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Prima persona singolare: il crepuscolo del partner

 |  Redazione Sconfini

 

Meglio soli che male accompagnati. Ma è poi così vero che essere single è bello? Per scelta, per disperazione, per comodità, per paura. La vita da single è un fenomeno in

rapida espansione ovunque. Si tratta di un processo inarrestabile che sta modificando intimamente il nostro tessuto sociale. “Single”, una parola che muore tra la lingua e il palato, un’etichetta tutto sommato recente per una nuova massa di solitari dalla vita sconsolata o sfolgorante, di uomini che hanno imparato a lavarsi i calzini da soli e di donne che hanno capito che il Principe Azzurro non lo vogliono per la vita ma ogni tanto, a piccole dosi, perché troppe volte ormai si è trasformato in un Cavaliere Noiosissimo o in un Tiranno Manesco. Non si tratta di una tendenza effimera e superficiale ma di un vero e proprio movimento di fondo, una moltitudine di neo-egoisti o di sfigati che cercano affannosamente qualcuno disposto a sposarli o almeno a far loro compagnia. Oppure che con altrettanto affanno si difendono da qualunque intrusione nella loro quiete ordinata o nella loro sregolata promiscuità.

 

Impietosamente le statistiche ci raccontano che la coppia, intesa come modello di riferimento della società, sta lentamente sgretolandosi. I legami ondeggiano tra l’apparire un delicato sogno e l’essere un orribile incubo passando da uno all’altro con disarmante facilità. Per molti avere una relazione significa anche avere un mucchio di dispiaceri, di preoccupazioni, di seccature. Credo che dipenda innanzitutto dalla dilagante ed inarrestabile diffusione dell’individualismo. Oggi le persone sembrano ansiose di instaurare relazioni ma al tempo stesso appaiono timorose di restare impigliate in situazioni stabili e impegnative che possano limitare la loro libertà. La solitudine provoca insicurezza ma altrettanto sembra fare il vincolo.

 

In una relazione ci si può sentire incerti e sfiduciati allo stesso modo di quanto lo si sarebbe senza di essa, o addirittura palteggio. Cambia solo il nome che si dà alla propria ansia. Ognuno quindi si sente legittimato, se non obbligato, a collocarsi al centro della propria realtà. Vuole decidere da solo della propria esistenza, costruendosi prima di tutto come individuo autonomo. Vuole essere “se stesso”, emancipato e libero come per altro impone il modello sociale e ancor più quello educativo che spinge i bambini fin da piccoli a mostrarsi spregiudicati e autosufficienti. Solo in seguito l’individuo, dopo essere riuscito ad affermarsi in quanto tale, si pone il problema di far entrare gli altri nella propria vita ma, attenzione, senza mai rinunciare a se stesso, alla propria sovranità, ai propri ritmi, alle proprie abitudini. In altre parole cerca qualcuno capace di adattarsi esattamente a lui, senza mettere in discussione il suo universo. La coppia, purtroppo o per fortuna, obbliga invece al confronto con l’altro, costringe a mediare e a scendere a compromessi, impone di rinunciare a qualcosa di se stessi e della propria identità.

 

I single non vogliono rinunciare a niente di sé e a nessuno dei propri spazi. Sono la piena espressione di una società dominata da un narcisistico consumismo con il mito dell’eterna giovinezza. Orgogliosa o avvilente, provvisoria o definitiva, la condizione del single è quella di chi continua ad immedesimarsi nella dinamicità della gioventù, una realtà dove il futuro appare aperto e ricco di prospettive.

 

L’allungamento dell’aspettativa di vita e i miti incessantemente offerti dalla società e dai mass media rendono sempre più difficile accettare le ingiurie del tempo che passa soprattutto per gli uomini che possono rinviare questo delicato momento fino alle soglie dei sessant’anni. E in questa prospettiva c’è chi rimane prigioniero del proprio narcisismo, compiacendosi della condizione di eterno adolescente.

