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Malattia di Lyme: la zecca è la principale imputata

 |  Redazione Sconfini

l termine malattia di Lyme deriva dal nome di un piccolo centro del Connecticut, chiamato “Old Lyme” dove nel 1975 si sono verificati numerosi casi di artrite di sospetta origine infettiva che hanno interessato la maggior parte della popolazione, sia adulti che bambini.

In realtà la malattia era già nota nella letteratura europea. L’agente eziologico è stato poi isolato, dall’intestino di una zecca del genere Ixodes dammini, nel 1982 da Burgdorfer, un biologo di Hamilton (Montana). Questo microrganismo è stato classificato come appartenente alla famiglia delle Spirochete e l’agente eziologico è stato denominato Borrelia burgdorferi. Il contagio avviene attraverso la puntura di artropodi ematofagi vettori, principalmente zecche del genere Ixodes; in Europa Ixodes ricinus è il vettore principale.
La malattia di Lyme, che si manifesta principalmente nell’uomo e nel cane, è descritta oltre che nel nostro continente anche in Nord America, Asia, Australia, Sudafrica. Questo elevata diffusione è verosimilmente favorita dall’aumentata presenza nell’ambiente degli animali selvatici con funzione di serbatoio, unitamente al parallelo aumento di aree sempre più vaste di territorio non più coltivato e quindi silvestre e all’incremento di ampie e numerose aree destinate a parco.
In Europa la presenza di diverse specie e genotipi di Borrelia rende più complesso lo studio del ciclo biologico rispetto alla situazione statunitense, esistendo uno o più specifici serbatoi naturali per ciascuna di esse: ad esempio Borrelia burgdorferi e Borrelia afzelii ospitate da microroditori, Borrelia garinii da uccelli. Anche i grossi ungulati, la lepre, la volpe e occasionalmente i volatili, possono, sebbene più raramente, albergare il microrganismo contribuendo al suo mantenimento in ambito silvestre, oltreché sostenendo le popolazioni di zecche. Tra gli animali domestici sono state osservate positività sierologiche in cavalli, bovini, ovini, conigli, cani e gatti. L’habitat a rischio corrisponde a quello delle zecche, cioè margini dei boschi, radure, cespugli, con alta umidità e temperature relativamente elevate (primavera, autunno).
In Italia il primo caso clinico è stato segnalato nel 1983 a Genova e il primo isolamento del germe responsabile è avvenuto a Trieste nel 1987. Secondo i dati raccolti nella circolare del ministero della Sanità n. 10 del 13 luglio 2000, nel periodo 1992-98 si sarebbero verificati, in Italia, circa un migliaio di casi di borreliosi di Lyme. Le regioni maggiormente interessate sono il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, il Veneto, l’Emilia Romagna, il Trentino Alto Adige, che supportano il 91,1% dei casi italiani, mentre nelle regioni centro-meridionali e nelle isole le segnalazioni sono sporadiche. Le categorie a rischio sono costituite dalle persone a contatto con la fauna selvatica: guardie venatorie e forestali, allevatori, veterinari, escursionisti. L’infezione non dà immunità, quindi può essere contratta più volte nella vita.
Nell’uomo la malattia insorge nel momento in cui la zecca, contenente nelle ghiandole salivari l’agente patogeno, morde l’uomo ed emette materiale che contiene spirochete nella sede del morso. Le manifestazioni cliniche possono interessare molti organi ed apparati, con intervalli di tempo variabili dal momento dell’infezione. Il segno più frequente e caratteristico, ma non sempre presente, è un arrossamento della pelle, localizzato nella sede cutanea colpita dalla puntura della zecca, che tende lentamente ad espandersi: è il cosiddetto eritema migrante, segno clinico della manifestazione precoce e localizzata, che compare dopo 5-30 giorni intorno al morso della zecca. Può esprimersi e associarsi con altri sintomi generali modesti, come febbre e astenia.
L’evoluzione della fase precoce può prevedere manifestazioni disseminate, che intervengono entro settimane o mesi dall’infezione, a carico di vari organi con eritemi diffusi e multipli, il linfocitoma borreliosico cutaneo, disturbi a carico delle articolazioni, del sistema nervoso, del cuore, dell’occhio. L’artrite di Lyme interessa una o poche articolazioni in maniera asimmetrica, con episodi mioartralgici della durata di pochi giorni, per poi ripresentarsi a carico di un’altra articolazione 15-30 giorni dopo. Spesso il primo episodio artralgico avviene in prossimità dell’eritema migrante: se la forma non viene curata l’artrite tende a diventare più frequente e continua.
