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JD Mason

Acufene, quell’insopportabile ronzio nelle orecchie

 |  redazionehelp


Ogni otorinolaringoiatra nel corso della sua attività si sarà sentito porre interrogativi simili e le risposte che ha dato, per la verità, sono state spesso insoddisfacenti per il paziente di turno e anche per il professionista stesso, consapevole di quanto fossero aleatori spiegazioni e rimedi proposti.

In passato mancava la consapevolezza che l’acufene o “tinnitus” fosse un fenomeno complesso, non solo di origine periferica e auricolare ma multifattoriale, ampiamente condizionato da danni organici e non, tale da coinvolgere aree insospettabili del sistema nervoso centrale e periferico.
Oggi si sa che l’acufene è il sintomo di una disfunzione del sistema uditivo: è quella sensazione uditiva riferita come ronzio, fischio, sibilo, fruscio, che non ha riscontro in una sorgente sonora nell’ambiente esterno e viene avvertita solo dal soggetto (acufene soggettivo o “acufene propriamente detto”). Questo sintomo non corrisponde ad alcun suono nel senso fisico del termine, ma solo ad un segnale bioelettrico generato a livello dell’apparato uditivo o del sistema nervoso centrale. Da qui la definizione di “percezione uditiva fantasma” (P.J. Jastreboff, 1993). Il suono avvertito dal soggetto alcune volte è effettivamente generato da una sorgente fisica, nell’orecchio medio o esterno, o nelle aree contigue. Questi suoni, che possono anche essere percepiti da un attento esaminatore, sono definiti “somato-sounds” e corrispondono alla vecchia classificazione degli “acufeni oggettivi”. Si tratta, in genere, di rumori di origine vascolare, tubarica, muscolare, trasmessi per via ossea ed in grado di stimolare il recettore cocleare.
Attualmente sono numerosi i soggetti affetti da acufene e la risposta individuale a tale disturbo è molto diversificata: alcuni riferiscono il loro sintomo in modo allarmante e sono sempre alla ricerca di una cura risolutiva, altri riescono ad adattarsi e convivere con il proprio acufene. L’incidenza del sintomo acufenico è piuttosto rilevante: si stima che interessi circa il 10-17% della popolazione mondiale. Negli Stati Uniti circa 44 milioni di persone sono affette da acufene e tra queste, circa 10 milioni soffrono di acufeni gravemente debilitanti. È stata riscontrata una maggiore prevalenza nella popolazione con un’età superiore ai 65 anni; nella maggioranza dei soggetti viene avvertito in entrambe le orecchie o al centro della testa.
È difficile definire l’origine dell’acufene: costituisce un sintomo e non una malattia. Può essere costante o intermittente, se è pulsante va sincrono con il battito cardiaco. Può creare un vero e proprio stato invalidante se compromette il ritmo sonno/veglia, le abitudini lavorative, i livelli di attenzione e concentrazione. Esiste poi una forte correlazione tra percezione dell’acufene ed effetti sul sistema nervoso centrale, in particolare riguardo l’influenza sulle aree emozionali (comparsa di stress, irritabilità, reazioni emotive al suono) che determina la persistenza nel tempo della percezione dell’acufene e la resistenza al suo mascheramento.
Tra le varie possibili cause individuate, vi sono le affezioni dell’orecchio esterno, come un banale tappo di cerume, patologie dell’orecchio medio, come otiti catarrali acute e croniche, otosclerosi stapedio-ovalari, o patologie più rare come fistole artero-venose, tumori glomici, problemi muscolari. L’acufene d’origine neurosensoriale può essere causato da patologie del recettore periferico (orecchio interno), delle vie e dei centri uditivi o di entrambi i sistemi. Le affezioni della coclea (a carico delle cellule ciliate cocleari, cellule sensoriali delicatissime le cui ciglia emettono i segnali sonori e se inficiate non guariscono e non si ricreano) e del nervo acustico sono causate principalmente da patologie vascolari, esposizione a rumore (ipoacusia da trauma acustico acuto o cronico), farmaci, età (presbiacusia), malattie degenerative (labirintopatie tossiche, sindrome di Menière), dismetaboliche e neoplastiche (neurinoma del nervo VIII), malattie autoimmuni.
