Comunicare aiuta i figli a crescere
La comprensione reciproca è da sempre uno degli aspetti più importanti e molte volte più complessi nella relazione tra genitori e figli. Non vi è alcun dubbio che una comunicazione funzionale incide nel processo di crescita dei figli, essendo determinante nell’indirizzo che i genitori daranno al loro percorso educativo.
Nonostante non ci si soffermi spesso sugli atti comunicativi che ogni giorno mettiamo in essere con i nostri figli, il loro valore è di indiscussa importanza. Comunicare è fondamentale, e ciò per nessuna ragione deve essere sottovalutato poiché ricopre un ruolo basilare per la crescita e lo sviluppo dei figli. Le modalità comunicative si differenziano tra loro in modo sostanziale secondo l’età e le situazioni, i canali utilizzati presentano sfumature diverse secondo le diverse fasi della crescita. Scegliere la cosa giusta da fare nel momento giusto è molte volte un compito arduo.
Anche in questa occasione la dottoressa Maria Grazia Apollonio, psicologa e psicoterapeuta, fondatrice dell’associazione culturale Accse (Associazione per lo sviluppo e il benessere psicofisico), ci offre il suo prezioso contributo: in particolare, per capire quali sono i modelli comunicativi che un bambino/ragazzo mette in atto e soprattutto i comportamenti che un genitore deve adottare per instaurare un rapporto sano ed equilibrato con lui.
“È attraverso la comunicazione – spiega la psicologa – che si stabilisce un rapporto e si costruisce una conoscenza reciproca. Se i bambini sono piccoli, la comunicazione non è soltanto veicolata dal canale linguistico, ma anche da quello non verbale: gesti che passano attraverso il tatto o altri semplici atti quotidiani che, se anche per noi non hanno valore, per un bambino piccolo possono essere densi di significato e prova della presenza di qualcuno che si prende cura di lui”.
Ogni età presenta delle capacità linguistiche diversificate e i fondamenti su cui si deve sempre basare l’interazione sono la chiarezza, la sincerità, il dialogo e la fiducia reciproca. Indubbiamente sono cose che molti possono considerare scontate, ma non per questo poco importanti e non meritevoli di attenzione. Costruire un rapporto con il proprio figlio è importante ed è bene iniziare ad impostarlo correttamente sin dai primi momenti in cui c’è un’interazione.
“Non bisogna pensare alla comunicazione come vincolata all’atto verbale – sostiene la dottoressa Apollonio – poiché sin dalla nascita il neonato ha delle capacità che lo mettono in relazione con l’altro e lo rendono un essere sociale a tutti gli effetti. I neonati, ad esempio, sono in grado di distinguere la propria mamma in base all’odore: si pensi che se mettiamo un neonato in mezzo a due pezze imbevute di latte, di cui una contenente il latte della madre, gli studi hanno dimostrato che il bimbo si gira verso quest’ultima, riconoscendola dall’odore. Inoltre, egli può distinguere la propria madre dalla voce, e riesce a mettere a fuoco gli oggetti a una distanza di 20-30 centimetri, la distanza che corrisponde a quella tra lo sguardo della madre e il suo durante l’allattamento. Anche il pianto si differenzia a seconda degli stati d’animo del neonato: il pianto per comunicare la necessità di mangiare è diverso da un pianto che vuole manifestare dolore”.
Da quanto appena raccontato dalla specialista emerge chiaramente un fatto inequivocabile: anche nelle prime fasi della vita il bambino ha un suo modo per mettersi in relazione con l’adulto e richiedere quello di cui ha bisogno. Essere ricettivi in questo periodo, quindi, serve a dare al bambino la possibilità di manifestare e soddisfare i propri bisogni e ad aiutarlo nel suo processo evolutivo, impostando le basi su cui iniziare a costruire la sua esistenza.
“Quando i bambini acquisiscono la capacità verbale – afferma la psicologa – è importante che il genitore sia presente e aperto alla possibilità di rispondere alle richieste del bambino, di comunicare con lui e soprattutto di soddisfare le sue curiosità per un mondo che sta conoscendo a poco a poco, e di tollerare le fasi che possono metterlo in crisi”. “Ad esempio – continua – c’è al terzo anno di vita il periodo del “no”, in cui il bambino risponde con la negazione a qualunque cosa gli viene proposta: può essere un momento di crisi per i genitori, ma in realtà fa parte del processo evolutivo del bambino che gli permette di crescere e differenziarsi dal genitore, affermando la propria identità e la propria differenza. È una fase che si ripropone nuovamente nel periodo dell’adolescenza, quando c’è il secondo processo di separazione e individuazione che serve all’adolescente per differenziarsi ulteriormente dai genitori e autonomizzarsi”.
I cardini di una comunicazione efficace ruotano intorno alla sincerità, al dialogo e all’attenzione, che permettono di costruire una relazione trasparente, favorendo la comprensione anche nei momenti di difficoltà. “Inoltre – prosegue la dottoressa Apollonio – è importante instaurare uno stile genitoriale autorevole piuttosto che remissivo-lassista, in cui cioè il genitore si pone alla pari del figlio (il cosiddetto genitore-amico), o autoritario, in cui è molto normativo e pone divieti continui anche su cose che dovrebbero essere vissute. Il genitore autorevole è capace di comprendere e di dare delle regole percepite non come delle imposizioni: dare delle regole significa anche mettersi a confronto con il figlio, considerando il dialogo parte fondamentale del processo”.