 

Per le donne, invece, i nodi vengono al pettine prima, fra i trenta e i quarant’anni, quando cominciano a sentirsi costrette ad interrogarsi sulle scelte da fare soprattutto in funzione di una possibile maternità. È un periodo spesso molto critico vissuto dalle donne sole tra contraddizioni, punti di domanda e desideri contrapposti. Con un occhio sociologicamente più orientato possiamo far risalire questi dubbi alla vecchia suddivisione che, in assenza di un partner, classificava le donne in nubili e zitelle. Le prime, anche se non maritate, si guadagnavano, almeno in apparenza, il rispetto sociale in virtù di una potenziale collocabilità matrimoniale. Le zitelle, invece, un disastro. Il concetto era quello che una donna privata del suggestivo potere soprannaturale del sesso maschile e della ancora più indispensabile maternità, non essendo tra l’altro concepibile che pur senza marito una signorina di buona famiglia potesse fornicare, fosse destinata a patire atroci conseguenze diventando isterica o pazza. E zitella era anche sinonimo di cattiveria, sempre a causa della suddetta mancanza del maschio, al punto che molte diventavano cattive sul serio, per difesa o per vendetta. Oggi almeno è uscita dal vocabolario la parola disonorante sostituita dal garbato e imparziale “single”. Per gentilezza, per rispetto, per buon gusto ma anche perché nel panorama femminile le cose sono cambiate parecchio.

 

La maggior parte delle donne, raggiunta l’indipendenza economica, può scegliere di vivere come vuole, di rimanere o di ritornare “zitella”. Non sposarsi non è più una vergogna sociale e non è la fine del mondo divorziare. Essere single può essere una condizione dinamica e appagante che sempre più spesso diventa una posizione stabile per scarsità di uomini accettabili o disponibili ma anche perché le donne, che spesso in passato erano disposte a chiudere un occhio pur di ottenere lo status di moglie, sono diventate più esigenti e meno inclini ad accettare le sempre più vistose imperfezioni del mondo maschile, preferendo rinunciare alla presenza fissa di un uomo nella loro vita.

 

La zitella, quella che non si sposa, è perciò una categoria che parrebbe in via di estinzione sotto la spinta di un fiume di donne separate o divorziate che si confrontano con un rivoletto di separati o divorziati, molto sfuggenti e spesso molto spaventati, e la maggior parte di esse, dopo un’esperienza matrimoniale rovinosa o anche solo deludente, preferisce godersi la vita con l’opzione di un gentile amico, meglio se gay, per le occasioni sociali più importanti. In altri termini, in assenza di una relazione affettiva stabile, l’uomo vive un senso di frustrazione e di disagio, in buona parte derivanti dall’insoddisfazione per le proprie condizioni di vita, ma anche a causa della ridotta possibilità di poter sublimare l’energia sessuale attraverso attività compensative. Questo spostamento invece riesce di più alla donna che, investendo maggiormente negli interessi sociali, assegna al legame affettivo una posizione di minor importanza. Sullo sfondo campeggia comunque il difficile momento che sembrano attraversare le relazioni tra uomini e donne: gli uomini aspirano sempre di più ad una vita familiare tranquilla e senza conflitti mentre le donne desiderano una tensione maggiore ed una più intensa dinamicità nella vita di coppia e richiedono agli uomini maggior impegno e coinvolgimento, da qui l’impressione di non riuscire a trovare l’uomo all’altezza delle loro aspirazioni.

