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In viaggio verso… Barcellona

 |  Redazione Sconfini

 

La chiamata arriva verso l’ora di pranzo: “Partenza per Barcellona alle 20.30, ci troviamo al capannone”. Per una frazione di secondo il panico, poi una strana voce spiccica

un “va bene, cosa devo portare?”.

 

È una giornata uggiosa, a Udine pioviggina tanto per cambiare. Quando c’incontriamo, il Giovannone mi avverte di un ritardo, normale routine. Cincischio un po’ nervosa. Il Giò deve aspettare un collega da Praga, caricare, controllare acqua e olio del VW Transporter della ditta di consegne in cui lavora come autista e finalmente si può iniziare il conto alla rovescia dei 1.370 chilometri che ci separano da Barcellona.

 

Sono le nove di sera, e con gran calma si fa un ultimo controllo prima della partenza: chiavi, documenti, carta di credito DKV ci sono, CD musicali anche… possiamo andare. La familiare periferia della città vista da una cabina diventa estranea. Seduti nel furgone si entra in un videogioco notturno dove i ruoli sono invertiti. La strada è territorio indiscusso di Tir, furgoni, padroncini e polizia.

 

Quello degli autotrasporti è ualtn mondo parallelo, una sorta di catena di montaggio carica-scarica-partenza-arrivo. Sicuramente una vita non facile. Per essere un autista come il Giò (15.000-18.000 chilometri di furgone al mese) devi avere passione, carattere, tempra, elasticità e basare la tua vita privata sul “senza impegno” come ripete spesso.

 

Dalla cabina le poche utilitarie, che si avventurano in autostrada dopo le 20, diventano delle intruse. “Guarda lì, una macchina della pula”, “Dove?”. Dopo tre o quattro secondi ecco che s’intravedono chiaramente i fanali posteriori di una pattuglia della polizia. Lo sguardo sornione da falco navigato ha colpito ancora. Osservo ammirata questo cantastorie tabagista che ha stampati in testa tutte le autostrade e gli autogrill d’Europa. “In Italia – racconta – si mangia bene, ma gli autogrill sono cari. Meglio in Austria e Germania, mangi tanto e paghi onesto”.

 

Se invece si dovessero valutare gli autogrill per il loro caffè, allora la Germania crollerebbe all’ultimo posto con una pessima acqua nera bollente da 2,10 euro agli automatici. “Devi prendere quelli dei distributori francesi – consiglia il Giò – perché sono i migliori e a 1 euro, poi vengono quelli spagnoli con il loro euro e venti a bicchierino”.

 

Da non trascurare poi i posti di blocco.“Fra tutte le polizie europee – aggiunge l’autotrasportatore – preferisco quella tedesca, molto gentile e corretta. Attenzione, però, a non prenderli per i fondelli o a fare il furbo perché nel caso in cui se ne accorgono ti massacrano”.

 

“Una volta – strascica il Giò – mi ferma una pattuglia in Germania che mi fa scaricare il furgone per un controllo. Per tutto il tealtmpo, una buona ora e mezza, abbiamo chiacchierato tranquillamente, cosa che non fai con i poliziotti italiani per esempio. Alles in Ordnung. Me ne vado un po’ seccato per la perdita di tempo e finisce lì. Un paio di mesi più tardi, stesso tragitto, stesso capo pattuglia. Mi fermano e già immagino uno scarico/carico imprevisto di un’altra ora e mezza. Riconosco il poliziotto più anziano e lo saluto. “Oh, ciao Giovanni”. A distanza di due mesi si ricordava non solo il mio viso, ma anche il mio nome”. Alles in Ordnung e questa volta senza tirar fuori la merce. “No lies to the deuschte Polizei”.

 

Una vita improvvisata e sempre in viaggio con ritmi a volte estenuanti. Qualche ora di sonno nella casa viaggiante e poi di nuovo in strada. “Vedi questo camionista davanti a noi? Sta sbandando a destra. È stanco. Io mi tengo il più possibile centrale, è più sicuro – mi spiega il Giò – e hai più vie di fuga in caso di imprevisti”.

 

Superata la miriade di caselli in Francia, la splendida mattinata svela finalmente il morbido paesaggio costiero spagnolo con un mare di viti nane e un forte vento, che piega la vegetazione. Altra aria, altra energia. Per questa volta niente esplorazioni naturalistiche, ci sono dei tempi da rispettare. Entro mezzogiorno va consegnata la merce. Raggiungiamo in orario la destinazione nella zona industriale di Mollet del Vallès, un Ajuntamento a 15 minuti dal capoluogo catalano.

 

La periferia è simile a quella di molte altre città, solo che essendo uno dei centri industriali più grandi d’Europa tutto è al quadrato. Enormi palazzi tutti uguali, traffico infaticabile e sciami di capannoni. La salvano la mitezza del clima e la cordialità della gente. Edifici vecchi e nuovi a tre piani stretti l’uno all’altro delimitano anche le ramblas di Mollet del Vallès.

 

Un brulicare caciarone di persone. Un numero incredibile di donne con prole al seguito o in arrivo sale e scende le ripide scale che portano alla zona pedonale e quindi ai negozietti, alle piazzette con l’immancabile fontana e le panchine, occupate da combriccole di anziani e non. Allo stabilimento, intanto, tra un caffè e l’altro, è rilassante osservare la signora spagnola che trasborda e impila gli articoli scambiando battute con i colleghi.

 

Operazione conclusa, carte firmate, il furgone a pancia vuota è pronto per il ritorno.

Con i muscoli indolenziti e gli occhi pieni di stimoli si rimangiano i chilometri a ritroso. La fitta pioggerellina e il paio di gradi in meno annunciano a Ventimiglia il clima italiano. Il secondo conducente già pregusta almeno 12 ore di riposo assoluto. Il veterano ha invece già all’orizzonte un’altra meta.

Ivana Macor

 


In collaborazione con Help!

 

 


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