Le manifestazioni neurologiche (neuroborreliosi) possono presentare sintomi subdoli, intermittenti, che sul piano clinico possono assomigliare a numerose affezioni neurologiche di altra natura: questo fatto è valso alla malattia di Lyme l’appellativo di «Grande Simulatrice». Accanto a cefalea, disturbi cognitivi recenti, meningoradicoloneuriti, paralisi del nervo facciale, si possono verificare disturbi psichiatrici come ansia e attacchi di panico non giustificati. Le complicanze cardiache (aritmie, miocarditi e pericarditi) e dell’occhio possono comparire in una percentuale dell’1-2% da uno ad alcuni mesi o anni dal contagio. In una limitata percentuale di casi, dopo un periodo di latenza più o meno lungo, la borreliosi di Lyme può sviluppare la forma cronica a carico della pelle, delle articolazioni, del sistema nervoso.
La diagnosi di borreliosi di Lyme è fondamentalmente clinica e viene posta in base ai seguenti criteri: anamnesi positiva per puntura di zecca, residenza o soggiorno in area endemica, presenza di un Erythema migrans in atto o pregresso, altre manifestazioni cliniche correlabili a tale patologia. In un secondo momento, per la conferma clinica è utile il riscontro di una sierologia positiva, o di altri esami di laboratorio più sofisticati (in alcuni casi selezionati) quali il test di amplificazione genica e l’esame colturale.
Gli esami sierologici indicati consistono nel test Elisa per la ricerca di anticorpi anti-Borrelia, e successivo test Western-Blot (WB) in caso di risultato positivo. I test sierologici non sono sempre in grado di confermare o escludere in modo definitivo la diagnosi in quanto la negatività non esclude la presenza di una malattia di Lyme recente (la risposta è negativa nella metà dei casi di eritema migrante), ma di norma esclude una malattia di Lyme di vecchia data attiva. La Borrelia mette in atto numerosi meccanismi per sfuggire al sistema immunitario. Tra questi la proteina VlsE (Variable major protein-like sequence Expressed), che riesce a variare la sua struttura antigenica esterna, eludendo così la risposta immunitaria, ed è presente soltanto in caso di infezione. Questo antigene, di recente identificazione, si è rivelato molto importante nella diagnostica della malattia di Lyme. Infatti, il test Elisa preparato con questo antigene si è rivelato altamente sensibile e soprattutto specifico, al punto da poter talora sostituire, da solo, la procedura a due test (Elisa e Western-Blot) finora ritenuta la più predittiva. Questo test risulta inoltre molto utile nel follow-up della malattia e nella valutazione dell’efficacia delle terapie effettuate.
Alla comparsa dei primi sintomi si deve iniziare una terapia antibiotica adeguata e tempestiva. La diagnosi precoce e una pronta terapia sono indispensabili per ottenere nella maggioranza dei casi la garanzia di una completa e definitiva guarigione. Nel caso che compaia l’eritema migrante, questo aspetto è sufficiente per diagnosticare l’avvenuta infezione: non è indispensabile effettuare l’esame sierologico e va instaurata una terapia antibiotica con amoxicillina oppure con doxiciclina; nelle forme tardive e croniche vengono di solito utilizzati il ceftriaxone e, in alcuni casi, la penicillina G ad alte dosi per via endovenosa.
Il follow-up prevede ogni sei mesi una valutazione clinica e l’effettuazione della sierologia con VlsE, che va interpretata. In alcuni pazienti, anche dopo un’adeguata terapia, non c’è guarigione. Questo può succedere in soggetti geneticamente predisposti, nei quali la Borrelia riesce a sfuggire alla terapia antibiotica, oppure quando si siano innescati meccanismi autoimmunitari, indotti dalla Borrelia, che fanno persistere i sintomi della malattia anche dopo la guarigione microbiologica. In altri casi ancora si verifica una coinfezione causata da Borrelia e da un altro agente infettivo spesso pure trasmesso dalla zecca, per cui curata la borreliosi permangono i sintomi dell’infezione associata.
Ai fini della profilassi indiretta la vaccinazione con la proteina di superficie A è stata utilizzata negli Stati Uniti, ma è stata abbandonata. Attualmente esiste un vaccino per l’uomo ottenuto con tecniche di ingegneria genetica, di cui non si conosce ancora la durata di protezione. Il vaccino non è utilizzabile in Europa a causa della diverse specie di Borrelia qui presenti rispetto agli Usa. La profilassi diretta, quindi, si conferma in Italia la principale pratica di prevenzione della puntura di zecche: utilizzo di repellenti e abbigliamento specifico nel caso di escursioni in zone a rischio, pronta rimozione delle zecche attaccate agli animali e all’uomo con gli opportuni strumenti, sfalcio dell’erba nei giardini di casa, ispezione puntuale degli animali che vivono in casa.

