Con la schiena ben dritta!
Vi ricordate quei disegni sui libri di scienze dove si raffigura l’evoluzione dalla scimmia all’uomo? La differenza tra le due specie che balza prima all’occhio è la postura eretta.
Noi, insomma, abbiamo la schiena dritta a differenza dei nostri antenati che avevano diverse esigenze funzionali per la loro sopravvivenza. Spesso, tuttavia, ci dimentichiamo di questa prerogativa umana ed è la natura a ricordarci il nostro errore, mandandoci segnali (dolori) che sono la spia di patologie o disfunzioni più o meno gravi in arrivo. In questi casi, bisogna ricorrere per forza alla chirurgia? Non è sempre necessario e soprattutto può rivelarsi insufficiente; inoltre, anche un generico “fare sport” potrebbe essere inutile, o addirittura controproducente, quando i problemi alla schiena sono già insorti. Sono queste le indicazioni che ricaviamo da una chiacchierata con Marco Segina e Francesco Zarattini della “Fisiosan” (Centro Rieducazione Colonna Vertebrale) di via Genova a Trieste.
“I problemi più seri – spiega Segina – si riscontrano sia nelle persone che non si muovono quasi mai e che magari stanno sedute per ore davanti al computer in posizione scorretta, sia in quanti fanno uno sforzo fisico eccessivo e sono costretti a piegarsi. Sono molto colpiti piastrellisti, parchettisti, vetrai, traslocatori ed anche numerosi sportivi. Di solito si pensa: faccio attività fisica e così mi passa il mal di schiena. Non è vero, perché dipende quali muscoli si attivano e quali strutture vengono sollecitate. Prima bisogna fare una diagnosi funzionale (e questo è il compito del fisioterapista) e poi si decide quali muscoli devono essere accorciati e quali allungati”. Questo problema tocca anche i giovani? “Sì. Uno studio finlandese, condotto su 20.000 studenti, ha dimostrato che 4 su 10 soffrono di mal di schiena e disturbi lombari e che 1 su 10 ha problemi seri che comportano qualche grado di disabilità. Dallo studio emerge che di solito si tratta dei soggetti che fanno meno attività fisica”.
Per un’efficace rieducazione, quindi, è fondamentale capire le disfunzioni dal movimento, dalla postura, dall’anamnesi approfondita, attraverso test specifici, e palpando le vertebre, i muscoli o attraverso un’elettromiografia di superficie, una tecnica che ascolta l’attività elettrica dei muscoli. Ben vengano risonanze o altri referti, “ma – avvertono gli esperti del Centro – devono darci conferma di quanto già identificato dalla valutazione funzionale, altrimenti rischiano a volte di essere fuorvianti”.
“Ogni anno – riferisce Segina – in Italia vengono effettuati circa 30.000 interventi chirurgici per ernia del disco lombare, che corrispondono ad un tasso medio nazionale pari a 5,1 interventi ogni 10.000 persone. La situazione varia ampiamente da una regione all’altra: si va da un tasso del 6,9 in Lombardia al 2,5 in Calabria” (dati Istituto Superiore Sanità, 2007). Una variabilità geografica che, come per altri interventi “discrezionali” quali la tonsillectomia, sembra riflettere, piuttosto che la diversità nell’incidenza, il disaccordo medico sulle indicazioni all’intervento chirurgico ed anche l’esistenza di diversi “stili assistenziali” che variano di regione in regione. “Quindi – riprende – proprio per migliorare la pratica clinica e diminuire la frequenza di interventi inappropriati, sono state presentate le linee guida “Appropriatezza della diagnosi e del trattamento chirurgico dell’ernia del disco lombare sintomatica”, stilate nell’ambito del Programma nazionale per le linee guida (PNLG) dell’Istituto Superiore di Sanità”. Il documento raccoglie le prove scientifiche più aggiornate relative alla diagnosi e al trattamento dell’ernia del disco lombare e le raccomandazioni per la pratica clinica definite sulla base delle evidenze scientifiche oggi disponibili.
“Il problema – sottolinea in conclusione Zarattini – è che spesso un intervento chirurgico non risolve il problema al 100% perché elimina l’ernia in corrispondenza di una vertebra e poi questa si riforma di nuovo su un’altra vertebra o a volte se ne forma un’altra vicina alla precedente. In questo caso che cosa si fa? Andiamo ad operare di nuovo? In talune situazioni bisogna quindi andare alla radice del male ed eliminare quelle disfunzioni o “disequilibri” che lo determinano, evitando così le recidive”.
L.R.