Friuli Venezia Giulia: la Lega vuole negare le cure mediche ai clandestini
Un dibattito decisamente "attuale" si è avviato in questi giorni in seno al Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia. La vivace - e sempre più xenofoba - Lega Nord, nella coalizione di Governo dalle ultime elezioni del 2008 che hanno premiato il centrodestra, propone di rifiutare le cure mediche non urgenti agli immigrati clandestini e ai lavoratori transfrontalieri (di cui la regione è piena) non regolarizzati.
La proposta è di Danilo Narduzzi, esponente della Lega in Consiglio Regionale, che fa affidamento ai dati dei sindacati secondo cui sarebbero più di 20mila - di cui oltre la metà badanti - gli immigrati irregolari in regione. Allo stato attuale, se un immigrato sta male va al pronto soccorso e chiede di essere curato e ciò secondo i leghisti non è accettabile perché non si fa differenza tra un cittadino regolare che paga le tasse da un clandestino. Non solo, secondo Narduzzi e i suoi compagni di partito, bisogna che il medico segnali alle autorità il clandestino affinché venga espulso immediatamente dal Paese.
La risposta dei medici, e anche dell'assessore alla Sanità, il tecnico Vladimiro Kosic, però non è certamente in linea con l'idea dei leghisti.L'azienda per i Servizi Sanitari numero 6, quella di Pordenone, ha invitato con una lettera tutte le strutture pubbliche della Regione a continuare nei programmi di assistenza e cura degli immigrati irregolari avviati dalla giunta di centrosinistra che ha governato il Friuli fino alle scorse elezioni. E infatti: «Bisogna curare e garantire assistenza a tutti, senza distinzione» afferma Luigi Conte, presidente dell'Ordine dei medici di Udine. Lui considera intollerabile la posizione della Lega, che vuole limitare le cure per i clandestini agli interventi urgenti e non differibili, e vorrebbe anche che i pazienti senza permesso di soggiorno fossero segnalati alle autorità. «Il medico non è un delatore» tuona Conte, preoccupato dal pericolo «per gli individui e la collettività» che verrebbe dalla nascita di una «clandestinità sanitaria», o una «sanità parallela» priva di controllo.
Siamo di fronte quindi ad una scelta di civiltà?
- Bisogna negare il diritto alle cure (tra l'altro presente anche all'art.25 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani) ai clandestini, supposti come elementi pericolosi e che non contribuiscono con le tasse alle sopravvivenza dello Stato? E questo, anche a costo di obbligare i medici di andare contro il giuramento di Ippocrate e farli diventare "spie"?
- Oppure è necessario garantire a tutti il minimo trattamento e le necessarie cure sanitarie, a prescindere dalla loro condizione sociale?
Pochi anni fa, almeno nell'accogliente e culturalmente eccellente Italia, non ci sarebbero state neppure queste discussioni. Ma ora?