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Matheus Ferrero

L’Associazione Parkinsoniani Trieste Pegaso

 |  redazionehelp

Nel mondo occidentale sono purtroppo numerosissime le famiglie colpite più o meno direttamente da una delle patologie psicologicamente più critiche e, alla lunga, invalidanti: la malattia di Parkinson.

L’Associazione Parkinsoniani Trieste Pegaso vuole essere, di concerto con la rete dei servizi sociali e sanitari pubblici (come l’ambulatorio Parkinson della Clinica Neurologica dell’Università di Trieste, l’ambulatorio di fisiatria dedicato alla malattia di Parkinson del reparto di Riabilitazione dell’Ospedale Maggiore e i Distretti del territorio), una risposta ai bisogni che la malattia porta con sé nella vita di tutti i giorni di pazienti e familiari. L’accesso all’associazione è molto semplice: ci si può mettere in contatto telefonicamente (040/2415617) o via mail (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.). Possono iscriversi malati o loro familiari, ma anche sostenitori e simpatizzanti. L’associazione ha una nuova sede a Trieste in via Rigutti 9/c generosamente messa a disposizione dalla sig.ra Anna Maria Giacometti, moglie di Giovanni Giacometti recentemente scomparso.
“La malattia di Parkinson – racconta il dottor Livio Capus, presidente dell’organizzazione – colpisce prevalentemente il movimento ed il simbolo del mitico cavallo alato Pegaso con il logo “Parkinson in libertà – Voglio vivere la vita” significa il desiderio di autonomia e di affrancamento da quegli impedimenti creati dalla malattia che si possono vincere grazie ai medici, ai farmaci, ma anche alla forza interiore, presente in ognuno di noi”. L’Associazione Parkinsoniani Trieste (APT) Pegaso è nata principalmente per fornire aiuto alle persone affette da malattia di Parkinson ed ai loro familiari.
Questo aiuto può essere diretto, con l’accoglimento dei nuovi soci tramite un primo colloquio con la psicologa e l’organizzazione di gruppi di autosostegno diretti da un’assistente sociale esperta nella loro gestione. Vengono programmate attività dando libero sfogo alla personale iniziativa ed alle peculiari attitudini individuali, ma anche favorendo dialogo e confronto sulle diverse problematiche della malattia. Piccoli gruppi partecipano ai laboratori psicoattivanti per gestire al meglio, per esempio, le difficoltà psicologiche che possono insorgere a seguito delle nuove dinamiche familiari legate alla gestione di una malattia cronica ed evolutiva, mentre la riabilitazione neuropsicologica viene riservata a singoli casi con iniziali problematiche di tipo cognitivo. Per trascorrere qualche momento di svago, favorire la socializzazione, ma anche migliorare i problemi di fonazione, molto spesso presenti nella malattia di Parkinson, l’associazione ha promosso la musicoterapica di gruppo, gestita da personale specializzato. È stata costituita una corale che sta acquisendo sempre maggiori capacità musicali ed ha intenzione di esibirsi in pubblico quanto prima. Vengono infine organizzate gite, attività ricreative e socioculturali, partecipazione a convegni e conferenze su temi riguardanti la malattia e non solo.
L’aiuto indiretto, non meno importante, è rivolto invece alla formazione ed all’informazione. Sono stati istituiti dei corsi formativi sulle problematiche della malattia di Parkinson indirizzati ad assistenti domiciliari, assistenti di case di riposo e familiari, per metterli in grado di fornire la miglior assistenza possibile al malato e vengono organizzate conferenze divulgative sui progressi scientifici nella diagnosi e nella terapia della malattia. L’informazione è rivolta prevalentemente alle molte persone che non conoscono tutte le problematiche della malattia e che, in una visione stereotipata e riduttiva, immaginano il parkinsoniano semplicemente come un vecchietto un po’ curvo e con la mano tremolante. Quali sono i problemi aperti su questo fronte? “I problemi – risponde Capus – sono numerosi. Si dimentica spesso che la malattia può colpire persone ancora giovani ed attive con inevitabili ripercussioni sociali, lavorative ed economiche e sono ancora poco note le innumerevoli difficoltà che il paziente parkinsoniano deve affrontare. Nello stesso tempo esistono ancora troppi luoghi comuni che fanno sentire il malato di Parkinson discriminato e lo portano ad isolarsi ed a nascondere la malattia anche all’interno della propria cerchia familiare. Non conosciamo ancora la causa della malattia e non sono disponibili terapie neuroprotettive in grado di bloccare la sua progressione né terapie neuroriparative in grado di sostituire le cellule nervose danneggiate o perdute”. “Confidiamo comunque – conclude – che nei prossimi anni, con i progressi nell’utilizzo delle cellule staminali, questi aspetti possano venire affrontati e risolti nel migliore dei modi”.
Giuseppe Morea

