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Fausto García

Risvegliate il dinosauro che è in voi!

 |  redazionehelp

Una ribellione pacifica, sia chiaro, ma convinta e immediata per difendere la cultura, la scuola, i libri, l’estetica, la legalità e il buon gusto. Per la sopravvivenza del “dinosauro” che è in noi, che se non si risveglia adesso rischia davvero l’estinzione. Da molti anni Piero Dorfles si occupa di temi culturali anche in televisione, dove è stato conduttore di numerosi programmi di successo, fra cui “Per un pugno di libri” su RaiTre. Ospite a Trieste per presentare il suo nuovo saggio dal titolo «Il ritorno del dinosauro. Una difesa della cultura» (Garzanti editore), l’autore ha colto l’occasione per ragionare sulla complessità del mondo d’oggi, puntando il dito sulla preoccupante involuzione intellettuale del nostro Paese.


Professor Dorfles, nella società del progresso tecnologico lei scrive di sentirsi un «dinosauro fastidioso» appartenente a una specie quasi estinta…
“Non è che io mi senta tale, ma è abitudine comune considerare dinosauri coloro che non credono, ad esempio, che la scuola serva solo a intrattenere, che la vera trasmissione del sapere passi dalla televisione e non dalla scrittura, che il grande sviluppo del sistema digitale abbia portato a tutti una straordinaria capacità di mettersi in contatto col mondo. Ecco, il dinosauro è quello che invece pensa che la scuola e gli strumenti educativi tradizionali non siano affatto superati e prima di dire che il libro è morto ci pensa su dieci volte. Sono tuttavia convinto che il dinosauro non si sta estinguendo. Anzi, ha davanti a sé un futuro, perché senza conoscenza l’umanità muore, anche quella che ha in mano il potere tecnologico: non basta possedere il mezzo di comunicazione, ma è necessario qualcosa da metterci dentro. Il problema dei contenuti prima o poi verrà a galla e così pure i dinosauri torneranno utili”.
Perché, secondo lei, lo sviluppo delle nuove tecnologie sta comportando un’involuzione culturale? Non le sembra un paradosso?
“È un paradosso fino a un certo punto. I grandi passaggi e tutte le grandi rivoluzioni, sia tecnologiche che ideologiche, comportano dei contraccolpi molto duri. Stiamo attraversando un momento di trasformazione, che lascerà tracce profonde e cambiamenti radicali. Bisogna stare attenti a non buttare via ciò che ci è utile, quello che anzi ci è indispensabile. Pur sapendo che non si può frenare lo sviluppo, tanto meno quello tecnologico attuale. Vorrei però che non perdessimo mai di vista quello che è il fine reale della tecnologia. Oggi ci troviamo perfettamente connessi, ma senza più saper connettere: è un gioco di parole, ma spiega bene il fatto che il tecnicismo della connessione fa spesso dimenticare che prima di comunicare bisogna avere qualcosa da dire. È un rischio che credo si sentirà sempre di più, perché quando si ha poco da dire, il più delle volte significa che si ha anche poco da vendere. E se in una società che si fonda sul mercato non c’è niente da scambiare, si è destinati all’inesorabile declino”.
Esiste un modo per coniugare processo tecnologico e cultura?
“Non ci sono più destinatari del sapere e dell’azione sociale distinti dagli altri. È illusorio credere che oggi ci possa essere un ambiente, un’istituzione o un circolo che da solo riesca a invertire questa tendenza. Poteva accadere una volta che un gruppo di irredentisti producesse un cambiamento storico nella vita di una nazione, o che un gruppo fortemente motivato trascinasse dietro di sé masse plaudenti. Tutto questo non può più accadere: la frammentazione prodotta dalla modernità è qualcosa che ci fa perdere la possibilità di incidere subito e collettivamente sul reale, ma al contempo ci fa guadagnare il rispetto per l’individualità. Credo che la perdita alla fine si riequilibri col vantaggio, perché viviamo in un’epoca in cui è aumentato il diritto all’autonomia del pensiero. Ecco, questo è uno dei punti nodali d’inizio di millennio: l’esplosione dell’individualità e la scarsa propensione ad accettare le gerarchie. E se è giusto ribellarsi alle gerarchie, è però sbagliato non rispettare chi pensa, studia e lavora. Così come è giusto volere l’individualità, ma è sbagliato pensare che si possa vivere da soli. C’è un aggiustamento in corso, che penso durerà a lungo”.
