Il potere della seduzione, punto di unione fra passione e illusione
È opinione comune, da sempre, che la retta via debba essere considerata rassicurante.
Non presenta inconvenienti, inciampi, ostacoli, la si può accompagnare con lo sguardo fino all’orizzonte. Ma due persone che camminano parallele, ognuna lungo la propria retta via, finiscono per non incontrarsi mai o, nella migliore delle ipotesi, s’incontrano all’infinito come spiega il noto, ancorché oscuro ad una mente non matematica, assunto geometrico. Diventa così indispensabile, per potersi incontrare, mutare direzione, allontanarsi dalla retta via oppure dirottare l’altro, spostarlo dal suo asse. Dunque, riprendendo una terminologia a me più cara, accettare di essere sedotti o imparare a sedurre. Ho scelto questo tema per il mese di febbraio dove il Carnevale incontra San Valentino, perché la seduzione agisce come una maschera teatrale: dà vita all’illusione, al sotterfugio, all’immaginario. Ciò che agisce in profondità sono i desideri inconsci, le motivazioni nascoste, le pulsioni sconvolgenti e l’effetto è sempre lo stesso: l’inatteso, il sorprendente, l’impensabile. Sì perché l’etimologia del verbo latino seducere ci fa sapere che non significa “condurre a sé”, come potrebbe erroneamente sembrare, ma trae origine da sed-ducere con il sed nel significato di “a parte”. Sedurre, quindi, equivale a “sviare, condurre in disparte”. E questo volgersi altrove, sia esso sentimentale, estetico, sessuale, si compie attraverso la fascinazione, che è suggestione, incantesimo, magia. Il fascino, lo charme, ha un forte potere coinvolgente, quasi ipnotico, così forte da prendere il sopravvento sui sensi, sulle emozioni e perfino sulla ragione. Il silenzio, l’indugio, l’attesa ed il sottile piacere ad essa collegato distendono il delicato filo conduttore di una sensualità risoluta e persistente, fonte di gratificazioni intense e assolutamente soggettive. Ciò che si presenta al nostro sguardo nelle allettanti sembianze di una promessa di compiacimento, sia esso un essere umano, un sogno, un ideale, il richiamo a qualche particolare percorso di ricerca, genera un turbamento che disorienta, che conduce “altrove” rispetto ai precedenti progetti, fuori dal perimetro dell’ordinata quotidianità. All’inizio tale richiamo lusinga, accende la nostra immaginazione, si prospetta come occasione di rinnovamento, di realizzazione ma poi si scopre che la seduzione può essere insidiosa, subdola, pericolosa, aprire ferite, scardinare gli equilibri, gettare l’emozione nelle tenebre. Re dei seduttori, nella vita cristiana, è, non a caso, il demonio, colui che per eccellenza induce al peccato, all’idolatria, alla disobbedienza, all’impurità. Per la Patristica Satana è il più antico seduttore del genere umano: furono sue vittime già Adamo ed Eva quando li tentò sotto le spoglie del mitico serpente e cercò di usare la seduzione addirittura con Gesù Cristo nel deserto. Meglio non essere toccati da lei, ammonivano perciò i tragici greci, perché non lascia mai indenni. Anzi rovina, porta scompiglio, spesso distruzione e perdita. Saffo per amore si lancia da un’alta rupe, Pietro e Giovanni evangelista abbandonano le loro famiglie e i loro mestieri, Tristano e Isotta si lasciano morire, Orlando perde il senno, Edipo ne viene accecato. Ma il gioco della seduzione è anche la rivelazione dell’inconfondibile unicità della persona e della sua storia. Chi è sedotto è sequestrato, preso prigioniero, rapito ad un proprio equilibrio di significati, trascinato altrove, ghermito da una forza a cui non può opporre resistenza. Ciò che appare al suo sentire nelle invitanti apparenze di una promessa di conquista suscita un disordine che disorienta, che spinge fuori dal perimetro