 

Tuttavia non è sempre così facile accettare i piaceri della solitudine. In molti sono ancora lì a fantasticare su di una nuova anima gemella, a rivolgersi alle rubriche dei cuori solitari, a navigare ossessivamente nelle chat, a darsi da fare con alacre e lodevole impegno per prendere, il più delle volte, nuove e più scottanti fregature. In un recente articolo del British Medical Journal si ipotizza addirittura la possibilità di una patologica auto-intossicazione da solitudine. Secondo i ricercatori molti single si rinchiuderebbero in un circolo vizioso dal quale non riuscirebbero a liberarsi nemmeno di fronte alle opportunità più stimolanti. Ad avere la meglio nelle occasioni che la vita comunque offre sarebbero alla fine il nervosismo, la bassa autostima, la timidezza o la sfiducia che relegherebbero il single in cerca di un partner al ruolo di perdente e rinforzando la sua solitudine.

 

E la società? Si mostra tollerante o implicitamente continua a condannare la scelta dei single? Come in molte delle questioni collettive del nostro tempo la risposta è volutamente ambigua e si esprime con un doppio discorso. Da un lato vengono proclamati ed enfatizzati i valori della libertà e della tolleranza lasciando a ciascuno il privilegio e l’autorità di vivere come desidera. Dall’altro, tuttavia, i single vengono velatamente giudicati quali persone non del tutto nella norma. Come se in fondo, nonostante tutto, operasse ancora un modello intrinseco, quello della vita in coppia, a cui tutti gli individui dovrebbero far necessariamente riferimento. E i single, che non osservano questa norma, sono chiamati indirettamente a giustificarsi. Lo si ritrova nello sguardo della gente quando vede entrare qualcuno da solo in un ristorante o al cinema, nello sguardo pietosamente premuroso dell’operatore turistico all’atto della prenotazione singola, nella complice solidarietà della cassiera che registra il codice a barre delle vaschette monodose di cibi precotti. La vita da soli, dunque, presenta diversi aspetti di vulnerabilità e difficoltà, e l’esperienza del single, grazie anche alle latenti pressioni sociali, a volte non concede molto spazio a quei sentimenti di gioia e di pieno appagamento che sempre seguono il soddisfacimento di un bisogno o la realizzazione di un desiderio. Per questo vivere da single è anche una battaglia, specialmente a partire da una certa età.

 

dott. Filippo Nicolini, psicologo

 


 

Quanto costa cercare l’anima gemella?

 

Secondo i dati emersi da una ricerca condotta da uno dei più famosi siti per single presenti in rete, il portale Parship, la somma che un single investe per conquistare un partner è pari a 688,88 euro suddivisi, fra maschi e femmine, in cene, aperitivi, vestiti, spostamenti, cure di bellezza, parrucchiere. L’equivalente totale della spesa investita per “innamorarsi” è pari a 3,5 miliardi di euro, circa lo 0,25 del PIL! E la spesa aumenta ulteriormente se la ricerca dell’anima gemella viene affidata al web: i dating on line, uniti agli acquisti e alle prenotazioni di viaggi fanno spendere agli italiani altri 260 milioni di euro. Ma in alcuni Paesi europei le cose vanno anche peggio. I single britannici sono i più spendaccioni con 17 miliardi di euro totali seguiti dai francesi con 4,4 miliardi e dai tedeschi con 4 miliardi.

 

Sempre dalla stessa ricerca risulta che il campione statistico degli oltre sette milioni di single italiani si definisce spontaneo, informato sulla politica e curato nell’aspetto, ama corteggiare ma preferisce essere corteggiato. Per il 37% degli intervistati il partner dovrebbe essere più o meno coetaneo anche se non è un dato essenziale. Fondamentali, invece, alcune qualità: innanzitutto l’onestà seguita da fedeltà, voglia di vivere, gentilezza, umorismo, naturalezza e una buona intesa sessuale. Ne deriva che fiducia, fedeltà e comprensione reciproca sarebbero i punti fermi di un eventuale rapporto di coppia, dato per altro confermato dalla maggioranza degli intervistati per i quali la preoccupazione maggiore dell’essere single non è l’astinenza sessuale (9,8%) ma la mancanza di un punto di riferimento (46%).

 

 
In collaborazione con Help!

 

 


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