BOX: LA SCHEDA: Cos’è il Parkinson

La malattia di Parkinson è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale, caratterizzata da una precoce e progressiva perdita di cellule nervose (neuroni), in particolare di quelle che producono la dopamina. La dopamina è un neurotrasmettitore indispensabile per il controllo delle funzioni motorie, ma anche di altre funzioni non motorie quali l’umore, il sonno, la memoria.
L’esordio è spesso subdolo ed insidioso: una lieve maggior lentezza di movimento (bradicinesia) con impaccio nella scrittura o maggior difficoltà nel vestirsi, girarsi nel letto, farsi la doccia, può essere il sintomo iniziale spesso sottovalutato dal paziente che si rivolge al medico con ritardo. Il tremore a riposo, pur molto specifico, può non essere presente in fase iniziale di malattia oppure appena percettibile. La rigidità muscolare (ipertonia), terzo sintomo cosi detto cardinale, contribuisce con la bradicinesia a limitare la mobilità del paziente.
La malattia ha un decorso progressivo, in misura molto variabile da caso a caso, ma che comunque, nel corso degli anni, causa una sempre minor autonomia. Per fortuna i farmaci attualmente disponibili sono molto efficaci, in particolare nei primi anni di malattia, quando si realizza, nel rapporto farmaco-paziente, quella che viene metaforicamente definita “luna di miele terapeutica”. I farmaci hanno un effetto esclusivamente sintomatico, migliorano cioè i sintomi, ma non esistono a tutt’oggi farmaci neuroprotettivi (che impediscano alle cellule nervose ancora sane di ammalarsi) né neuroriparativi (in grado di sostituire i neuroni perduti). Ad ogni buon conto la durata media della vita di un parkinsoniano, grazie alle moderne terapie farmacologiche, è quasi sovrapponibile a quella della popolazione generale.
Ultimamente, accanto al concetto di neuroprotezione, è stato elaborato quello di “disease modyifing effect” ovvero la capacità di un farmaco di modificare il decorso clinico della malattia. Questo termine indica diverse possibilità, come la capacità dei farmaci assunti precocemente di evitare meccanismi compensatori maladattativi, di migliorare la qualità di vita con un buon controllo dei sintomi, di ritardare la comparsa di complicazioni e conservare il più a lungo possibile l’autonomia del paziente. Nei pazienti più giovani e con lunga storia di malattia, è possibile, in casi selezionati, un intervento di chirurgia funzionale (stimolazione cerebrale profonda).
Purtroppo, con il passare del tempo, anche questa luna di miele con i farmaci, come tutte le lune di miele, si esaurisce. I farmaci diminuiscono la loro efficacia e possono comparire complicanze motorie come improvvisi blocchi del movimento, talora veri e propri fenomeni di congelamento (freezing) che facilitano cadute anche rovinose, alternati a periodi di buona mobilità spesso disturbati però da movimenti involontari (discinesie) che rendono il paziente disabile e dipendente. A queste complicanze motorie possono aggiungersi complicanze non motorie: dolore, disturbi del sonno, depressione, allucinazioni e deterioramento cognitivo.


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