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Eric Ward

Pensare al futuro: medicina di genere e “questione femminile”

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Se consideriamo con più attenzione la sfera del benessere psicofisico della donna, ci rendiamo immediatamente conto di quanto la sua importanza non sia relegata solamente al campo della salute personale ma abbia in realtà una vera e propria rilevanza sociale per il ruolo che la donna stessa rappresenta nella società in tutte le età della sua vita (figlia, moglie, madre, nonna ecc.) nel contesto familiare, senza scordare il suo valore essenziale nel mondo del lavoro.

L’argomento “salute delle donne” è quindi troppo spesso, erroneamente, relegato al campo delle malattie femminili trascurando, e talvolta semplificando e banalizzando, accezioni che invece risultano fondamentali. Di una vera e propria “questione femminile” in medicina, come nella ricerca scientifica e nella sperimentazione farmacologica, si può parlare infatti solo a partire da tempi molto recenti. La storia della medicina di genere si può far risalire al 1991 con la pubblicazione sul “New England Journal of Medicine” dell’articolo della cardiologa Bernardine Healy intitolato “The Yentl syndrome” (La sindrome di Yentl), in cui la direttrice dell’Istituto nazionale di Salute pubblica segnalava i risultati di uno studio su un gruppo di donne cardiopatiche, denunciando l’atteggiamento fortemente discriminatorio dei medici nei confronti delle pazienti. Da qui scaturì un forte interesse sull’argomento che portò ad una seria riflessione critica e diede impulso all’incremento di indagini e studi a livello internazionale. Nel 1998 il Consiglio d’Europa ha sostenuto che “il genere è la definizione socialmente costruita di donne e uomini. È l’immagine sociale della diversità di sesso biologica, determinata dalla concezione dei compiti, delle definizioni e dei ruoli attribuiti a donne e uomini nella società e nella sfera pubblica e privata”. La stessa Organizzazione mondiale della sanità ha inserito poi la medicina di genere nell’Equity Act a testimonianza che il principio di equità implica che la cura sia appropriata e più consona al singolo genere; ancora, è del 2002 il primo corso di medicina di genere presso la Columbia University di New York. Per spiegare meglio il concetto in esame potremmo allora dire che la medicina di genere è sostanzialmente la distinzione in campo medico, scientifico e farmacologico delle ricerche e delle cure in base al genere di appartenenza, non esclusivamente dal punto di vista delle differenze anatomiche bensì valutando i diversi fattori biologici, funzionali, psicologici, sociali e culturali. La 65ª edizione delle Giornate Mediche Triestine, svoltasi di recente presso l’Ospedale di Cattinara, ha avuto per titolo proprio: “Il pianeta donne e la medicina di genere”. Il tema è stato fortemente proposto dal presidente della storica Associazione Medica Triestina Alberto Giammarini Barsanti, medico di famiglia dalla consolidata esperienza a cui ci siamo rivolti come esperto in materia. Quando e perché ha cominciato ad interessarsi di medicina di genere? “Da circa due anni è emersa questa problematica in modo diciamo così “continuativo” ma i primi approcci risalgono a più di 10 anni fa quando ci si è resi conto che le donne andavano incontro a patologie cardiovascolari, soprattutto infarto del miocardio, intorno ai 60-65 anni (10 anni più tardi rispetto agli uomini), ma con fenomeni di maggiore gravità. Il medico di famiglia è spesso il primo sanitario ad essere consultato dal cittadino/paziente che presenta un problema di salute ed è pertanto logico che, nell’occuparsi del benessere dei suoi assistiti, debba tenere conto della differenza di genere in alcune patologie e soprattutto nella prevenzione. Cominciamo ad occuparci di prevenzione fin dall’età adolescenziale e qui dobbiamo mettere in evidenza come esistano diversi approcci e diverse problematiche fra i due sessi, ma il primo aspetto fondamentale della prevenzione è rappresentato dalla promozione della salute”. A quali patologie sono più esposte le donne e perché? “Nell’adolescenza cominciano ad evidenziarsi differenze di genere non solo dal punto di vista sessuale come è facile immaginare, ma anche e soprattutto nell’approccio alla vita sociale. È questa l’età pericolosa in cui ci si avvicina all’alcool, al fumo e ad altre sostanze. È l’età in cui si ha un’immagine di sé che spesso porta a comportamenti errati che possono condurre a patologie anche gravi. L’adolescente frequenta molto lo studio medico (il 72,2% dei giovani ha avuto per lo meno un accesso dal proprio medico e più del 25% ha avuto almeno 3 contatti in un anno), purtroppo però non sempre i professionisti sono preparati a cogliere dei segnali che potrebbero portare ad un maggior dialogo e quindi ad una migliore comprensione dei problemi. Vediamo da vicino alcuni aspetti. Problema alcool: a questa età “per sentirsi grandi” si comincia a bere, l’alcool ha un effetto disinibente ed aiuta nelle relazioni sociali. Ma le ragazze hanno un problema in più rispetto ai maschi: non possiedono un sistema ossidativo che permetta di detossicare l’alcool e quindi sono più esposte sia agli effetti collaterali che al rischio di dipendenza. La stessa cosa può dirsi per il fumo di sigaretta: le donne fumatrici hanno un aumentato rischio di sviluppare malattie bronchiali (asma in gioventù, bronchite cronica in seguito) rispetto ai maschi e, purtroppo, il dato attuale vede il fumo in aumento nelle giovani a fronte di una certa