Scienze legali e giurisprudenza: la via verso una legge comunitaria unica
Lo scorso 22 gennaio 2010 si è svolto a Salisburgo, in Austria, presso il Centro di eccellenza Jean Monnet per gli studi europei, un congresso che ha discusso il tema della giurisprudenza nazionale ed europea e delle scienze legali. La domanda alla quale si è cercata una risposta, o quanto meno una chiarificazione, è stata: esiste un organo o l’intenzione di realizzare una commissione che si occupi di trasformare in leggi comunitarie le sentenze emanate dalla Corte di Giustizia europea per ottenere una codificazione europea? Ovvero per riconvertire la giurisprudenza in scienza legale a livello europeo.
I partecipanti sono stati personaggi di spicco: i presidenti delle Corti di Cassazione e Corti Supreme di diversi Paesi europei, quali la dott.ssa Gries, presidente della Corte Suprema austriaca, il dott. Melchior, presidente della Corte Suprema danese, la prof.ssa Vacca, membro del Consiglio superiore della Magistratura italiana, il prof. Kathrein del Ministero federale di Giustizia austriaco, il prof. Gambaro dell’Università Statale di Milano ed infine il dott. Jann, il presidente della Corte di Giustizia europea di Lussemburgo. Tutti gli oratori hanno sottolineato il bisogno di un’assistenza maggiore degli esperti nei casi relativi alle leggi comunitarie. Le relazioni tra le Corti di Cassazione dei singoli Paesi e quella europea sono molto buone, però le difficoltà sono determinate principalmente dal fatto che i giudici europei sollevano più domande, invece di sbrogliare la matassa di quesiti. In molti casi le leggi nazionali mancano delle normative necessarie per seguire i giudizi espressi dalla Corte di Giustizia europea, anche perché questi ultimi sono piuttosto corti e concisi e non sempre la loro interpretazione è facilmente intelligibile. Non c’è alcuna argomentazione e discussione delle sentenze in libri ed articoli e molte volte la Corte europea non è in grado di fornire i criteri attraverso i quali le Corti nazionali possono agire.
La realtà è che la pratica giuridica oggi si distanzia dall’elaborazione teorica, la quale a sua volta non percepisce l’interpretazione del diritto che viene dalle aule. Per questo motivo è difficile per i diversi Paesi europei tenere il passo con l’implementazione delle leggi comunitarie. In parole povere gli effetti giuridici prodotti non vengono trasposti in un vero e proprio codice, fonte delle scienze legali, ma restano in forma di sentenza e nel momento in cui si presenta un caso analogo ci si rifà alla giurisdizione, ripartendo sempre dallo stesso dilemma. Nella società moderna e nell’economia globale i confini nazionali sono diventati irrilevanti ed i problemi devono ottenere una risposta uniforme in tutto il territorio dell’Unione europea. L’identità culturale europea deve mantenere la sua forza al di là delle diversità nazionali.
La soluzione potrebbe essere una commissione incaricata allo studio del diritto europeo comparato e di tutte le sentenze ai singoli casi. In realtà la trasformazione dell’ordine legale è in qualche modo iniziata, ma la struttura è labile e non è del tutto culturalmente avviata; ci sono molteplici lacune dottrinali che devono essere sviluppate, parallelamente ad un pensiero politico integrato. In questo work in progress uno degli ostacoli è rappresentato dalla divisione dei poteri politici e quelli giudiziari. Il dubbio generale è costituito dalla validità di una legge basata su una sentenza. Nella nostra cultura la legge viene fatta dalla politica e la giurisdizione è una semplice funzione pubblica, tesa all’interpretazione del diritto oggettivo, rendendolo operante nel caso concreto. Anche Savigny, giurista, filosofo e politico tedesco, fondatore della Scuola storica del diritto e precursore della pandettistica, sosteneva che il giudice è un mero interprete della legge e ricopre un ruolo delimitato dai confini della legge stessa.
È proprio questa la questione: i giuristi sono sempre più impegnati nell’individuare il processo evolutivo per il nuovo modello europeo, ma vogliamo dare così tanta autonomia ai giudici… Questa sfida è importante per il futuro di tutti i cittadini dell’Unione europea, un traguardo difficile ma fondamentale da raggiungere. Le funzioni di un’ipotetica commissione sarebbero quelle di confrontare tra loro i diversi atti scritti e le varie culture del diritto degli Stati membri per ricavarne gli strumenti e quindi le basi di una cultura legale europea.
Ad oggi tutte le lingue dell’Unione sono lingue ufficiali, con pari valore e dignità. Per poter dare lo stesso peso e rilevanza anche alle diverse culture legali bisogna intraprendere un percorso storico, fatto di codici, studiosi e teorie basate sull’accettazione di più sistemi e fonti, dalle quali trarre un iter più semplice e condiviso. Per ottenere un corpo legislativo privo di contraddizioni bisogna riferirsi a codici monolinguistici; anche questa non è una sfida semplice perché la cosa più importante non è tanto la forma ma la coerenza.
La risposta fondante, com’è emerso dal congresso di Salisburgo, può venire dall’unità nelle linee di edificazione ed evoluzione del diritto, tramite il dialogo tra i Paesi di civil law e quelli di common law. Nella riflessione dei giuristi europei, infatti, si contendono il campo il modello normativo e quello giudiziario, che si devono sviluppare nella realtà concreta come modello del positivismo giuridico per l’armonizzazione del diritto. Nella tradizione legale occidentale la legge ha una logica interna ai cambiamenti, ovvero essa ingloba un processo di reinterpretazione di tutto ciò che è stato scritto e codificato per un suo presente e futuro.
Martina Pluda