dell’ordinaria quotidianità ma che fa anche divampare l’immaginazione offrendosi come opportunità di rigenerazione e di cambiamento. In altri termini attraverso la seduzione entriamo in risonanza con zone inesplorate e instabili della nostra psiche che possono essere individuate solo attraverso una loro proiezione sull’altro. Altro che rappresenta allora l’occasione esclusiva ed ineguagliabile di un confronto con una dimensione inconscia, con un contesto sconosciuto del nostro esistere che ha bisogno di essere individuato, osservato e integrato dalla coscienza. Così la natura della seduzione è sempre misteriosa e sfuggente. La sua ambivalenza spesso si fonda su un equivoco: siamo stregati da un’immagine che giudichiamo ideale salvo poi comprendere che ha le sembianze dei nostri più oscuri fantasmi. Ecco perché l’amato o l’amata possono nel contempo presentarsi come l’incarnazione di una speranza di completezza o come ingannatori delle nostre attese in una continua replica della sfida del perdersi e del ritrovarsi. È forte la convinzione, anzi l’illusione, che amare sia facile, che l’innamoramento sia l’espressione interiore più istintiva e genuina dell’essere umano, che non occorra perizia o preparazione per conoscere l’arte di conquistare e quella di essere conquistati. Nel mondo greco antico, soprattutto in quello presocratico, la dea del fascino, della sensualità, della bellezza tentatrice era Afrodite. Ma i padri della sapienza, sophia, denotavano Afrodite anche come artefice della conoscenza, di un sapere di natura non logica e razionale che accompagnava la comprensione attraverso sentimenti, intuizioni ed emozioni. E nell’esplorazione delle passioni e dei meandri dell’amore le affiancavano l’essenziale aiuto di Hermes e di Eros. Hermes controllava l’obliquità degli sguardi, il vedere attraverso, l’arte dell’appropriarsi delle conoscenze sepolte nelle tenebre dell’Ombra, dirigeva l’insistente e continuo collegamento tra l’umano e il divino, tra il cosciente e l’inconscio mentre Eros sosteneva i rapporti, agiva da collante tra le persone e concedeva amicizia e affettività. Una triade micidiale grazie alla quale la seduzione poteva esprimere tutta la sua capacità di separare, dividere, sviare, alterare e presiedere, ancorché in modo funzionale, alla riorganizzazione di un nuovo assetto psicologico. E ancor oggi quella della seduzione è una suggestione particolare, una tentazione dal ritmo insolito, fatta di avvicinamenti e distacchi, di contatti e di isolamenti, di significati assoluti e di completi smarrimenti davanti all’ignoto che l’altro rappresenta, incantandoci e disorientandoci, distogliendoci dal nostro presente per gettarci in uno spazio circolare insolito ed inquietante. È l’attitudine creativa del lasciarsi andare, dell’accettare e del saper rinunciare alla collocazione acquisita per farsi condurre altrove, per rimettere in discussione le certezze, per tuffarsi in un nuovo modo di essere. La seduzione non è di sicuro l’unica condizione attraverso la quale due persone possono incontrarsi, ma è sicuramente la più imprevista ed imprevedibile, la più carica di mistero, perché è il confronto tra due ideali, tra due aspirazioni. È la possibilità di usare il cuore come forma di conoscenza, alternativa a quella della ragione. Il cuore come altra faccia dell’intuizione, come veicolo per esplorare le profondità dell’anima, le sue intonazioni e i suoi precipizi, le sue ondulazioni ed i suoi turbamenti. Il cuore ma anche il corpo, il corpo oggetto e soprattutto il corpo soggetto, quello vissuto, intenzionale, premeditato dove l’individualità si apre alle altre soggettività non solo grazie alla parola ma anzitutto attraverso il gesto, attraverso l’interpretazione del suo