Prima o poi doveva accadere. La crisi finanziaria giunta in molti Paesi allo stato terminale bussa alle porte dell'Italia.
Dopo l'ufficializzazione della crisi di Cipro è la volta di un Paese confinante al (una volta) ricco nord est italiano: il prossimo obiettivo della finanza speculativa e della Germania pigliatutto è la Slovenia, stato nato meno di 20 anni fa e già alle prese con forze centrifughe impensabili sono fino a pochi anni fa, quando la sua economia sembrava essere un modello da imitare. Dal suo ingresso nell'euro la Slovenia ha attratto molti capitali stranieri, specialmente tedeschi ed è potuta crescere a buon ritmo. Ora la finanza teutonica presenta il conto.
Anche qui il centro del problema è il sistema bancario, in sofferenza per 20 miliardi di euro. Il nuovissimo esecutivo (quello precedente fu costretto a battere in ritirata per numerosi episodi di corruzione) della premier Alenka Bratusek ha fatto sapere che si impegnerà a prolungare l'operazione da 4 miliardi di euro volta a ricapitalizzare le banche prevista dal predecessore Jansa.
Il problema è che non si capisce da dove tireranno fuori questi soldi: il Pil del 2012 è sceso del 2,3%, la disoccupazione è quasi al 10% e le esportazioni (parte delle quali erano rivolte proprio al vicino italiano in una crisi ancora più profonda) sono in frenata. I tassi sul debito pubblico sono vicini al 5%.
Il pensiero arriva quindi presto alle ricchezze dei privati cittadini, depositate nei conti correnti e che rappresentano il 135% del Pil (per l'ipertrofico sistema bancario di Cipro si parla dell'800%). E' l'ennesima dimostrazione che tutte le nazioni di Eurolandia, tranne una, la Germania, cioè quella che sta imponendo il rientro dei capitali investiti in Paesi stranieri, sono strettamente legate da un filo invisibile. Una volta che il cappio è stato annodato a una di esse la corda prosegue implacabilmente a stringere il collo della successiva e così via.
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