intervista ad Alda Paoletti
“Non ho visto la coesione tra volontari. Su scelte importanti non c’è stata unitarietà di proposta per una questione di pensiero autonomo, per motivi campanilistici e per motivi egoistici”.
A quando risale il tuo impegno nel mondo del volontariato?
“Risale al 1990. In quel periodo vivevo all’estero e precisamente nei Paesi arabi, dove ho iniziato ad occuparmi di volontariato con l’Unicef e la Croce Rossa. Ho avuto poi la fortuna di vivere in India ed è proprio lì che mi sono resa conto di quali e quante problematiche c’erano e sempre in India ho avuto la fortuna di vedere all’opera importanti organizzazioni di volontariato con le loro progettualità innovative. Nel periodo trascorso a Dubai ho lavorato nel Centro Lourds Medical Center e sono rimasta sbalordita quando ho avuto l’occasione di assistere a progetti rivolti ai bambini autistici che ponevano gli animali al centro di un percorso riabilitativo ed educativo. Fino a quel momento si riteneva che il mondo dei bambini disabili fosse a tinte bianche e grigie mentre le attività del Centro non solo misero in luce le diversità valorizzandole, ma fecero capire agli osservatori che il mondo era a colori per tutti. Il Centro già allora era meraviglioso: caratterizzato da un insieme di piccole villette adibite a laboratori (musica, botanica, lavori manuali), al suo interno ospitava un vero e proprio giardino botanico, uno zoo e una vasta area dedicata all’ippoterapia. Questo modo così innovativo di affrontare la disabilità mi colpì a tal punto da convincermi ad importarlo nel mio paese, nella mia città, Trieste”.
È in quel momento quindi che ha deciso di fondare una sua associazione?
“Esattamente. Dopo 14 anni da emigrata, non appena rientrata a Trieste (era il 1996), con un gruppo di amici decisi di dare i natali all’Associazione Petra di cui tuttora sono presidente. L’associazione si occupa di disagio degli adulti con una particolare attenzione ai minori. Poiché la mia occupazione principale è di essere coordinatore didattico del corso di laurea in ostetricia e di lavorare al Burlo Garofolo, ho avuto la possibilità di trovarmi immediatamente immersa in numerose realtà molto difficili. Pensando alle esperienze vissute all’estero ho portato nella mia città la pet-therapy, la clownterapia, la musicoterapia, la teatroterapia e i progetti di scolarizzazione all’interno dell’Ospedale. Poi si è pensato anche ad una progettualità che potesse sostenere la genitorialità. Per cui tutto cominciava ad avere un senso e a legarsi. Naturalmente per portare avanti le nostre idee avevamo bisogno di finanziamenti. In prima battuta ci autofinanziavamo mentre in seguito ci siamo accorti della presenza delle istituzioni preposte anche al sostegno del volontariato. Abbiamo così cominciato a lavorare nell’ottica istituzionale. Conseguentemente, nel tempo, sono arrivati anche gli incarichi istituzionali, tra i quali la rappresentanza della provincia di Trieste nel Comitato regionale del volontariato. Prima di ottenere incarichi di rappresentanza, la mia associazione è sempre stata lontana dagli organismi istituzionali (Comitato regionale, Comitato di gestione e Centro servizi del volontariato). Era autonoma. Aveva un suo pensiero autonomo, che sta alla base di qualsiasi principio democratico”.
Che cosa intende dire?
“Voglio dire che nasce prima il volontariato e dopo la sua istituzionalizzazione. La scatola è ad opera di altri, pure volontari. Quest’ultimi avevano un pensiero di autonomia che poi è diventato desiderio di organizzazione del sistema. Ed è in quel momento che nascono i Centri Servizi ed i vari Comitati. Ed è qui che, secondo me, cade l’asino. Nel processo di cambiamento non sempre rimani legato al discorso di origine e magari nei passaggi successivi puoi perderti o muoverti in altri sensi. Con il Comitato regionale si è sentita l’esigenza di dare dei punti di riferimento al mondo del volontariato”.