regressione nei maschi di pari età. Un altro problema giovanile in cui si manifesta una differenza di genere è il rapporto con il cibo: le giovani sono molto più esposte al problema della bulimia (eccesso di alimentazione) e dell’anoressia (scarsa alimentazione) con risultati di salute spesso disastrosi”. Differenze di genere si incontrano anche nella vita sessuale. Come si comportano le adolescenti? “Spesso le giovani si rivolgono per la prima volta al loro medico per avere una terapia contraccettiva, o, peggio, la famosa pillola del giorno dopo. Di frequente, poi, l’adolescente inizia ad avere una vita sessuale prima di averne compreso il significato: è il medico di famiglia che dovrebbe aiutarla in questo percorso attraverso l’informazione sull’anatomia e la fisiologia dell’apparato riproduttivo in modo da prevenire le gravidanze indesiderate. Le giovani donne sono spesso vittime di abusi e per questo motivo è necessaria una buona prevenzione per spiegare a quali pericoli possano andare incontro”. Cosa succede nell’età giovane-adulta? “In questo periodo le donne sono spesso mamme e affiancano al compito di crescere ed educare i figli anche quello di “portare avanti” la famiglia e, spesso, sono impegnate nel mondo del lavoro. Già questo rende conto di come ci sia differenza di genere! Non è più proponibile la promozione di un adeguato stile di vita: il 47% delle donne italiane dichiara di non praticare alcuna attività motoria, proprio a causa degli impegni descritti e la sedentarietà è un fattore di rischio silenzioso ma molto importante. Sempre per gli stessi motivi, nonostante il mantenere un buono stato di salute sia considerato molto importante per 7 donne su 10, esse disertano gli appuntamenti con il medico. Una prevenzione di “genere” nella donna in questa fascia d’età riguarda, ancora una volta, il fumo specialmente perché può essere contemporaneo all’assunzione di contraccettivi ormonali che ne peggiorano gli effetti tromboembolici”. Qual è la principale differenza di genere nell’età matura-anziana? “Indubbiamente l’osteoporosi, malattia alla quale le donne sono molto più esposte in quanto, dopo la menopausa, diminuiscono gli ormoni che regolano il metabolismo dell’osso. Sempre in questa fascia d’età – conclude Giammarini Barsanti – bisogna tenere conto che l’utilizzo dell’aspirina nella prevenzione delle malattie cerebro-cardiovascolari sembra proteggere molto di più il maschio rispetto alla femmina alla quale, quindi, dovrebbe essere somministrato un altro tipo di farmaco”. Anche Gabriella Vaglieri, medico di medicina generale, da molti anni studia e applica coscienziosamente la medicina di genere nella sua quotidiana professionalità, partecipando attivamente a molti convegni locali e nazionali. È dunque a lei che poniamo, di seguito, altre questioni in materia. È corretto parlare di diversa risposta ai farmaci delle donne rispetto agli uomini? “La risposta è diversa non solo come meccanismo di azione e tempi di risposta, ma anche come effetti legati alla dose minima efficace ed agli effetti collaterali (maggiori nelle donne)”. Il genere, oltre alla patologia, condiziona anche le terapie: quali sono i farmaci “per donne”? “Non ci sono farmaci per donne, ma esiste una farmacologia di genere: i farmaci devono essere studiati e sperimentati tenendo conto del sesso e delle diversità anatomiche e fisiologiche tra donna e uomo (ad esempio tenendo conto della diversa percentuale e distribuzione del grasso corporeo che varia a seconda dell’età e altri parametri). Bisogna ricordare che la sperimentazione clinica dei farmaci non prevede obbligatoriamente (negli Usa invece sì) la sperimentazione su soggetti di sesso femminile e quindi i farmaci in uso sono testati su uomini”. A che punto siamo in Italia con la medicina di genere, in particolare si può parlare di vere politiche della salute per le donne? “L’Istituto superiore di sanità ha avviato un Programma strategico nazionale rivolto alla medicina di genere come obiettivo strategico per la sanità pubblica. Il nocciolo è l’appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna. Cinque gli ambiti di ricerca previsti dal Programma, che saranno sviluppati in altrettanti progetti specifici affidati a diversi enti: malattie dismetaboliche e cardiovascolari (Iss - Istituto superiore di sanità); immunità ed endocrinologia (Irccs Istituto dermatologico San Gallicano, Ifo - Istituti fisioterapici ospitalieri); attività della donna in ambienti di lavoro (Ispesl - Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro ora confluito nell’Inail); malattie iatrogene e reazioni avverse (Ass. Salute Regione Sicilia); determinanti della salute della donna, medicina preventiva e linee guida (Agenas - Ass. Igiene e Sanità Regione Sardegna)”. Come può cambiare la vita delle donne grazie alla medicina di genere? “Con la gestione della salute in un’ottica di genere si va incontro ad un cambiamento fondamentale che si deve basare però anche sull’educazione sanitaria della popolazione (per programmi di prevenzione innanzitutto e poi di cura) e sulla formazione specifica del personale sanitario. Non si cambia solo la gestione delle patologie, ma i percorsi basati sul genere devono dare origine ad una corretta gestione delle risorse con beneficio specifico di tutti i soggetti interessati. Le donne, che rappresentano i caregivers (donatori di assistenza) per eccellenza, non potranno – conclude la Vaglieri – che trarne vantaggi che si ripercuoteranno indubbiamente sullo stato di salute”. Virna Balanzin


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