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Berlusconi e il cine-panettone che si è mangiato da solo

 |  Redazione Sconfini

Per il presidente del Consiglio le elezioni europee dovevano essere un trionfo. La benedizione plebiscitaria data in via definitiva dagli italiani all’uomo che in quindici anni non solo ha rifondato il centrodestra, ma ha rivoluzionato con la sua presenza e il suo linguaggio l’intero panorama politico nazionale. Riuscendo nel contempo a plasmare a sua forma e somiglianza l’immaginario e le aspettative di una buona fetta del Paese.

 

Non a caso la campagna elettorale era stata impostata dai vertici berlusconiani come una non-campagna. Ridotta al minimo la propaganda messianica e mobilitatrice di folle, basata sul preteso messaggio redentore contenuto nel profilo biografico del Cavaliere. Questo a beneficio di un registro moderato che doveva limitarsi a illustrare con pacatezza e sicurezza i risultati del primo anno di governo. La formula doveva essere appunto più governo e meno premier. Contando soprattutto sulle risposte complessivamente efficaci che l’esecutivo era riuscito a elaborare a una serie di emergenze, molto più che sulla rivendicazione degli sforzi compiuti per dare applicazione alle promesse fatte in campagna elettorale.

 

Nelle intenzioni bisognava quindi sottolineare la sostanziale tenuta del Paese di fronte ai colpi della crisi economica mondiale. Poi l’incisività dell’azione per risolvere gli aspetti se non altro più vistosi del problema dei rifiuti a Napoli. Infine la prontezza e l’immagine di affidabilità assicurate nelle fasi più acute del dramma del terremoto in Abruzzo. Il tutto confezionato per l’esterno nei canoni del nuovo look finalmente ritagliato intorno alla figura del premier, quello cioè di un Berlusconi interprete legittimo e riconosciuto dell’interesse nazionale.

 

Una veste che ha debuttato con successo lo scorso 25 aprile, con un discorso di celebrazione della festa della Liberazione il cui significato era proiettato molto oltre agli steccati dell’occasione contingente. Perché in fondo mirava a suggellare il completamento del lungo viaggio del berlusconismo nei territori della altdelegittimazione radicale, chiudendo quella guerra civile “fredda”, combattuta attorno al rifiuto o all’accettazione della stessa presenza politica del Cavaliere, che ha spaccato in due la società italiana per un quindicennio. Monopolizzando e perciò danneggiando gravemente la discussione quotidiana sui bisogni del Paese e sulle scelte da fare per il suo bene.

 

Ma niente è andato come previsto. Una volta di più la vita privata di Berlusconi ha fatto irruzione sulla scena pubblica, secondo un copione piuttosto scontato che aveva bisogno solo di tempo per precipitare di livello come in questi mesi. Infatti sin dagli esordi della sua discesa in campo era stato Berlusconi per primo a trascinare in piazza la sua storia personale, per sfruttare il suo potenziale di fascino davanti all’immaginario delle masse italiane. Educate già da tempo ai miti edonisti della tv commerciale e ansiose di identificarsi nell’ascesa irresistibile di un uomo che sembrava incarnarli tutti.

 

Dalla metà degli anni Novanta, l’Italia intera diventava così la scenografia di un totalizzante cine-panettone alla Vanzina. Che si reggeva sul corto circuito programmatico tra il pubblico e il privato del suo assoluto protagonista, quella sorta di cummenda brianzolo partito dal nulla e arrivato alle glorie del potere economico, mediatico e politico. Una storia italiana, appunto, dipanatasi all’ombra della prima Repubblica e in quanto tale non esente da misteri e segreti. Davanti ai quali gli italiani hanno dimostrato di voler chiudere gli occhi fin tanto che lo schermo proiettasse avanti la grande illusione, quella di poter partecipare da piccoli azionisti al successo materiale dell’azienda del premier-padrone.

 

Invece le elezioni europee hanno interrotto bruscamente lo spettacolo. La perdita di due punti percentuali subita dal Pdl rispetto alle politiche dell’anno scorso, così come il mancato traguardo personale dei tre milioni di preferenze, costituiscono probabilmente il segnale che qualcosa di nodale si è rotto nel processo di identificazione del Paese nel destino del Cavaliere. Lo scandalo dei festini equivoci da sultano nell’harem racconta forse che un limite è stato varcato.

 

Ma come altre volte in passato, non hanno pesato più di tanto le versioni contraddittorie fornite dal premier per spiegare invano le origini e la natura di alcune sue frequentazioni femminili. Più che altro il suo comportamento megalomane è finito in rotta di collisione con la tipica doppia morale nazionale, figlia diretta del perbenismo cattolico, indulgente con i peccati di carne nella misura in cui siano consumati con un minimo di circospetta impostura. Da sempre in Italia tutti sanno tutto, ma tutti devono poter fare finta di non sapere niente. Partecipando alla festa di compleanno di una diciottenne napoletana in qualità ufficiale di “papi”, Berlusconi ha introdotto involontariamente gli italiani nel retro degli studi del suo sfavillante one-man-show. Molti, con pudicizia un po’ ipocrita, hanno preferito voltare lo sguardo.

Patrick Karlsen

 

 

In collaborazione con Help!

 

 


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