Il volontariato cambia i propri rappresentanti: barra a dritta, avanti tutta!
Sono state tre le donne elette ai vertici del volontariato del Friuli Venezia Giulia nello scorso mese di giugno. Tutte e tre in rappresentanza della provincia di Trieste: Tiziana Benedetti, Domiziana Avanzini e Alda Paoletti. Il capoluogo giuliano a sorpresa spiazza le province di Udine, Pordenone e Gorizia che portano a casa, rispettivamente, solo un rappresentante. Non era mai successo che Trieste riuscisse a far eleggere tre persone nel Comitato regionale del volontariato, l’organo di indirizzo politico e strategico del no profit autoctono, ma soprattutto non era mai successo nella storia del volontariato regionale che qualche provincia facesse l’en plein dei posti disponibili. Triesta dà un segnale forte: vuole cambiare pagina e i nomi delle elette lo dimostrano. I sette rappresentanti eletti dalle associazioni di volontariato si uniranno ora agli altri otto membri che rappresentano gli enti pubblici per costituire il nuovo Comitato regionale del volontariato.
Ma torniamo a Trieste. Il clamoroso e sperato risultato non è però figlio della fortuna, come qualcuno vorrebbe far credere. Se portassimo le lancette del tempo a tredici mesi orsono, infatti, ci accorgeremmo che la città con la più bella piazza d’Europa affacciata sul mare fu allora spazzata, in un’anonima giornata di giugno, da un forte refolo di bora che portò al Comitato di Gestione, cassaforte del volontariato regionale, un giovane triestino (volto nuovo per gli addetti ai lavori) capace di raccogliere il maggior numero di consensi a livello regionale ed il più ampio consenso locale.
Da allora i refoli iniziarono a diminuire di intensità e forza lasciando spazio a gradevoli brezze tipicamente estive che hanno cullato dolcemente Trieste fino all’elezione, avvenuta poco più di un mese fa, di un altro giovane giuliano al Centro Servizi del Volontariato, anch’egli volto nuovo del no profit locale, in grado di contabilizzare il maggior numero di voti a livello regionale e portare a votare nell’assemblea di Palmanova il maggior numero di associazioni rispetto a quelle delle altre province del Friuli Venezia Giulia. Con il risultato del 19 giugno scorso (X Assemblea regionale delle organizzazioni di volontariato) Trieste conclude un ciclo e ne apre uno nuovo in grande stile, anche questa volta con il maggior numero di eletti e il maggior numero di associazioni chiamate a raccolta per esprimere le loro preferenze.
In un cielo che negli ultimi tre anni le associazioni di volontariato triestine hanno visto progressivamente chiudersi, divenire plumbeo e minaccioso di tempesta, si intravedono le prime schiarite e i primi raggi di sole. Ciò che è successo nell’ultimo anno induce, però, a diverse riflessioni e merita alcune attente valutazioni anche, e soprattutto, perché il volontariato non è qualcosa di astratto bensì una fetta rilevante di società rappresentata da migliaia di persone con le loro ansie, le loro paure, le loro speranze. Ma anche con specifiche esigenze. Una fittissima rete di buone e alle volte anche discutibili relazioni che ben si possono replicare nelle dinamiche relazionali tipiche del mondo dell’impresa, della politica e della società nell’accezione più ampia del termine. Ecco perché diventa interessante analizzare ciò che è successo nel mondo dell’associazionismo giuliano, alla luce, ad esempio, di un consenso sempre crescente su un progetto di cambiamento presentato nel 2009 da un neoiniziato giovane volontario triestino entrato a far parte della grande famiglia del Volontariato locale appena l’anno prima.
Ma quali erano le caratteristiche di quel progetto? Al di là di disquisizioni su capacità e competenze degli estensori e promotori del progetto che potrebbero benissimo appartenere a chiunque, la peculiarità della proposta presentata alle associazioni giuliane fondava su due ovvietà: dialogo e conoscenza. Sostantivi che portano in dote automaticamente rispetto e condivisione. Se molte persone si sono raccolte attorno a queste ovvietà si può dedurre che tanto ovvi e normali questi concetti non lo erano. Ciò che preoccupa è che la loro mancanza si ritrovi proprio nell’ambito del volontariato dove questi valori dovrebbero essere fondanti e trainanti l’azione del no profit.
Un altro elemento, da considerarsi accessorio a quelli appena enunciati, è il ricambio generazionale. Altra ovvietà. Se non si dà spazio ai giovani, consentendo loro di fare esperienza anche istituzionale, non si può pretendere alcun tipo di cambiamento né tanto meno di continuità. Se chi ha i capelli bianchi non lavora per costruire il futuro (in questo caso rappresentato dalle nuove generazioni), non si meravigli della deriva che ha preso il volontariato e del dubbio destino che gli può essere riservato. Il nuovo non è sinonimo di tragedia bensì di speranza. E poiché volontariato significa anche sostenere l’altro, aiutare i giovani diventa volontariato. Chi ha percepito questo nel progetto di cambiamento si è arricchito poiché ha donato la sua esperienza senza pretendere nulla in cambio. Chi ha interpretato la volontà di cambiamento come usurpazione di potere, ora è solo con se stesso.
La prima parte del programma di quel progetto è stata realizzata. La seconda deve essere ancora scritta. Ce solo una certezza: non c’è mai stata la volontà di lasciare indietro nessuno.