Pedagogia clinica: l’approccio olistico ai problemi di apprendimento e comportamento
La pedagogia clinica è una disciplina che intende soddisfare i bisogni educativi del singolo individuo sia esso bambino, adolescente, adulto o anziano, con metodologie e tecniche proprie atte al recupero di abilità tenendo in considerazione ogni aspetto della “persona” che si ha di fronte.
Il soggetto in difficoltà, oltre ad essere un soggetto con un “problema”, è innanzi tutto una persona e in quanto tale è prima di tutto un essere umano che ha bisogno di aiuto. Il deficit non come malattia, dunque, ma soprattutto come allarme in un quadro complesso di problematiche e di difficoltà che gli consentono comunque di esprimere “qualcosa”.
L’ambiente nel quale più spesso si verificano difficoltà è, tra le varie organizzazioni educative, l’istituzione “scuola”. In questo contesto molto spesso è difficile trovare il tempo per dedicarsi ad ogni bambino che evidenzia problemi, siano essi disagi sociali, relazionali, comportamentali o di apprendimento. Gli operatori scolastici spesso si trovano a dover far fronte a problemi che dovrebbero essere considerati da più angolazioni.
L’osservazione pedagogica dovrebbe tener conto di più fattori e tutti dovrebbero concorrere alla realizzazione di un piano educativo atto al miglioramento psico-socio-cognitivo del soggetto in difficoltà. Di fronte agli alunni “problematici” gli strumenti e i metodi dovrebbero andare oltre alle modalità tipiche dell’istituzione scolastica; ecco che un lavoro di squadra tra professionisti e operatori scolastici è, oltre che auspicabile, doveroso. L’elaborazione del profilo soggettivo dell’alunno dovrebbe prevedere un’attenta osservazione da un punto di vista affettivo, sociale, comportamentale, psichico e fisico, e laddove si evidenziano i cosiddetti problemi d’apprendimento è necessario un recupero di quelle abilità possedute ma sopite.
Molto spesso, quando si evidenziano problemi di apprendimento, i bambini vengono subissati da test, prove e correzioni mirate alla “disfunzione”. Troppe volte i bambini che si presentano negli studi professionali sono stanchi e demotivati proprio perché sanno che “si è alla ricerca di ciò che non va”. Se per un attimo lasciassimo da parte le variabili negative, peraltro evidenti data la richiesta di aiuto, partendo dalle abilità, i bambini acquisirebbero più fiducia in se stessi.
Per fare ciò dovremo recuperare il concetto, peraltro fondamentale nella filosofia e nella pratica pedagogico-clinica, della distinzione tra “l’abducere” e “l’educere”. Lungi infatti dalla metodica propria della pedagogia clinica “abducere” ossia “inculcare” nel senso di addestrare, trasferire da una persona ad un’altra informazioni o insegnamenti, ma trova, nell’ambito dei propri interventi e riflessioni, piena soddisfazione nella filosofia “dell’educere” ossia del “tirar fuori”. Ogni persona nasconde modalità apprenditive, atteggiamenti e predisposizioni che sono diverse quante diverse sono le persone del mondo.
Finalità della pedagogia clinica deve essere il dare strumenti ad ogni educando per autoeducarsi. Solo concentrandosi sull’originalità dell’essere e sulle peculiarità di ognuno potremo trovare la via d’accesso che consentirà un percorso di intervento più breve.
Secondo quanto sin qui espresso, il recupero delle difficoltà di linguaggio, di apprendimento, di attenzione e concentrazione, di comportamento, delle abilità grafo segniche, grafo pittoriche, di decodifica e codifica scrittoria trovano in un approccio “olistico”, ovvero in un “metodo globale di rieducazione” che tenga conto del soggetto nella sua interezza e non lo costringa a “parcellizzare” il proprio essere, un adeguato intervento di aiuto.
dott.ssa Luisa Manosperti, pedagogista clinico,
direttore provinciale Anpec-Provincia di Trieste