Altre cause ipotizzate, ma non ben accertate, che non interessano l’apparato uditivo: disordini dell’articolazione temporo-mandibolare; malformazioni vascolari; fistole artero-venose; lesioni arteriosclerotiche dei tronchi sovraortici; patologie a livello del rachide cervicale; disfunzioni tiroidee; anemie; epatopatie croniche; ipercolesterolemia; ipertensione arteriosa; diabete mellito. In una consistente percentuale di casi non è possibile individuare alcuna causa evidente: molti soggetti che soffrono di acufene hanno un buon udito e non sono affetti da patologie individuabili. In questi casi si parla di “acufene soggettivo idiopatico”, ovvero da causa sconosciuta.
Considerando le difficoltà, in molti casi, di individuare un’origine sicura, soprattutto negli ultimi anni ha assunto molta importanza lo sviluppo del “Modello Neurofisiologico” degli acufeni, che si deve al prof. P. Jastreboff, basato sulla plasticità cerebrale e sulle connessioni tra il sistema uditivo ed aree del cervello come il sistema limbico e il sistema nervoso autonomo.
Secondo il fisiologico modello di percezione, prima di raggiungere la corteccia cerebrale, il messaggio di qualsiasi stimolo sonoro esterno o interno, è captato e valutato ad un livello sub-corticale non cosciente. Se un’informazione è classificata come sufficientemente importante, può raggiungere il livello corticale, dove avviene la percezione conscia delle informazioni. Quando essa è ritenuta non sufficientemente importante, è rifiutata. Un esempio può fare chiarezza: se parliamo con qualcuno in un ambiente affollato e con intenso rumore di fondo, possiamo focalizzare l’attenzione solo sul nostro interlocutore ed ignorare il rumore circostante, anche se questo ha un’intensità maggiore. Il nostro cervello, quindi, è capace di scegliere messaggi importanti ed ignorare quelli che non lo sono, senza che noi ce ne rendiamo conto. Le connessioni che presenta il sistema uditivo centrale con altri centri nervosi (sistema limbico, formazione reticolare) mettono poi in relazione l’udito con lo stato emotivo e l’apprendimento. Qualsiasi stimolo sonoro, prima di essere inviato al cervello assume una carica emotiva che può variare nel tempo in funzione del nostro stato d’animo e del contesto nel quale lo percepiamo. In questo senso alcuni suoni evocano una sensazione gradevole (ad esempio una melodia, una risata) e altri irritano o creano ansia.
Sorprendente risulta la prima descrizione del fenomeno del “mascheramento” che Aristotele inserisce fra i Problemata Phisica. Uno dei problemi aristotelici infatti recita: «Perché il ronzio dell’orecchio cessa in presenza di un suono?». La risposta codificata è: «Perché un suono intenso annulla quello più debole».
Nel caso dell’acufene, uno sbilanciamento dell’attività neurale nel sistema uditivo (più frequentemente correlato ad un danno dell’orecchio interno) è captato dai recettori uditivi periferici ed, essendo un segnale nuovo, è amplificato dai centri sub-corticali, trasferito alla corteccia uditiva, percepito come «suono-acufene» e successivamente valutato. Nella maggior parte dei casi la presenza continua dell’acufene determina una sorta di “abitudine di reazione” al segnale: la percezione è ancora possibile ma il fastidio è scarso o assente. Questo accade nei soggetti che considerano l’acufene come un evento naturale, non disturbante. In una minore percentuale di casi, le autoconvinzioni, generalmente infondate, riguardo alla gravità di una lesione che ha generato l’acufene (tumore cerebrale, trombosi cerebrale) così come l’evoluzione del sintomo (durerà per tutta la vita, diventerà più intenso, “diventerò pazzo”), inducono una sintonizzazione delle reti neurali a percepire il segnale-acufene. Questo aumenta la risposta emotiva avversa del sistema limbico (paura, ansia) e la reazione del sistema nervoso autonomo, aumentando così il fastidio.
