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Figli: bisogna stabilire le regole per farli crescere

 |  Redazione Sconfini

 

Viviamo tempi incerti: le profonde trasformazioni sociali che hanno investito la famiglia tradizionale producono domande insistenti e ineludibili su

quali effetti essi hanno e avranno sui nostri bambini, che appaiono troppo spesso insicuri e prepotenti contemporaneamente.

 

La funzione educativa dei genitori fino a 20-30 anni fa era esercitata generalmente con formula contenitiva quando non repressiva, coerentemente a scongiurare comportamenti ribelli o devianti. Questo modello, discusso e superato con pochi rimpianti, è oggi quasi ribaltato. Riflettiamo insieme. Senza la pretesa di dare consigli né ricette precostituite. Lo facciamo garbatamente condotti da Federica Seghini, operatrice e insegnante del Consorzio Servizi per l’infanzia L’Arca di Trieste, che così inizia il suo ragionamento: “Un’autorità sana, non soffocante né repressiva, evitando la permissività che rende insicuri e insoddisfatti – afferma – è una formula educativa valida, che prevede l’ascolto attento dei bisogni dei bambini, della loro emotività. Che gli concede lo spazio e i tempi di crescita adeguati al loro grado di sviluppo ma che stabilisce i limiti, i confini, le regole, i no altrettanto adeguati. Le regole contribuiscono a trasmettere al contesto familiare sicurezza, affetto e sollecitudine, fondamentali nel percorso di crescita. Questi comportamenti adeguati definiscono la differenza fra autorità e autorevolezza. È autorità se dico no e non mi pongo il problema di ciò che provi e di ciò di cui hai bisogno. È autorevolezza quando la regola o il divieto è accompagnato dalla comprensione del punto di vista del bambino e del suo vissuto, accogliendo anche il suo eventuale disappunto”.

 

Come porsi di fronte ai capricci?

“Quelli che noi liquidiamo come capricci fini a se stessi non esistono: le provocazioni sono richieste che sta nell’adulto interpretare nella loro essenza. L’autorevolezza si esplicita anche nella capacità dell’adulto di capire i bisogni e di entrare in sintonia con il bambino, che provoca per il bisogno di sentire, di verificare che dietro a lui ci siano adulti forti e sicuri. Questo presuppone un’attenzione alla sfera emotiva, una pratica che costa sicuramente fatica e per la quale molti sembrano essere “analfabeti”. È fondamentale capire che nei primi anni i bambini non possono decidere cosa è giusto e cosa non lo è, e fare tutto ciò che vogliono, ma è anche vero che non si possono imporre divieti immotivati e casuaaltli. I confini devono essere coerenti, adeguati al grado di sviluppo”.

 

La qualità del tempo che dedichiamo ai figli, per essere tale, richiede una certa quantità, diversamente da quanto continuiamo a ripeterci cercando forse una giustificazione alle nostre assenze. Un buon inizio è quindi riconoscerlo?

“La provocazione dei bambini è una formula di comportamento messa in atto per protestare contro “le assenze della presenza”. Significa: io ti chiedo a modo mio, ti cerco, ho bisogno di te. Servono risposte adeguate oppure i bambini o alzano il tiro della provocazione o, delusi nelle aspettative, si adattano ai bisogni degli adulti (processo adattivo) senza perseguire un percorso di autonomia. Dovrebbero essere gli adulti a seguire con attenzione le esigenze dei bambini mentre ora, sempre più spesso, sono i bambini che si adattano ad essere adeguati ai ritmi degli adulti. Il bambino libero di agire senza limiti si chiede “quando avrò veramente bisogno, mi saprai proteggere?”, ed è inquietante per il bambino sentire di avere in pugno il genitore. È fonte di ansia perché sa di non poter far fronte da solo all’ignoto: il bambino è conscio della sua inadeguatezza, sa di avere bisogno di adulti capaci di decidere e di pensare per lui. Sono validi e buoni i limiti posti in maniera autorevole: metaforicamente non transenne ma guardrail che “indicano la strada” da seguire e trasmettono sicurezza, solidità emotiva. A volte, purtroppo, l’autorevolezza dei genitori è delegata al ricatto, alle minacce. Come diseducativo è l’uso abituale del premio in senso ricattatorio: promettere qualcosa se il bambino si comporterà bene. La regola non viene acquisita nel suo valore intrinseco ma per il beneficio che ne deriva. Il bambino deve affrontare i limiti e i no e la frustrazione che ne consegue. Ovviamente anche in questo caso avrà bisogno dell’adulto che lo aiuti a risolvere il conflitto. Questo è il percorso che porta alla crescita, per venire fuori dall’onnipotenza infantile e un po’ alla volta crescere come persona equilibrata”.

