Il terrazzo si può ingrandire?
Una mia vicina di casa, e più precisamente l’inquilina dell’ultimo piano, ha espresso nel corso di una recente assemblea condominiale il suo desiderio di prolungare il terrazzo che esce dal suo soggiorno, fino a
farne raddoppiare le dimensioni. È legittima questa sua richiesta? E quali poteri ha l’assemblea condominiale, ovvero il condominio a tale proposito? (Lettera firmata)
“Innanzitutto – spiega Daniele Dolce, amministratore di condomini e titolare dello studio di amministrazione stabili Samaritan – alcune premesse e una considerazione finale, apparentemente opposta alle premesse, ma sicuramente inattaccabile. In primo luogo, è assolutamente legittimo che l’inquilina, in questo caso dell’ultimo piano ma il fatto può valere per qualsiasi piano, esprima il diritto di allungare un poggiolo, un balcone o un terrazzo. In secondo luogo, il condominio, inteso come insieme di condomini, non può metter bocca nelle intenzioni di un condomino che decida di fare dei lavori su una porzione di fabbricato che è di sua esclusiva proprietà. In terzo luogo, infine, nonostante queste premesse, è quasi certo che la signora mai riuscirà ad eseguire realmente i lavori, pur avendo tutti i permessi burocratici di questo mondo”.
Ma come, sembrava che la strada per il raddoppio del terrazzo fosse spianata, senza ostacoli, e invece si afferma che i lavori non saranno mai eseguiti? “I lavori in questione – chiarisce Dolce – trovano regolamentazione nel nostro Ordinamento Giuridico negli artt. 1102 e 1120 del Codice Civile. Questi specificano che un determinato lavoro alle parti comuni dell’edificio può essere svolto qualora non crei problemi alla “sicurezza e alla stabilità dell’edificio” (problema prettamente tecnico), non vi sia “alterazione del decoro architettonico” con conseguente deprezzamento del valore economico dello stabile (problema di giudizio soggettivo frequentemente demandato a periti nominati dai Tribunali) e nel caso in cui “le opere non rendano inservibile talune parti all’uso o al godimento anche di un solo condomino”.
Allora non è vero che la strada per l’ampliamento del terrazzo sia spianata. Sono ben tre gli ostacoli da scavalcare. Ma andiamo con ordine. “Innanzitutto – sottolinea Dolce – il problema relativo alla sicurezza e alla stabilità dell’edificio può essere aggirato con una seria documentazione presentata dalla parte interessata a completare l’intervento edilizio all’assemblea dei condomini”. “Il problema dell’alterazione del decoro architettonico – prosegue il titolare dello studio Samaritan – è delegato ad un parere del Giudice del Tribunale, il quale assegna l’incarico a un perito di sua fiducia. È prassi consolidata la sentenza n. 16098 del 27/10/03 secondo cui è necessario accertare che l’alterazione sia appariscente e di non trascurabile entità e tale da provocare un pregiudizio estetico dell’insieme suscettibile d’un apprezzabile valutazione economica, mentre detta alterazione si può affermare, senza necessità di siffatta specifica indagine, solo ove abbia riscontrato un danno estetico di rilevanza tale, per entità e/o natura, che quello economico possa ritenervisi insito”. Insomma, nella sostanza di questo caso che stiamo trattando, appare difficile dimostrare che il semplice prolungamento di un terrazzo possa comportare un così grave danno all’estetica dello stabile, tale da generare una sensibile perdita di valore dell’intero immobile.
Qui finiscono le “carte” che può giocarsi l’assemblea condominiale per bloccare i lavori. È poco probabile avere successo, dal momento che una perizia tecnica e una valutazione di impatto estetico darebbero certamente il via libera ai lavori. “Ma ecco che la legge – conclude Dolce – dà la possibilità di entrare in campo anche al singolo condomino, che può appellarsi ai concetti di “inservibile all’uso e al godimento” e di “sensibile menomazione dell’utilità”. Sulla base di questi argomenti, infatti, può appellarsi ciascun condomino che ritenga in qualche modo di subire un danno dai lavori in progettazione. Singolarmente, quindi, si può insorgere contro l’opera se si è in grado di documentare che essa arrechi un grave pregiudizio come la menomazione di aria e/o luce per il proprio alloggio”. Sentenze alla mano, l’esito è nella maggioranza dei casi favorevole al condomino che si oppone ai lavori.
Giuseppe Morea