo); sia per quelli di parte opposta che ugualmente hanno rispetto per la vita ma che, su basi non meno ideologiche, fanno prevalere il diritto di chi già è su quello di chi potrebbe essere, e vedono così, nel possibile ingresso nei consultori del movimento per la vita o dei volontari cattolici, “la volontà di intromettersi nella decisione sull’aborto”.


A me pare, da una riflessione sul testo della 194, che la volontà del legislatore sia soprattutto quella di difendere i diritti e, prima ancora, la salute della donna: questo è chiarissimo negli articoli che regolano l’interruzione di gravidanza per patologia malformativa fetale e s’inquadra nel periodo storico nel quale la legge è stata voluta (le lotte femministe). Comunque, al di sopra delle ideologie ci sono i numeri nei dibattiti su argomenti di epidemiologia dei fenomeni. Teniamo separate Scienza e Fede – l’ideologia è “fede” qualunque essa sia – e, seguendo gl’insegnamenti di Galileo Galilei, restituiamo alla matematica la sua supremazia nella validazione dei risultati.


Non vengono citate le fonti su cui si fonda la grave affermazione dell’“Osservatore Romano”. Si tratta quindi di un’opinione filosofica o etica o politica, ma non scientifica. Ed è facile rispondere, in assenza di pragmatismo, andando a studiare le fonti. E oggi è agevole: dopo cena ci si siede davanti al computer e ci si fuma una sigaretta. Non capisco perché non l’abbia fatto l’opinionista de “Il Piccolo”, che è noto e stimato. L’ho fatto io: chi tratta di argomenti scientifici il dubbio ce l’ha sempre, cerca dimostrazioni, ed è disponibile a rivedere le proprie posizioni; nel pensiero scientifico l’opinione personale si arresta là dove comincia l’evidenza. A lume di naso mi pare di aver rilasciato meno certificati per interruzione di gravidanza negli ultimi anni, ma che possa aver ragione l’“Osservatore”? Dal grafico1momento che, per mestiere, non sono abituato ad esprimere opinioni guidate da preconcetti ideologici, ho vagato a lungo sul computer finché non sono approdato all’indirizzo www.istat.it/dati/catalogo/20050216-01. L’ISTAT può essere considerato sufficientemente attendibile? Ho costruito i grafici che qui riporto sulla base dei loro numeri, prendendo in considerazione, per semplicità, due decenni: quello tra il 1982 (quattro anni dopo l’entrata in vigore della 194) ed il 1992, e quello tra il 1992 ed il 2001. Non ho trovato dati degli anni successivi.

 

Guardiamo l’andamento dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in Italia.
È facile constatare (grafico 1) come tra il 1982 ed il 2001 il numero delle IVG si sia praticamente dimezzato (-45%), e come nella nostra regione questo calo sia ancora più evidente (-57%). Poiché molte delle richieste di IVG passano attraverso i consultori familiari ne deriva che queste strutture hanno lavorato nel rispetto della legge che, come citato dall’opinionista, “impegna a prevenire l’aborto”. Osservo poi che mentre nel primo decennio preso in esame la riduzione del numero delle IVG è stata piuttosto drastica (-35% in Italia, -46%grafico2 nel FVG), non è avvenuto altrettanto nel secondo (-15% in Italia, -20% nel FVG), ma questa ulteriore riduzione non mi pare affatto trascurabile. L’andamento del fenomeno è simile anche se si considerano separatamente il Nord, il Centro ed il Sud Italia (grafico 2); il FVG dimostra una riduzione più significativa delle medie nazionali.

 

È facile obiettare che nella nostra regione il fenomeno potrebbe essere semplicemente dovuto all’invecchiamento della popolazione: un minor numero di donne in età feconda significa anche una minor richiesta di IVG; l’aumento progressivo della popolazione femminile in età menopausale significa riduzione altrettanto progressiva delle richieste di IVG. Ma anche questa volta ci vengono in soccorso i numeri: è sufficiente trattare il numero delle IVG non come dato assoluto ma in rapporto al numero di donne in età fertile (grafico 3). Ancora una volta i dati dimostrano come in FVG la riduzione delle IVG sia maggiore della media nazionale.