Il Comitato regionale ha raggiunto il suo obiettivo?
“Credo che certi obiettivi siano stati raggiunti parzialmente. La causa risiede nei diversi punti di riferimento che ad ogni cambio di Giunta regionale i governatori desideravano dare al volontariato. Infatti è il governatore del Friuli Venezia Giulia che delega l’assessore a presiedere per suo conto l’organismo istituzionale del no profit. I volontari contano in parte, non sono un peso di stravolgimento totale. Inoltre, e mi assumo la responsabilità di ciò che sto per dire, non ho visto la coesione tra volontari. Su scelte importanti non c’è stata unitarietà di proposta per una questione di pensiero autonomo, per motivi campanilistici e per motivi egoistici. È molto umano che qualche sentimento prevalga, come il campanilismo, però tutto deve rientrare in una logica di crescita globale”.
Secondo lei c’è coordinamento tra Comitato regionale, Comitato di gestione e CSV?
“In questo mandato ci siamo incontrati parecchie volte ed anche l’assessore ha promosso molti incontri. In passato mi risulta che ciò non sia successo. Ci siamo incontrati con tutti gli altri membri eletti di tutti i Comitati che rappresentano il volontariato. Produrre risultati concreti è però difficile perché, ad esempio, noi volontari ci troviamo ad operare nei rispettivi Comitati con dei mandati diversi. Faccio un esempio: i membri del Comitato di gestione si rinnovano ogni due anni mentre quelli del Comitato regionale ogni tre. Succede quindi che parliamo per un biennio con un rappresentante volontario e l’ultimo anno di Comitato regionale ci troviamo a parlare con un altro rappresentante del Comitato di gestione il quale, a sua volta, per un anno parla con noi e per quello successivo con altre persone che ci subentrano nel Comitato regionale. Diventa certamente difficoltoso rapportarsi in questo modo. Il presidente del Comitato di gestione ha proposto all’assessore, presidente del Comitato regionale, di far diventare il Co.Ge. un organismo politico oltre che tecnico e di portare a tre il numero degli anni per mandato uniformando così le scadenze dei vari organi rappresentativi del volontariato regionale. La proposta è però decaduta”.
Da tempo si parla di modificare la Legge 12/95. Perché si temporeggia?
“Perché è una macchina da guerra. Difficile e complessa. Nonostante ciò, i volontari presenti nel Comitato regionale si sono battuti per accelerare il cambiamento. Ma non è servito”.
Di chi è la responsabilità?
“Dell’organismo politico. Tutti i suoi membri hanno ritenuto di aspettare un momento per vedere quello che succedeva a livello nazionale anche se noi volontari eravamo pronti a lavorare fin da subito. L’assessore ci ha assicurato che a breve inizieranno i lavori di confronto”.
In che misura i contributi pubblici hanno falsato l’opera del volontariato?
“Credo bisognerebbe chiedersi in quale maniera potrebbero continuare a fare volontariato le organizzazioni senza un minimo di aiuto istituzionale”.
Se i contributi non ci fossero più, quante associazioni “chiuderebbero” il giorno dopo?
“Quelle associazioni che magari hanno un’altra finalità, quelle dove il pensiero principale all’origine era un altro”.
Quale dovrebbe essere l’identikit del futuro candidato al Comitato regionale?
“È difficile tracciare un identikit del candidato ideale. Ciò che a mio parere si dovrebbe fare è scegliere la persona per tempo. Un unico nome, stabilito magari con il sistema delle primarie, che successivamente possa essere preparato, formato e debitamente sostenuto. Un candidato che sia capace di presentare un programma per fronteggiare le criticità ed in grado di sostenerlo una volta eletto”.
Gli attuali rappresentanti eletti quindi non vanno bene?
“Si può fare di meglio. Dovremmo essere tutti sempre pronti a fare un passo indietro e individuare quali errori sono stati commessi in passato per non correre il rischio di ripeterli in futuro”.
Pierpaolo Gregori