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Ruthson Zimmerman

Discriminazioni di genere: la precarietà rende sterili

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Le politiche orientate alla parità formale hanno in Italia una tradizione ampia e consolidata eppure le pari opportunità non hanno e non hanno avuto vita facile. Oggi solo il 47% delle donne italiane lavora: il nostro Paese mantiene la percentuale più bassa rispetto alla media europea. Le disparità fra i due sessi permangono e si ripercuotono nelle nuove dinamiche sociali e nelle nuove condizioni sia produttive che riproduttive.


“La precarietà rende sterili”, ha ricordato Eloisa Cignatta, presidente della Commissione Pari Opportunità della Provincia di Trieste, intervenendo alla recente tavola rotonda sul tema “Le discriminazioni di genere in tempo di crisi”. Uno slogan più che mai efficace nell’evocare e sintetizzare la realtà che vede le donne vivere condizioni difficili da conciliare: molti ostacoli legati alla discriminazione di genere, molteplicità dei ruoli ricoperti (madre, colonna portante nella gestione famigliare e lavoratrice), insufficienza se non assenza di servizi.
Le battaglie storiche per i diritti e per aprire spazi di democrazia e libertà, non hanno sciolto il nodo della partecipazione paritaria sia a livello economico, sociale e politico. Le donne italiane rispetto al passato sono paradossalmente più occupate, più disoccupate, più precarie. Sono una componente dinamica e innovativa del mercato del lavoro perché sono maggiormente scolarizzate e qualificate, ma vedono irrisolti il dilemma e l’obiettivo del rendere compatibile il lavoro professionale con le responsabilità familiari. Vivono con enormi difficoltà i profondi cambiamenti del lavoro, sempre più precario ed esigente in termini di tempo ed attenzione, e le modificazioni delle famiglie, sempre più incerte e poco corrispondenti alle aspirazioni delle donne.
I tassi di attività e di occupazione femminile sono ancora drammaticamente al di sotto di quelli europei e di conseguenza i vincoli di Lisbona (l’obiettivo del 60% di occupazione femminile per il 2010 è fallito) impongono all’Italia una crescita straordinaria dell’occupazione femminile, sia in termini di ritmo sostenuto e di tenuta costante, sia in termini di qualità e stabilità. La crescita dell’occupazione femminile (e giovanile) andrebbe assunta come fattore strategico di sviluppo, oltre che di sostegno esplicito e determinato alle scelte femminili. I risultati positivi della componente femminile, che rimangono bassi soprattutto nel mezzogiorno, hanno messo in evidenza che la crescita dell’occupazione è legata prevalentemente al lavoro atipico e a quello temporaneo, e hanno segnalato che le donne beneficiano molto meno degli uomini delle opportunità di stabilizzazione dei rapporti di lavoro e degli ammortizzatori sociali.
All’esigenza di rompere le barriere segreganti e di aprire percorsi di valorizzazione delle competenze e di riconoscimento di responsabilità decisionali, si oppone un inedito sistema di danneggiamento della figura femminile, che ha maturato nuove strategie, per tentare di ridurre la donna alla sola dimensione fisica e al piacere esclusivamente sessuale. “Donne oggetto e destinatarie di “mobbing strategico” sul posto di lavoro fino all’ignobile ricatto sessuale: non sono episodi isolati anche se l’omertà è spesso la regola”. Questa la drammatica denuncia lanciata da Lucia Basso, Consigliera di Parità della Regione Veneto. Per scardinare questo sistema, è necessario prevenire le discriminazioni ed essere solidali, superando nuovi e antichi conflitti, impegnare le forze nella formazione scolastica e professionale, ampliare i servizi alla famiglia, strutturare chiare ed efficaci politiche a sostegno della donna al fine di tutelarla e promuoverla nel mondo del lavoro.
Tutte d’accordo che la questione è squisitamente culturale, che “la partita si deve condurre ex novo sulla base di una Carta delle Pari Opportunità e su un rinnovato quadro legislativo” (il Friuli Venezia Giulia non ha una legge quadro sulle pari opportunità): è stata la proposta di Elisabetta Basso, consigliera di Parità della Provincia di Udine. Le politiche integrate su questi temi devono tenere conto delle differenze di genere per le imprese e le organizzazioni, che poi in primo luogo vuol dire cambiare i sistemi di accesso al lavoro, di valutazione e valorizzazione delle competenze.
“Individuare soggetti – ha sostenuto Elisabetta Tigani Sava, presidente dell’associazione Rete D.P.I. Nodo di Trieste – che assolvano il compito di fare da tramite tra Istituzioni e territorio, appare prioritario, diffondendo la cultura di genere e delle pari opportunità e l’attuazione di buone prassi, promuovendo la partecipazione delle donne nei centri decisionali in ogni ambito, la collaborazione e lo scambio di esperienze con associazioni e organismi impegnati su temi affini a quelli dell’associazione”.
Argomenti ripresi e sviluppati anche da Lucia Starace, presidente del Comitato Pari Opportunità dell’Ass n° 1 “Triestina”: “La politica delle donne nel presente periodo – sostiene – dovrà consistere nel vigilare sui regolatori (Stato e Regioni) affinché la ristrutturazione del mercato per superare la crisi e indurre la ricrescita si basi sulla rimodulazione dell’offerta di lavoro femminile centrata sull’adeguamento delle competenze alle nuove esigenze produttive. Se così non facessimo rischieremmo di vedere le donne ricacciate nelle case, con conseguente perdita di autonomia finanziaria e di quella autodeterminazione e libertà di scelta per le quali abbiamo in tante combattuto e tuttora combattiamo. La politica deve mantenere alta la guardia anche sulle condizioni di lavoro degli uomini e delle donne che in questo momento il lavoro ce l’hanno”. “Se poi l’azienda – conclude Lucia Starace – è un’azienda pubblica che produce servizi sanitari, si comprende anche come condizioni di lavoro soddisfacenti e lavoratori soddisfatti possano contribuire a garantire adeguati standard di qualità dei servizi ai cittadini e anche compensare, in qualche misura, le conseguenze negative sul funzionamento dell’organizzazione di tagli di spesa imposti dalla contingenza economica sfavorevole”.
Ignazia Zanzi

BOX: Associazione RETE D.P.I. Nodo di Trieste

L’associazione Rete D.P.I. Nodo di Trieste nasce dall’esperienza dei Corsi “Donne Politica e Istituzioni” organizzati dal 2005 dall’Università degli Studi di Trieste, su iniziativa del Ministero per le Pari Opportunità e in collaborazione con la Scuola Superiore della Pubblica amministrazione e con il cofinanziamento della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
L’associazione fondata da ex corsiste nel 2007 ha carattere solidaristico e lo scopo di promuovere progetti, svolgere attività di utilità sociale e culturale in materia di Pari Opportunità di genere, con la finalità di: raggiungere una sostanziale parità fra uomo e donna come sancito dalla Costituzione agli artt. 3 e 51 e dalle altre fonti dell’ordinamento giuridico italiano e internazionale; promuovere una cultura e un’educazione che trasformino gli atteggiamenti e i valori sociali che condizionano l’immagine della donna; realizzare progetti attraverso contributi e/o finanziamenti pubblici e/o privati operando ai sensi della Legge 7 dicembre 2000, n. 383, svolgendo la sua attività preminentemente nell’ambito territoriale delle province di Trieste e Gorizia.


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