 

Nell’articolo 1 della legge 194 è scritto che “l’interruzione della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite”. Lo aveva già detto Sorano di Grecia attorno al 100 d.C.: “È più sicuro prevenire il concepimento piuttosto che uccidere il feto” (Primiero F.M., Bastianelli C. – “La contraccezione in Italia” – Aggiornamento permanente in Ostetricia e Ginecologia 6 (1): 7-13, 2002). L’andamento dei dati dimostra che tutti siamo d’accordo sul fatto di fare ogni sforzo affinché il controllo delle nascite non sia ottenuto attraverso l’interruzione di gravidanza, perfino gli operatori di quei consultori che “si sono rivelati, per la gran parte, dispensatori di certificati di aborto”. Ora il punto è il metodo: come ottenere questo scopo?
Ci potrebbero essere due modi. Uno è diffondere la cultura della contraccezione: l’insieme, cioè, dei metodi utilizzati al fine di evitare che l’attività sessuale esiti in un concepimento nongrafico3 desiderato, e che questo induca poi all’interruzione volontaria della gravidanza; l’altro sarebbe quello di convincere, sostenendole, a non abortire le donne che hanno già deciso di farlo.


L’articolo 2 della 194 identifica nella contraccezione il metodo più importante per evitare il ricorso all’IVG anche nelle minorenni: “La somministrazione, su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori”. Il riferimento alla pillola è troppo chiaro: per i cosiddetti “metodi naturali” – gravati peraltro da inaccettabili percentuali d’insuccesso – o per il “preservativo” non c’è bisogno che un medico né somministri né prescriva. E sono sempre i numeri a dimostrare che la diffusione della pillola si accompagna alla riduzione del numero delle IVG (grafico 4: Primiero F.M., Bastianelli C. – “La contraccezione in Italia” – Aggiornamento permanente in Ostetricia e Ginecologia 6 (1): 7-13, 2002). L’articolo 14 ribadisce questo concetto: “Il medico che esegue l’interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite”. Pertanto la legge non impegna solo a “prevenire l’aborto” ma anche a “diffondere i metodi contraccettivi”, fatto del tutto trascurato dall’opinionista che, pur riportando un pensiero forse non suo, sottolinea solo il primo dei due aspetti. L’articolo 5 invita a “… esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza …”. I consgrafico4ultori si sono dimostrati punti eccellenti per la diffusione della cultura contraccettiva ed è a questo lavoro, inutile ogni tentativo di negarlo, che si deve la riduzione del numero delle IVG in Italia e, segnatamente, nel FVG. Come si può allora sostenere che la legge non sia stata correttamente applicata?


Quando una donna giunge a chiedere l’interruzione della gravidanza ha già sofferto, ha già preso la sua decisione non senza un importante travaglio interiore, ed ha quasi sempre validi motivi per farlo. È giusto aiutare le donne in difficoltà. Ma, per esperienza, posso dire che sono poche quelle che hanno dubbi su quale sia la scelta migliore per la loro situazione personale e, se ne hanno, sono loro stesse a chiedere; che le difficoltà economiche si rendono manifeste solo dopo il parto e non durante la gravidanza che è assistita gratuitamente; che tutte soffrono per una scelta cui si trovano costrette, ma che pesa per le implicazioni psicodinamiche prima che per quelle chirurgiche.


L’ingresso nei consultori del movimento per la vita o dei volontari cattolici potrebbe essere un modo per aiutare le donne e le coppie incerte, ma sono poche, e non sarà sufficiente a ridurre in maniera significativa la quota delle IVG oltre a quanto è stato già fatto. E poi noi ginecologi ci abbiamo già provato e ci siamo riusciti solo sporadicamente. Anche il giudice è tenuto ad un tentativo di riconciliazione nelle cause di separazione: ma quante coppie modificano il proposito già maturato?


Personalmente non mi disturba l’idea di poter essere affiancato da altri operatori per il raggiungimento di un unico scopo; quand’è servito ho comunque sempre avuto la collaborazione delle assistenti sociali e delle psicologhe. Mi disturba, e molto, l’idea di vedermi arrivare un esercito della salvezza per il sospetto, ingiustificato sulla base dei numeri, che gli operatori dei consultori non abbiano lavorato sufficientemente bene e che la 194 l’abbiano applicata male.


Ma c’è da chiedersi anche se disturberà alle donne. Dipenderà dal modo. Non voglio togliere nulla al volontariato cattolico, di cui ho spesso ammirato lo spirito di sacrificio. Ma credo che l’ultima cosa di cui una donna, già gravata dal peso di una tale decisione, abbia bisogno in quel momento è di rischiare di sentirsi colpevolizzata – da estranei, per giunta – quando è già sufficiente la sua coscienza a farlo: sono proprio poche le donne che prendono questa decisione a cuor leggero. Non c’è bisogno che nessuno glielo ricordi: lo saprà, lei, che abortire significa sopprimere quella vita che le sta nascendo dentro? Credo che lo saprà bene, ed è un segno che probabilmente le rimarrà per sempre. Ci provino pure i volontari cattolici. Ma solo con le donne che acconsentiranno al loro intervento; e dovranno, poi, come noi, portare numeri, non chiacchiere, e dimostrare coi grafici di tendenza che il loro intervento sarà stato efficace. Ed a questo proposito torniamo ai numeri.

