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Infanzia e televisione nel contesto quotidiano

 |  Redazione Sconfini

Da numerose ricerche emerge che in Italia i bambini già in età prescolare guardano la televisione in media due ore e mezza al giorno, con punte fino a cinque ore. Tale dato appare ancora più preoccupante considerando che, per la maggior parte del tempo, essi guardano la televisione da soli, rischiando non solo di essere esposti alla cattiva qualità dei programmi televisivi nelle ore da loro più utilizzate, ma anche di trascurare il tempo che potrebbero dedicare al gioco e ai rapporti con il resto della famiglia, preziosi per il loro sviluppo emotivo.

 

Per considerare i rischi nel rapporto televisione-bambino bisogna tenere presente due aspetti. In primo luogo, le aspettative che ha un adulto nei confronti della televisione sono differenti da quelle che si crea un bambino. Quest’ultimo ha bisogno di crearsi un’immagine della realtà e di costruirsi una rappresentazione del mondo degli adulti. La televisione è uno degli strumenti che egli utilizza per questo scopo e ha quindi per lui una funzione positiva. L’età, in tal senso, è un fattore estremamente importante: un bambino di quattro o cinque anni incomincia a percepire le prime differenze tra vero e falso, ma continua a confondersi ancora fino a circa sei, sette anni.

 

A dieci anni di età, in media ogni bambino ha già visto in televisione migliaia di ore di spettacoli con contenuti spesso violenti, da cui possono derivare conseguenze a volte daltrammatiche nel processo di formazione della personalità. Egli, infatti, può arrivare a confondere la violenza vera con quella televisiva, ad identificarsi in personaggi violenti, e a considerare l’aggressività come il modo migliore per gestire le situazioni difficili. Può trovarsi davanti a messaggi che, anziché rafforzare i valori, ampliare la conoscenza e sviluppare le capacità critiche, possono incrementare atteggiamenti distruttivi per se stesso e per gli altri. Inoltre, i tempi di attenzione in età infantile sono ancora brevi, quindi spesso il bambino risulta incapace di seguire il filo conduttore, la trama di una vicenda e, soprattutto, di collegarne il finale eventualmente moralistico con il resto. In altre parole, egli rischia non solo di trovarsi di fronte a messaggi che non è in grado di decodificare, ma anche di essere colpito maggiormente da immagini emotivamente più forti. A tal proposito, diventa molto importante che i genitori prestino attenzione a che cosa guardano i loro figli e, che, almeno qualche volta, stiano accanto a loro per aiutarli a filtrare e a decodificare la realtà che viene presentata dallo schermo.

 

Nella quotidianità i genitori devono spesso fare i conti con una vita frenetica che comporta un esito sul piano educativo di diminuzione dei momenti di condivisione e dialogo con i loro figli. I genitori dovrebbero cercare di ritagliare uno spazio di tempo da dedicare ai loro bambini cercando di conciliare gli orari di lavoro con quelli legati alla scuola e ad altre attività extrascolastiche. Non è raro che la solitudine e il senso di abbandono siano alcuni dei motivi che possono portare il bambino ad attribuire alla televisione il ruolo di genitore sostitutivo, sostitutivo di quelli esistenti e “insoddisfacenti”. Egli può sentire di aver trovato nella televisione un conforto e una compagnia, ma questo isolamento emotivo comporta il rischio di indurire il suo carattere e di rendere difficile il fluire delle sue affettività.

 

In secondo luogo, la rappresentazione delle immagini stimola soprattutto la percezione visiva. Il bambino si abitua fin dai primi anni a sviluppare soprattutto il senso della vista, a discapito degli altri sensi. Di certo lo sviluppo maggiore della visione lo preparerà al contesto mass mediatico dei nostri giorni: ai cellulari, a Internet. Ma, nel contempo, si può e si deve evitare che la percezione visiva diventi la sola forma di conoscenza della realtà.

 

Nella televisione di oggi i ritmi sono ancora più veloci di una volta: ci si abitua a captare messaggi prefabbricati dove l’apporto dello spettatore è minimo e l’attività delle immagini è rapidissima. Per i bambini è ancor più difficile avere il tempo di riflettere e rischiano di sviluppare un’attitudine passiva davanti al video pur essendo ottimi spettatori e sviluppando opinioni, rimanendo al contempo carenti nella capacità di prendere iniziative. Tutte le immagini che passano davanti ai loro occhi si sostituiscono ad esperienze che potrebbero vivere nella realtà e di cui potrebbero analizzarne il significato con tempi più lunghi rispetto allo schermo. Ad esempio, una storia che in televisione si conclude in venti minuti o in un’ora, nella realtà durerebbe di più, dando il tempo di rifletterci sopra. Non dobbiamo dimenticare che lo sviluppo psichico del bambino è legato principalmente al movimento. L’attività motoria gli permette attraverso tutti i sensi di alimentare l’esperienza, fondamento del suo pensiero. La tv lo costringe ad un’immobilità innaturale che limita la vastità degli stimoli sensoriali portando invece sensazioni artificiali e irreali.

 

D’altro canto non si può negare che la televisione abbia anche la funzione positiva di favorire la crescita e l’educazione, informare e persino formare attraverso programmi di qualità. Basti pensare al telegiornale per i ragazzi, a trasmissioni che in forma documentaristica o animata trattano temi di storia, geografia o scienze naturali; e ad alcuni programmi di intrattenimento pomeridiani molto ben fatti che si propongono obiettivi cognitivi, logici e linguistici.

 

Ma la televisione non deve sostituirsi ai momenti che dovrebbero invece essere dedicati al movimento, al gioco, alla comunicazione e all’ascolto, allo scambio di opinioni e di idee e anche alla presentazione di problemi personali. In questo senso, la famiglia gioca un ruolo essenziale. Bisognerebbe scegliere, valutare, stabilire un tetto minimo di ore per giorno da dedicare ai propri figli, modificandolo a seconda dell’età, per creare e proporre attività diverse ed alternative alla tv. Ad esempio, leggere le fiabe ai piccoli è determinante per comunicare loro il nostro affetto e per trasmettere un messaggio armonico. È una possibilità di dialogare con loro, in modo adeguato all’età, con comprensione e rispetto. Inoltre, può essere utile anche a genitori impegnati approfondire o recuperare il rapporto dei loro figli con i nonni. Essi sono una risorsa preziosa spesso trascurata o dimenticata. I bambini hanno bisogno di ascoltare le storie di famiglia dai nonni per sentirsi parte di un sistema familiare.

 

Gli effetti della televisione sui bambini dipendono, quindi, non solo dalla scelta dei programmi, ma anche dall’abitudine ad un utilizzo “più sano” del mezzo. La famiglia ha la responsabilità della gestione di questo strumento affinché non venga minata la possibilità di un loro corretto sviluppo.

 

dott.ssa Kristina Calvi, psicologa

 

 

 In collaborazione con Help!

 

 


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