Questa frammentazione di cui parla ci preserva dal rischio di un “Grande Fratello”?
“Di forme di controllo e manipolazione ne esistono ancora tante e, fra l’altro, ne abbiamo già parecchie sotto gli occhi. Aggiungo però che è sbagliato pensare ai grandi complotti. Ciò che accade oggi è strettamente legato a quello che noi permettiamo che possa accadere. Malgrado la frammentazione c’è una responsabilità sociale collettiva che si manifesta in valori condivisi, che alle volte sono pessimi. E se c’è qualcuno che con i mezzi di comunicazione determina l’orientamento dell’opinione pubblica, è altrettanto vero che la collettività è abbastanza vaccinata da saper distinguere il buono dal cattivo, senza farsi condizionare dalla massa. Il problema è convincere i cittadini che essere informati è un vantaggio per tutti, stanandoli dai loro pregiudizi, purtroppo ancora ben radicati”.
Parole come cultura, storia, scuola o istruzione sembrano incutere quasi timore a chi regge il timone del nostro Paese…
“Penso che quello che mette più paura sia il pensiero critico. Una collettività moderna che avesse pensiero critico imporrebbe un’accelerazione a tutti i valori non materiali che oggi sono puntualmente sottomessi agli interessi materiali. L’uomo moderno ha bisogno di spiritualità, di apprezzare ciò che non è materiale e corporeo, non solo in senso religioso. Perché oltre alla trascendenza, è importante l’esperienza del pensiero e della riflessione. Non c’è dubbio che tutto ciò sia in conflitto con un mondo votato al consumo e alla continua crescita economica. È sacrosanto che un uomo lavori per produrre ricchezza, ma trovo drammatico che non si riesca ad estendere al maggior numero di persone la consapevolezza di essere cittadini compiuti, di discernere le cose veramente utili dai superflui orpelli del consumismo. Di tutto questo il dinosauro si lamenta: come si può pensare che l’uomo d’oggi non desideri conquistare sempre più libertà, diritti, etica condivisa, rispetto per sé, per gli altri, per l’ambiente o per le diverse ideologie, fedi ed etnie? Il problema è che siamo “mitridatizzati al peggio”, siamo assuefatti ad un certo modo di comportarsi che noi tutti tolleriamo, come le tante illegalità diffuse. Spero che ognuno di noi nel suo piccolo sappia reagire e che un giorno si guarderà a questi comportamenti con profondo disgusto”.
Intende dire che l’antidoto all’estinzione siamo proprio noi?
“Certamente, perché tutti dovrebbero ribellarsi al conformismo e a questo modo di atteggiarsi e di pensare. L’obiettivo dell’uomo è la maturazione personale. Nel libro parlo di come per troppi anni si sia voluto incidere sul comportamento altrui – perché in fondo le grandi ideologie sono state questo – dimenticando invece il proprio. Cosa che ha lasciato tracce orribili nell’agire collettivo, per cui la morale di molti rivoluzionari era di predicare bene, mentre nel frattempo rubacchiavano, uccidevano o incarceravano gli oppositori. Oggi è indispensabile cambiare individualmente i comportamenti, poiché anche il progresso tecnologico sta trasformando gli uomini, il loro modo di essere e di vivere. Il rischio è che con le novità si buttino via pure i valori migliori della nostra cultura, fra cui ritengo centrali i diritti della persona e il rispetto per l’ambiente, ricadute visibili dell’agire umano che ci fanno ragionare sull’immediato futuro. Credo che si stia iniziando a capirlo e per questo sono ottimista”.
Claudio Bisiani


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