Mattarella si prende la scena: è stato un colpo di stato o regalo a Berlusconi studiato a tavolino?
L'Italia sta vivendo in queste ore una delle sue più prodonde crisi istituzionali del dopoguerra. Protagonista inatteso del definitivo strappo tra elettorato e palazzi del potere il compassato presidente Mattarella, fin qui tacciato di non voler prendere posizione su nulla.
Il suo NEIN al governo giallo-verde che faticosamente quanto innaturalmente aveva preso forma svela molte cose che purtroppo in molti avevano già capito: in Italia la sovranità non appartiene da molto tempo al popolo, la democrazia vale solo per le elezioni meno rilevanti o comunque solo locali, che la politica economica del Paese viene decisa da Bruxelles, Berlino, Parigi a prescindere dal volere degli italiani.
In tutto questo pessimo quadro lo strappo con i cittadini, che in larghissima maggioranza hanno appoggiato direttamente (il 4 marzo con il voto) e successivamente (i sondaggi parlano di quasi due italiani su tre favorevoli al governo Conte) il tentativo governista di Di Maio e Salvini, può leggersi oltre che come un regalo a chi ci governa veramente (la Merkel) in due modi:
1) E' un colpo di stato in piena regola, volto a sbarrare la strada a un cambiamento vero, su alcuni punti dell'agenda politica del "contratto" quasi radicale, su tantissimi aspetti della vita economica e sociale del Paese. Troppe novità, troppi tagli a privilegi medievali, troppo giustizialismo, troppa competenza, troppa onestà in un Esecutivo che per la prima volta dai primi anni '90 sarebbe stato sostenuto dal 50% degli italiani (neppure le coalizioni raccogliticce di Prodi e Berlusconi hanno mai avuto una percentuale così elevata dal 1994 a oggi fermandosi al 48% nel loro momento di maggior polarizzazione).
2) E' un regalo a Berlusconi studiato a tavolino per farlo rientrare in partita al prossimo giro. La carnevalesca coalizione di centrodestra Salvini-Berlusconi-Meloni nonostante guerre per bande interne e l'impossibilità assoluta di pianificare un contratto di governo sullo stile di quello letto nella sua versione giallo-verde per le gigantesche differenze su tutti i punti dell'agenza politica è già arrivata al 37% il 4 marzo. Ora è destinata a salire ancora perché la Lega supererà abbondantemente il 20%. A quel punto il Movimento 5 Stelle potrà anche confermarsi al 30-33% succhiando altri voti al Pd perdendone nel contempo altri in favore della Lega ma con il premio di maggioranza voluto dal Rosatellum la coalizione berlusconiana a trazione salviniana tornerà comodamente a Palazzo Chigi infettando e ammorbando nuovamente il Paese. Un piano studiato a tavolino che spiegherebbe bene il via libera di Berlusconi a Salvini nel tentare di fare un governo con Di Maio e che troverebbe conferma se Salvini non si accodasse a Fdi e M5S nella richiesta di messa in stato d'accusa per alto tradimento nei confronti di Mattarella.
Il ricorso all'art. 90 della Costituzione è passo obbligato di fronte al rogo di 17 milioni di voti diventati in un pomeriggio carta straccia. E chi ricorda episodi apparentemente analoghi del passato mente o non conosce come sono andate le cose. Perché è vero che la nomina di un ministro passa attraverso il Presidente della Repubblica (art. 92 Cost.) su proposta del Presidente del Consiglio. Però è del tutto evidente che nello spirito della Costituzione, e che tutta la storia repubblicana dimostra, l'eventuale diniego deve essere motivato chiaramente per motivi di impedimenti oggettivi e non per motivi ideologici. Le opinioni di un possibile ministro non possono essere in alcun modo commentate dal Presidente della Repubblica poiché a lui non spetta alcun compito di indirizzo politico.
Casi storici:
1) 1979: Cossiga propone Darida a ministro della Difesa a Pertini, che suggerisce invece di dirottarlo al ruolo di Sottosegretario agli Interni. Cossiga ACCETTA!
2) 1994: Berlusconi propone a Scalfaro il nome di Previti (suo avvocato) quale Ministro di Grazia e Giustizia. Ai tempi Previti non era ancora condannato per corruzione dei giudici ma il Presidente era preoccupato per le sue esternazioni in campagna elettorale oltre che per un chiaro conflitto di interessi. Così Berlusconi ACCETTA di farlo diventare Ministro della Difesa.
3) 2001: Berlusconi propone a Ciampi il nome di Maroni come ministro della Giustizia. Conflitto di interessi palese perché ai tempi Maroni era sotto indagine per resistenza a pubblico ufficiale (morse una caviglia a un agente nel corso di una perquisizione alla sede della Lega). Berlusconi ACCETTA di mettere al suo posto Castelli, un altro leghista.
4) 2014: Renzi propone a Napolitano il nome di Gratteri quale ministro della Giustizia. Il Presidente fa capire che non è il caso di affidare l'incarico a un magistrato ancora in carica e Renzi ACCETTA.
In tutti i casi il premier ha accettato le obiezioni. Mai finora il Presidente della Repubblica si era spinto così oltre i limiti costituzionali semplicemente perché la pur lacunosa dicitura dell'art. 92 secondo cui il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i Ministri è sempre stata letta praticamente come un automatismo. Ora anche questo argine si è rotto e chissà dove ci porterà questa scelta? A un quinto governo che avrà come (co)protagonista Berlusconi!