Porre limiti e paletti, quindi, è molto importante, in ogni fascia d’età, perché così i bambini si sentono rassicurati da un genitore capace di fare l’adulto. “Il genitore-amico – puntualizza la specialista – destabilizza il bambino, non funge da punto di riferimento e non dà sicurezza. Il genitore che dice sempre di sì non fa un favore al figlio, ma lo rende fragile non abituandolo a tollerare le frustrazioni, e quindi, di fronte alle inevitabili frustrazioni della vita, rischierà di reagire con vulnerabilità e non sarà in grado di superare gli ostacoli”.
Il processo di individuazione-separazione, che si manifesta già fra i tre e i quattro anni, si ripresenta e raggiunge il suo apice in età adolescenziale e molte volte può far sentire i genitori incapaci di gestire il processo educativo nel modo corretto. “L’allontanamento dai genitori e il sentirsi in contrapposizione con loro – chiarisce la psicologa – sono una tappa necessaria per crescere, divenire autonomo e differenziarsi. Nell’adolescenza è necessario che il ragazzo si stacchi dai genitori e inizi a muoversi autonomamente”. La forte ambivalenza tra il bisogno di crescita, di distacco e la necessità comunque di avere qualcuno a cui rivolgersi nei momenti di incertezza, caratterizzano questo periodo. “Il comportamento da adottare – rassicura la dottoressa Apollonio – è quello di non allarmarsi, vivere questi atteggiamenti come il momento di un’evoluzione ed accettare gli spazi preclusi al genitore come un momento di crescita e separazione positiva”.
Indubbiamente, l’atteggiamento corretto prevede una certa dose di attenzione per quanto succede: anche i momenti di trasgressione, pur facendo parte di un bisogno del giovane di sperimentarsi e mettersi alla prova, possono mettere alcuni ragazzi più vulnerabili a rischio. “È importante quindi, pur concedendo al ragazzo il proprio spazio, rimanere vigili – ammonisce la fondatrice dell’associazione culturale Accse – non dimenticando l’importanza delle regole. Un adolescente non è più un bambino, ma non deve neanche essere considerato un adulto che non ha più bisogno dei genitori. Questi sono anni un po’ a rischio, in cui il gruppo dei pari ha un fortissimo ascendente sul comportamento e sulle scelte di vita del giovane. Per tale ragione non bisogna mai abbassare la guardia ed essere sempre attenti”.
Apertura, fiducia, dialogo, mettersi in discussione: ciò non significa mettersi alla pari del ragazzo, ma vuol dire confrontarsi con lui anche sulla base del proprio vissuto e delle difficoltà che si sono incontrate nel corso della vita. “È chiaro poi che se il comportamento del ragazzo desta preoccupazione o va oltre un certo limite – rileva la psicologa – forse è meglio chiedere la consulenza di figure professionali preposte ad affrontare queste situazioni. Presso le Aziende sanitarie esistono le Unità operative bambini adolescenti, a cui ci si può rivolgere per parlare con dei professionisti esperti dei problemi che si possono incontrare nella gestione del rapporto con i propri figli. Sono tante le iniziative pubbliche organizzate che permettono ai genitori di mettersi in discussione e di continuare a crescere come genitori”. È giusto – continua – non ritenere di avere tutte le risposte pronte e tutte le certezze per tutte le cose: l’onniscienza porta solo alla chiusura e ad una posizione immobile e rigida. Invece, è importante instaurare uno scambio reciproco e creare un’occasione di mutuo cambiamento”.
È vero che la nostra società ci fa vivere in un modo un po’ stressato, con dei ritmi che molte volte non permettono di considerare nel dovuto modo l’importanza di parlare per osservarci dentro, ma è altrettanto vero che questo non deve essere la causa di un rapporto sterile e privo di possibilità comunicative con chi ha bisogno del nostro supporto. “Il rapporto genitore-figlio – fa notare la specialista psicologa – molte volte si gioca in un intervallo di tempo limitato sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, e bisogna dire che spesso è più facile lasciare un bambino davanti alla tivù che dedicargli un po’ di tempo giocando con lui o parlandoci”. “Non dimentichiamoci – aggiunge – che i bambini hanno un mondo dell’affettività molto ricco e che a volte comunicano più che con le parole con i comportamenti e gli strumenti della comunicazione metaforica, ad esempio il disegno o il gioco, strumenti che gli adulti purtroppo hanno un po’ dimenticato e da cui sono lontani”. Bisogna recuperare tutti gli strumenti di gioco e relazionarsi con i figli. Il progetto “Nati per leggere”, promosso dal Centro per la salute del bambino di Trieste e dall’Associazione Italiana Pediatri, si propone di consigliare ai genitori di leggere ai figli fin dalla tenera età, attività che, come si è visto, rinforza la relazione genitore-bambino e permette al bambino una crescita e uno sviluppo più armonici. Unica condizione necessaria? Riuscire a ritagliare del tempo da dedicare ai propri figli. “È fondamentale per un genitore – conclude la dottoressa Apollonio – raggiungere la consapevolezza che esistono delle attività molto semplici che, però, giocano un ruolo determinante nell’educazione e nella formazione del proprio figlio”.
Paolo Baldassi