Ai fini diagnostici l’approccio clinico non può prescindere da un’accurata analisi dell’anamnesi patologica remota e prossima del paziente e del suo profilo personale e psicologico. Poiché spesso uno stress emotivo costituisce il fattore scatenante nell’insorgenza dell’acufene, è molto importante valutare il profilo personale del soggetto e i fattori psico-emozionali, con un’indagine di tipo psicologico e comportamentale (abitudini di vita, ambiente familiare). In alcuni casi l’acufene si accompagna a disturbi del comportamento, come irritabilità, ansia, depressione, fobie, spesso interpretabili come reattivi al sintomo, ma a volte preesistenti ad esso. È importante indagare sull’eventuale presenza di patologie croniche come ipertensione arteriosa, ischemia miocardica, insufficienza vertebro-basilare, diabete mellito, dislipidemie, epatopatie, anemia, distiroidismo. Altri elementi da considerare sono: l’assunzione di farmaci ototossici (aminoglicosidi, antimalarici, Fans, furosemide, antidepressivi triciclici); l’abuso di caffeina ed alcolici; il fumo di sigaretta; la vita lavorativa del soggetto, con particolare riguardo all’esposizione al rumore, in quanto è stata riscontrata un’alta incidenza di trauma acustico cronico nella patogenesi dell’acufene.
In seguito si valuta la storia otologica del paziente e si procede all’anamnesi relativa alle caratteristiche dell’acufene: modalità d’insorgenza del sintomo (graduale o improvvisa); durata (anni, mesi o giorni); frequenza (continuo, episodico); associazione con altri sintomi come la vertigine, la perdita dell’udito o il senso di svenimento. Il passo successivo è l’esame obiettivo del condotto uditivo esterno e della membrana timpanica mediante un’otoscopia, e poi la valutazione delle fosse nasali, della cavità orale e dell’articolazione temporo-mandibolare. La visita audiologica e i test di audiometria sono necessari per fare una prima distinzione tra acufeni da causa uditiva e acufeni da causa extrauditiva. Per completare la valutazione si effettuano visite specialistiche per la diagnosi di eventuali patologie metaboliche e cardiocircolatorie e, se la diagnosi lo richiede, indagini radiologiche, come Tac cranio o RMN encefalo.
Dal punto di vista terapeutico, il trattamento degli acufeni costituisce in molti casi ancora un problema che non sempre viene risolto. Molte sono state le terapie proposte nel corso degli anni per combattere i sintomi e il disagio, quest’ultimo aggravato dall’insuccesso dei tentativi di cura e dalla prospettiva di doversi rassegnare a convivere per sempre con il proprio acufene. Le attuali possibilità di trattamento degli acufeni idiopatici cronici sono estremamente aspecifiche. Ciò risulta dalla combinazione di due fattori: da una parte, la terapia di tipo eziologico è possibile solo in alcune circostanze e nelle fasi iniziali di comparsa dell’acufene; dall’altra, non sono ancora chiariti i meccanismi neurotrasmettitoriali implicati nella genesi e nel mantenimento degli acufeni. Il primo passo della presa in cura consiste nello stabilire un dialogo costruttivo con il paziente. La terapia medica che è stata proposta nel corso degli anni si è basata sull’uso di diversi farmaci o presidi che hanno dato risultati solo parziali e con effetti collaterali.
Un trattamento che sembra avere una reale efficacia nella riduzione o nella scomparsa dell’acufene è la “Tinnitus Retraining Therapy”, ipotizzata dal prof. Jastreboff nel 1988 e che si basa sul modello neurofisiologico. Lo scopo della terapia è quello di sopprimere, o almeno attenuare, la connessione tra il sistema uditivo, il sistema limbico e quello nervoso autonomo, così da ridurre l’entità soggettiva dell’acufene percepito, fino alla totale scomparsa in un gran numero di casi. I dati parlano dell’80% di guarigioni.
Anche se questo rivoluzionario trattamento ha ormai soppiantato le tradizionali terapie farmacologiche, nei casi in cui è possibile riscontrare una patologia organica, l’applicazione di un corretto protocollo farmacologico può dare dei buoni risultati. Da ciò deriva l’importanza di un approccio diagnostico approfondito, anche e soprattutto per l’esclusione di gravi patologie che possono essere alla base dell’acufene, cosa quasi sempre realizzabile con le attuali metodiche strumentali e radiologiche e la presa in carico da parte di uno specialista dalla consolidata professionalità ed esperienza.
Ignazia Zanzi