 

È, però, un percorso difficile da seguire al giorno d’oggi…

“I bambini sono soggetti rari e preziosi in tempi di crescita demografica e natalità ridotte ai minimi termini. Quasi sempre figli unici di genitori che lavorano e tornano a casa stanchi e desiderosi di evitare ogni sorta di conflittualità, che costa fatica e ulteriori sensi di colpa. Ne scaturisce un quadro dove in maniera allarmante si rinuncia al ruolo di guida, si abdica alla funzione educativa, che trova come inconscia compensazione la tendenza a sovraccaricare di giocattoli e regali i bambini: sempre troppi, forse inadeguati; e magari li portano a giocare da soli. È solo con un ruolo di riferimento pienamente vissuto che possiamo sperare di avere un giovane che in futuro sia in grado di autodeterminarsi”.

 

Se noi adottiamo un comportamento di resa quali conseguenze si rifletteranno in negativo nel piccolo?

“Le conseguenze non sono da sottovalutare e trascurabili: la realtà molto più duramente darà quei no che i genitori non hanno voluto o saputo dare. Il primo impatto negativo sarà con la scuola, che lo farà trovare di fronte e regole aliene e obblighi sconosciuti, e quindi intollerabili. Gli insegnanti si troveranno di fronte a comportamenti di indisciplina e aggressività che dovranno affrontare con priorità rispetto all’insegnamento e alla didattica stessa”.

 

L’alternativa pertanto è il dialogo, adesso. Oppure nell’adolescenza ci saranno ancora più problemi.

“Dialogo significa armarsi della capacità di ascolto dei bisogni dei figli. Si tratta di saper ascoltare e di saper agire quando questa fase così importante inizia; si tratta di essere presenti in questa età che possiamo chiamare dell’incertezza, in cui il ruolo genitoriale consiste nell’aiutare i figli, nel sostenerli rispetto alle fatiche che necessariamente provano, per poter crescere e rendersi autonomi. Il genitore amico che concede, che li lascia soli nel momento cruciale, si svela come adulto impotente e il bambino, adeguandosi pur mostrandosi apparentemente sicuro, nella realtà sarà psicologicamente fragile, timoroso nel futuro di confrontarsi con una richiesta di autonomia che nessuno gli ha saputo insegnare o aiutato a compiere”.

 

Nella pratica quotidiana, però, le regole non necessariamente devono essere uguali in tutti gli ambienti frequentati dai bambini?

“Certamente. È verosimile, per esempio, che le regole dell’asilo per certi aspetti siano diverse da quelle di casa o dei nonni. I bambini distinguono molto bene i territori. La cosa importante è che siano chiari i ruoli e le figure degli adulti che in quel determinato territorio si fanno incarico del bambino in maniera chiara e coerente. È fondamentale la coerenza tra i genitori, è fondamentale la compattezza degli educatori: queste si devono esercitare con regole chiare da cui si capisca senza dubbio chi tiene lo “scettro” della responsabilità esercitata nell’ambito di riferimento (casa, famiglia, scuola), al fine di garantire la crescita e il raggiungimento del benessere fisico, psichico, ed esistenziale del bambino”.

Ignazia Zanzi

 


In collaborazione con Help!

 

 


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