L'America cambia pelle, l'Italia no!
Valutando di primo acchito il fatto, la prima considerazione spontanea che sale alla mente è quella di constatare come – una volta di più – la favola americana si sia effettivamente realizzata. Invero favola non è, perché è un dato di fatto che un cittadino statunitense di colore, nato da famiglia modesta e con gli avi che hanno conosciuto l’umiliazione delle catene e dello schiavismo, potendo contare unicamente sulle sue capacità, oggi è divenuto l’uomo più potente della terra. Non è quindi retorico parlare di svolta storica ed epocale non solo e non tanto della società statunitense ma di tutto il mondo, considerato che i destini statunitensi sono destini che coinvolgono (dolenti o nolenti) il mondo intero.
Al di là di questa prima considerazione, peraltro doverosa, vi è da sottolineare altresì come l’elezione di Obama abbia letteralmente insegnato a tutto il mondo (ma meglio sarebbe dire ribadito) un principio che in politica (specie per quanto attiene quella italiana) pare del tutto sconosciuto, ovverosia: combattere in sede di campagna elettorale lealmente con i propri avversari e, una volta terminato l’agone politico, saper riconoscere all’avversario il merito della vittoria senza acrimonia, senza riserve mentali, e soprattutto con la capacità di comunicare immediatamente ai propri sostenitori come il verdetto democratico sia prioritario rispetto a qualsiasi pulsione e/o interesse di parte, in nome di quella alternanza che solo una vera democrazia può e deve garantire.
È così che il diretto avversario di Obama, John McCain, appena ha avuto la certezza dell’esito a lui sfavorevole del computo dei voti, dando una lezione di stile al mondo politico intero, si è premurato di telefonare immediatamente all’avversario vincitore e, cosa ancora più importante e degna della massima considerazione, di definire di fronte ai suoi supporter il neoeletto Obama “mio Presidente”. È un episodio – questo – che ha lasciato favorevolmente impressionato il mondo intero (intellettualmente onesto) in quanto non vi è dubbio come tale fatto indichi l’unica vera strada da percorrere, a livello planetario, allorquando si voglia “far politica” con approccio etico-morale alto ed indiscutibile.
A questo punto è evidente quanto significato abbia la titolazione del quotidiano statunitense: con Obama indubbiamente gli Stati Uniti cambiano pelle in quanto nella scia del sogno americano si realizza il forte auspicio che fu negli anni ’70 obiettivo principale di Martin Luther King, nella sua appassionata campagna antirazzista, allorquando si augurava un mondo in cui il colore della pelle non avesse più alcun significato discriminatorio. Fu un auspicio che gli costò la vita. Oggi Obama lo realizza. Per questo il neopresidente è riuscito a coagulare intorno a sé tutte le etnie presenti negli Stati Uniti, unendole in un unico afflato di coesione e convivenza pacifica: di un tanto ha dato vibrante e fortemente emotivo riscontro nel suo discorso di ringraziamento al momento della sua annunciata elezione alla presidenza degli Stati Uniti.
Obama – a livello planetario in questo momento – è un vincitore sul cui carro (come da sempre) desiderano salire tutte le compagini politiche, nessuna esclusa, ed allora ci si chiede: anche l’Italia (intendendo il mondo politico di questa) cambierà pelle? Al momento i segnali non sono incoraggianti, anzi sarebbe meglio definirli deprimenti, in quanto il primo riscontro al fatto epocale descritto è stato quello di assistere ad una squallida diatriba fra destra e sinistra per identificare chi delle due sia più favorevole e più “amica” di Obama. Dunque la conclusione non può che essere una: l’Italia, al momento, sicuramente non ha cambiato pelle tant’è che contrappone all’elevato senso etico delle parole di Obama, le proprie rituali beghe da pianerottolo condominiale.
Mr. Cljmax