BOX: Com’è fatto l’apparato uditivo

È descrivibile anatomicamente come un insieme piuttosto complesso di strutture la cui funzione è la trasformazione del suono (che da un punto di vista fisico è la variazione della pressione dell’aria prodotta dal passaggio dell’onda sonora) in un segnale fisiologico che viene trasmesso al sistema nervoso centrale dove viene analizzato ottenendo così la sensazione uditiva. Il fisico George Ohm, oltre un secolo fa, intuì per primo che il funzionamento dell’orecchio umano è basato sulla scomposizione dei suoni complessi, come quelli del linguaggio, in vibrazioni semplici e discrete, destinate ad un’analisi da parte del cervello.
Con il termine orecchio si intende non solo la parte visibile o padiglione, ma l’intero apparato uditivo periferico, comprese le complesse strutture dell’orecchio interno, collocate profondamente nel cranio, ed il nervo che da esso se ne diparte. Il sistema uditivo periferico è diviso in tre distinte strutture: orecchio esterno, medio e interno. L’orecchio esterno, costituito essenzialmente dal padiglione auricolare e dal condotto uditivo, ha il compito di raccogliere l’informazione proveniente dal mondo esterno. Orecchio esterno e medio (cavità in cui alloggiano tre ossicini, che nell’insieme costituiscono la catena ossiculare) adempiono la funzione di raccogliere e trasformare il suono in modo tale che l’energia vibratoria sia in grado di eccitare la porzione interna dell’organo dell’udito. L’orecchio interno (contiene la parte sensoriale dell’udito ed il sistema vestibolare periferico preposto al controllo dell’equilibrio) trasforma l’energia vibratoria del segnale sonoro in segnali elettroneurali destinati al sistema nervoso centrale.

BOX: Riconoscimento e ricerca sono ancora insufficienti

È da ritenersi una malattia diffusa e ad alto rischio per la salute dell’uomo: in Italia affligge in maniera importante oltre 5 milioni di persone. Un dato che rende colpevolmente sottovalutato il problema come dimostra la grave carenza di strutture sanitarie e scientifiche indirizzate allo studio e al trattamento degli acufeni.
In Italia si è da tempo costituita l’Ait onlus (Associazione italiana tinnitus-acufene con sede a Lavariano – tel./fax 0432.767060) che con i suoi 2.000 inscritti (oltre 400 in FVG) si propone di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica e tutte le figure professionali coinvolte nelle patologie che determinano un acufene. “Ci siamo appellati – sostiene Ottorino Savani, presidente dell’Ait – ai vari ministri della Salute sin dal 1999, ultimamente sono state fatte 20 interrogazioni parlamentari. Tutto questo affinché il governo dia l’avvio a studi e ricerche finalizzate a questa orfana patologia. Non sussistendo i requisiti di particolari e di larga diffusione l’acufene per il momento non è stato inserito nei LEA, Livelli essenziali di assistenza. Eppure l’acufene ha dei costi sociali, oggettivamente accertabili, nel mondo del lavoro quando comporta cambi di mansione e soprattutto nei casi più gravi d’interruzione dell’attività lavorativa specie se associati all’insorgere di malattie professionali”.


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