Ricerca di base: come avviene il moro delle cellule
Nanotecnologie e motilità cellulare: non è un’espressione blasfema ma uno dei numerosissimi ambiti in cui il mondo della ricerca si sta adoperando ormai da anni. Le applicazioni della scienza nella medicina auspicate per il futuro danno forma a panorami visionari, come nanorobot telecomandati dalle dimensioni microscopiche capaci di risalire le nostre arterie per disostruirle o di raggiungere qualche parte dell’organismo per attaccare e distruggere eventuali cellule tumorali senza operazioni a cielo aperto o significativamente invasive.
E la motilità cellulare è proprio l’ambito che ha permesso ad Antonio De Simone, ricercatore della Sissa di Trieste, di vincere la settima edizione del Prix de la Recherche, premio conferito annualmente dalla rivista francese di divulgazione scientifica “La Recherche” per attività di ricerca multidisciplinare. Oggetto della ricerca che gli ha consentito di ottenere il riconoscimento, la trasposizione in termini matematici degli elementi fondamentali della fluidodinamica biologica. Per capire meglio di cosa si tratta lo abbiamo intervistato.
All’interno di quale contesto si colloca la sua ricerca?
“Si tratta di una ricerca accademica realizzata da un’équipe italo-francese. Assieme a me infatti è stata premiato pure il collega francese François Alouges, del Centro di matematica applicata dell’École polytechnique di Palaiseau. Il tema, quello della motilità cellulare, l’abbiamo scelto noi per vari motivi. Prima di tutto perché è un argomento giovane: capire come si muovono le singole cellule e i microrganismi monocellulari nei vari contesti, fluidi compresi, è un’attività che non ha più di trent’anni. Quello di cui ci siamo occupati noi, invece, e cioè come avviene il moto delle cellule dal punto di vista tecnico, è un ramo della ricerca che non ha più di cinque anni”.
Va detto inoltre che la vostra è stata una ricerca di tipo matematico-teorico, basata su algoritmi.
“La parte interessante della nostra ricerca è stata proprio quella di partire dalla teoria e dall’osservazione delle situazioni già presenti in natura (spermatozoi, batteri, alghe e altro ancora) per trasporre in termini matematici le leggi che regolano la locomozione di questi microrganismi. Il risultato è stato ottenuto incrociando le discipline più disparate, e quindi dalla matematica applicata alla meccanica dei fluidi, dall’informatica alla robotica. Per gli organismi microscopici ad esempio nuotare è un’impresa decisamente difficile, dove i fattori di inerzia e dello spostamento dell’acqua lasciano il posto ad altri elementi quali le resistenze viscose dei liquidi circostanti”.
Quale l’utilità pratica di questa ricerca?
“Le simulazioni numeriche consentono di capire come controllare posizione e orientazione di possibili nanorobot da utilizzare nella microchirurgia, e quindi come questi possano essere manovrati con il minimo consumo energetico possibile. Parlo di robot capaci di muoversi all’interno del corpo umano trasportando telecamere miniaturizzate, rilasciare farmaci, disostruire le arterie e altro ancora, con interventi sempre meno invasivi, ma sempre più efficaci. Senza dover pensare per forza alle nanotecnologie, i risultati di tali ricerche possono avere anche risvolti più semplici, ma non per questo meno importanti. Comprendere come si muovono le cellule tumorali, ad esempio, può aiutare a trovare qualche efficace rimedio per contrastarne l’accrescimento. Ecco perché ottenere dei risultati positivi e concreti anche dal solo punto di vista algebrico non può che essere soddisfacente”.
Ed è possibile, tenuto conto delle tecnologie attualmente a disposizione, passare dagli algoritmi alla realtà?
“È difficile da dire in questo momento. Quelli che noi abbiamo portato avanti finora sono studi di pensiero. Passare dalla teoria alla pratica è la sfida del futuro. Anche se al momento, credo, per quanto riguarda i nanorobot ci sarà da aspettare ancora un po’ di tempo”.
I temi e i risultati sono molto importanti per il mondo scientifico. Tuttavia, seppur idealmente vengono portati avanti con idee a scopo benefico, cadendo nelle mani sbagliate gli stessi potrebbero comportare ricadute pericolose, drasticamente parlando penso a potenziali guerre batteriologiche di nuova generazione… Come si pone la scienza di fronte a questi quesiti?
“Fortunatamente le cose sono talmente lontane che non ci si è posti tale problema. Siamo ancora a una fase di ricerca di base (cioè basata per acquisire nuova conoscenza su fenomeni fondamentali, senza la previsione di una sua particolare applicazione, ndr). Ricerca che deve ancora essere capita. Quello che piuttosto secondo me è importante sottolineare è che i risultati che abbiamo raggiunto testimoniano come la ricerca di base non debba essere sempre asservita all’impresa e quindi legata alla necessità di rispondere a una domanda. Anzi: spesso accade che le migliori idee sono proprio il risultato dell’incontro tra ricerca di base libera e una domanda emersa in un momento successivo. Da qui l’importanza che la ricerca continui ad essere sostenuta anche dallo Stato”.
Un italiano che viene premiato in Francia. Perché in Francia sì e in Italia no?
“In Francia c’è più interesse nei confronti della ricerca. È un settore nel quale il Paese investe molto anche attraverso importanti finanziamenti, creando così un circuito positivo dove le stesse aziende investono molto e dove, di conseguenza, vengono predisposte maggiori garanzie anche nei confronti dei ricercatori. Questi ultimi possono infatti contare su tempi certi di carriera e su una certa sicurezza economica. In tutto questo, un ruolo importante viene affidato anche alla divulgazione scientifica verso il largo pubblico, sulla quale, per l’appunto, la Francia sta investendo molto. Cosa, questa, che l’Italia sta iniziando a fare solo ora”.
Corinna Opara