I tagli ai finanziamenti interessano anche i progetti di ricerca sulle zecche

A tutt’oggi non esiste un quadro unitario dell’epidemiologia della malattia di Lyme sul territorio nazionale, nonostante nel 1992 sia stata inserita nel novero delle malattie infettive della classe V (D.M. del 15.12.1990), soggetta quindi a notifica obbligatoria. L’approccio alla conoscenza e la ricerca della malattia di Lyme sul territorio nazionale, sono ancora disomogenee e sporadiche a causa del polimorfismo della patologia e di una certa difficoltà nel formulare la diagnosi. L’obbligo della denuncia non sembra aver facilitato molto la raccolta dei casi, a causa della classe in cui è stata inserita la malattia. Le attività di ricerca potrebbero avere più filoni di sviluppo: un progetto d’indagine su aree campione del Triveneto con raccolta, identificazione e ricerca dell’agente eziologico su zecche; esami sierologici su animali domestici e selvatici; costruzione di mappe di rischio. Il condizionale è d’obbligo perché i finanziamenti vengono tagliati persino ai progetti già attivi da anni e che sul tema hanno prodotto importanti risultati.
La professoressa Marina Cinco, del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università Trieste, è un’esperta in materia: ha condotto ricerche con i microbiologi operanti nel Laboratorio delle Spirochete del Dipartimento, che da anni si occupano degli aspetti microbiologici della malattia di Lyme. La parte ecologico-informatica delle ricerche effettuate è opera del dottor Alfredo Altobelli, ecologo operante nello stesso Dipartimento di Biologia, e il prodotto di questi studi è consultabile sul sito web. In particolare l’interesse dell’équipe era rivolto a determinare il rischio di infezione da morso di zecca Ixodes ricinus, principale vettore di Borrelia burgdorferi, agente del morbo di Lyme nel Carso triestino. “Abbiamo valutato – spiega Marina Cinco – il rischio d’infezione per morbo di Lyme nel nostro Carso correlando la prevalenza d’infezione da Borrelia nelle popolazioni di zecche rilevate nelle varie tipologie vegetazionali con parametri fisici e climatici. Tutto questo quantificando il numero di zecche raccolte per 100 metri quadri e rapportandole alla percentuale di zecche, di queste, trovate infette per Borrelia”. Ma i dati raccolti, per quanto importanti, non sono aggiornati. “In effetti – conferma la ricercatrice – non abbiamo fatto studi recentissimi in proposito. Bisognerebbe scendere nuovamente in campo, con nuovi finanziamenti…”.
La presenza e l’attività delle zecche sono condizionate da fattori climatico-ambientali quali umidità relativa, temperatura, natura del suolo, presenza di animali da parassitizzare, microclima, vegetazione. “È possibile prevedere – afferma la microbiologa – che le prolungate piogge insieme ad un clima tiepido-umido favoriscano di molto l’attività delle zecche”. “Posso tuttavia aggiungere – continua – che valutando comparativamente i dati del 2006 nel Carso triestino con quelli ottenuti in uno studio precedente del 2003 in analogo territorio, la situazione rischio zecche non è significativamente cambiata. Gli stessi luoghi si confermano a rischio massimo: le doline (soprattutto quelle in prossimità della Grotta gigante) e i boschetti a latifoglie. È pertanto raccomandabile non frequentare queste zone in modo imprudente. La prevenzione al morso di zecca è basilare, indossando calzoni lunghi chiari, calze chiare che coprano la gamba, scarpe ben chiuse”.
 La malattia di Lyme non colpisce solo l’uomo

Questa patologia non riguarda solo l’essere umano, ma anche un gran numero di animali selvatici come cervi, procioni, opossum, scoiattoli, ricci e piccoli roditori, che fungono anche da serbatoi dell’infezione per l’uomo; perfino gli animali domestici possono esserne colpiti, in particolar modo bovini, ovini, equini e i cani.
In particolare, se il primo sintomo caratteristico nell’uomo riguarda la cute, questo sembra essere assente nel cane, nel quale sono frequenti le zoppicature conseguenti a processi flogistici articolari, febbre, anoressia, adenopatia, miocardite accompagnata da diversi blocchi di conduzione, glomerulonefriti. In Europa tuttavia si sono riscontrati rari casi di malattia clinicamente conclamata a scapito di una sieroprevalenza nella popolazione canina anche del 30% . Per quanto riguarda il cavallo, negli Usa sono stati descritti casi di febbre, astenia, gonfiori articolari, uveite e anche di alta nei cavalli allo stato brado o semibrado (23%) rispetto alle stazioni di monta (5%) e ai centri ippici (7,5%). Nei bovini e nei montoni, infine, oltre che il calo dell'incremento ponderale e della produzione lattifera, sono frequenti le artriti.


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