significato e l’ascolto del suo senso. Il corpo che concede rilevanza, spessore, colore alla seduzione e ne raccoglie i riflessi e le ombre. Come se farsi specchio immaginario dell’urgenza e della voglia dell’altro fosse il modo migliore per raggiungere la propria identità nell’illusione di prevenire la fine del sogno, nella speranza di controllarlo prima che sfugga e di avere il potere di dire basta. Per questo la seduzione è il luogo di nascita di ogni amore travolgente. È l’arte più antica del mondo, l’unica in cui non esistono né regole né tantomeno maestri ma quella in cui tutti vorrebbero essere esperti o forse soprattutto vittime. Ma, come ho cercato di spiegare in queste brevi riflessioni, cadere nelle trappole della seduzione può essere molto pericoloso. Oltre alla già citata enfasi posta dai tragici greci sulla sua pericolosità, anche la più pragmatica concretezza dei romani metteva in guardia dal potere distruttivo dei seduttori, equiparati a corruptores. Perché farsi sedurre significa lasciarsi condurre altrove, rinunciare alle certezze del quotidiano, abbandonarsi all’ignoto. Ma in fondo è la stessa fascinazione che sottomette lo scienziato nel suo laboratorio, che suscita nel viaggiatore il desiderio di esplorare nuovi orizzonti, che genera un mistero sul quale filosofi, poeti, romanzieri, psicologi si interrogano da secoli. È in essa quindi che va cercato il punto di partenza di ogni ricerca… dott. Filippo Nicolini BOX: Femmina fatale o vampiro? Il sottile gioco della seduzione è da sempre presente in ogni forma dell’esistere: è l’eterna molla della vita, nel bene e nel male. Durante il Medioevo la seduzione trovò poco spazio. L’Amore era il principio che muoveva il mondo, ma era l’Amor Sacro a prevalere sull’Amor Profano: l’innamorato non doveva cedere ai sensi ma alla forza spirituale. Nel Seicento la seduzione si avvicinò molto all’estasi: l’amore non ascende dal corpo ma vi discende tumultuosamente fino a provocare l’appagamento e l’estasi. La seduzione raggiunse il suo massimo splendore nel Settecento, perdendo il suo significato originariamente negativo e suscitando grande interesse. Cambiarono le leggi del bello: il bello diventa relativo ed il gusto è soggettivo. Questa è l’epoca dei grandi seduttori, dall’inappagabile Giacomo Casanova, alla ricerca unicamente del piacere dei sensi, al più cinico Don Giovanni, proiettato verso l’esibizionismo ed il successo sociale. C’è un passaggio fondamentale per la comprensione della nuova figura che va delineandosi nell’Ottocento, la “seduttrice”: la posizione del marchese de Sade (seduttore secondo l’accezione originaria ovvero corruttore). L’arte seducente e seduttiva del rococò, molto lineare, evolve in una più complessa forma di seduzione e la donna – la femmina fatale del decadentismo – si trasforma in una femmina vampiro (Baudelaire) il cui fascino è quello della sera. La vera seduzione non si esercita nel soddisfare il desiderio ma nel suscitarlo. Nell’estetismo di fine secolo è intesa solo come principio generale di fascinazione e ridotta ad essenza dell’estetica e dell’arte. È con D’Annunzio che si ripropone nella piena luce del successo e finalmente senza “dramma”, anzi come sospensione della tristezza. Il dominio della seduzione è nuovamente passato al maschio: il poeta-soldato, l’artefice che vede il mondo in termini di conquista. Con l’avvento della psicoanalisi la seduzione viene considerata un’illusione, la creazione di un feticcio… la comprensione del proprio agire. Ogni rapporto interpersonale crea un sottile gioco di seduzione: entrambi gli individui cercano di conquistarsi reciprocamente. In essa si cela un bisogno nascosto creato dalla propria immaginazione ed è molto difficile sottrarsi al suo fascino.