 

L’andamento delle IVG suddiviso per fasce d’età – mi limito all’Italia del Nord (grafico 5) – dimostra che tra il 1982 ed il 2001 si è avuta una riduzione del numero degli aborti volontari in qualunque fascia d’età; tuttavia nelle donne tra i 15 ed i 24 anni si è avuta una certa ripresa nel secondo decennio preso in esame. Ciò significa che è particolarmente a questa fascia d’età che si deve prestare attenzione. Pensano i movimenti della vita ed i volontari cattolici, e chi li manda, che riusciranno a “rimuovere le cause che porterebbero alla interruzione di gravidanza” in una donna tra i 15 ed i 24 anni? O non è forse più logico e fattivo insegnare loro che la pillola non è grafico5né veleno né peccato? Non è più logico e costruttivo ipotizzare interventi preventivi in ambito scolastico? Ebbene, i “dispensatori di certificati di aborto” nelle scuole ci sono già stati: per Trieste me ne faccio garante. E poiché l’articolo 1 della 194 dice anche che “lo Stato, le Regioni e gli Enti locali […] promuovono e sviluppano […] altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”, i nostri interventi scolastici non sono forse una delle possibili “altre iniziative” cui si riferisce il testo di legge?


Quali siano dunque i mezzi efficaci ad ottenere la riduzione delle IVG, poiché l’annullamento non sarà mai possibile (non lo è stato nemmeno quando abortire era un reato), sono sotto gli occhi di tutti quelli che non sono ciechi o non vogliono restarci: diffusione della contraccezione attraverso strutture fruibili anche da chi, per età o per stato sociale, non abbia la potestà legale di decidere per sé o i mezzi economici per rivolgersi a medici privati; interventi presso le scuole per supplire quello che insegnanti o genitori non sanno o non sono in grado di fare. Questo è quello che i “dispensatori di certificati di aborto” hanno già fatto. E sappiano così gli “osservatori romani” e gli “opinionisti triestini” che, tra le leggi italiane, la 194 è sicuramente una di quelle più “correttamente applicate”.


Ora vedremo cosa sapranno fare gli illuminati che insegnano, a noi che non lo sapevamo, che “la vita umana è molto importante e abbiamo il dovere di tutelarla”. Per il momento, vietando il congelamento embrionario e la diagnosi genetica preimpianto, hanno ridotto dell’11% circa il numero dei nati da fecondazione assistita, e vorrebbero privare le donne della possibilità di scegliere un metodo farmacologico per interrompere la gravidanza nelle fasi precocissime (l’RU-486: la cosiddetta “pillola abortiva”), come se questo fosse l’unico mezzo per ottenere quello scopo e non esistessero i metodi chirurgici che invece sembrano ritenere leciti perché “la legge 194 non è in discussione, per affermazione unanime”. Possiamo stare tranquilli.


A Trieste, poi, i consultori familiari sono diventati pressoché gli unici punti in cui si fa ginecologia nel territorio (cioè al di fuori dell’ospedale) dacché i “ginecologi convenzionati” sono una specie in via d’estinzione. Perciò in queste strutture vengono ormai affrontati non solo i temi dell’aborto e della contraccezione e dell’assistenza alla gravidanza in regolare evoluzione, ma anche tutta la patologia femminile. Le assistenti sociali e le psicologhe, dal canto loro, si occupano delle complesse problematiche relative alle adozioni, mantengono le relazioni tra le coppie ed il tribunale, coadiuvano i ginecologi nella gestione delle minorenni e fanno da tramite, là dove occorra, tra queste ed i giudici tutelari; coordinano e ricevono, insieme alle ostetriche, le visite dei gruppi scolastici nei consultori, integrando quello che i ginecologi hanno già fatto a scuola e rispondendo alle domande personali che i ragazzi si vergognano di formulare in classe. Le ostetriche, inoltre, organizzano e tengono i cosiddetti “corsi di preparazione al parto” e si occupano dello screening del tumore del collo dell’utero. Basta? Lo sappiano questo, se non i troppo lontani “osservatori romani”, almeno gli “opinionisti triestini”. Su una cosa sono d’accordo: “ricalibriamo il dibattito”, mi pare proprio il caso.

Francesco Morosetti, ginecologo

 


In collaborazione con Help!

 


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