Day Surgery: i vantaggi della chirurgia in un giorno
I Paesi ad economia avanzata, indipendentemente dall’orientamento pubblico o privatistico dei sistemi in essi prevalenti, da molti anni hanno sviluppato politiche e interventi sanitari orientati a determinare un progressivo trasferimento di prestazioni dall’assistenza ospedaliera a quella extraospedaliera territoriale e domiciliare. Tale fenomeno è stato possibile grazie agli straordinari progressi ottenuti in campo medico, chirurgico ed anestesiologico, che hanno consentito di trasferire molte prestazioni, tradizionalmente erogate in regime di ricovero ospedaliero continuativo, a modelli assistenziali a minore intensività quali il day surgery, il day hospital e l’assistenza ambulatoriale, a parità di efficacia e sicurezza.
Va sottolineato che le motivazioni che hanno promosso la deospedalizzazione, pur essendo prevalentemente di sostenibilità economica, possono contribuire ad attenuare la tendenza all’istituzionalizzazione dei soggetti cronici, a ridurre le liste d’attesa ed a sperimentare nuovi modelli assistenziali spostati verso il segmento delle cure primarie, che sembrano non solo più efficienti ma anche più adeguati per efficacia e appropriatezza. Del resto nei sistemi sanitari soprattutto pubblici e solidalistici, che dispongono di risorse limitate, è assolutamente indispensabile realizzare interventi efficaci in termini di promozione e tutela della salute, realizzando, al tempo stesso, la migliore efficienza possibile delle strutture deputate all’erogazione di prestazioni e servizi.
Nel nostro Paese un forte impulso di promozione dell’appropriatezza organizzativa relativamente ai ricoveri ospedalieri, è stato dato dal D.P.C.M. del 29-11-2001 “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”, che ha stabilito una lista di 43 DRG (Diagnosis Related Group) per i quali si è valutato potenzialmente inappropriato il ricorso al ricovero ospedaliero, soprattutto se effettuato in regime ordinario continuativo. I DRG sono una “categoria di pazienti ospedalieri definita in modo che essi presentino caratteristiche cliniche analoghe e richiedano per il loro trattamento volumi omogenei di risorse ospedaliere”. Per assegnare ciascun paziente ad uno specifico DRG sono necessarie le seguenti informazioni: la diagnosi principale di dimissione, tutte le diagnosi secondarie, tutti gli interventi chirurgici e le principali procedure diagnostiche e terapeutiche, l’età, il sesso e la modalità di dimissione.
Facendo riferimento a questa casistica le Regioni italiane, in modo non omogeneo fra loro, avrebbero individuato, a parità di efficacia, modalità assistenziali alternative di minore complessità organizzativa quali il day surgery, il day hospital o l’assistenza ambulatoriale. Il day surgery, in particolare, è un modello organizzativo moderno (basato sull’ottica imprenditoriale più che assistenziale) che prevede la possibilità di effettuare interventi in procedure diagnostiche o terapeutiche con il ricovero e la dimissione del paziente in una sola giornata. Questo argomento è stato al centro dell’incontro per il decennale del Centro “Zudecche Day Surgery”, tenutosi a Trieste lo scorso ottobre. “Introdotta in Italia – ha ricordato il presidente e direttore sanitario del Centro Augusto Grube – nei primi anni ’90, la chirurgia in un giorno nel Friuli Venezia Giulia, a livello privato, è stata praticata per la prima volta nel 2000 proprio con l’inaugurazione delle “Zudecche Day Surgery” di Trieste”.
Giorgio Celli, segretario nazionale dell’Aiudaps (Associazione italiana delle Unità dedicate autonome private di day surgery e dei Centri di chirurgia ambulatoriale), ha illustrato lo stato dell’arte del day surgery in Italia: “La sua introduzione, davvero recente, è stata possibile grazie alla grande evoluzione delle tecniche chirurgiche ed anestesiologiche degli ultimi anni. Una prima vera regolamentazione di questo modello organizzativo in Italia è del 2002 e la normativa tuttora non prevede specifici obblighi di riorganizzazione del sistema pubblico per promuovere il day surgery. Ciò ne ha dunque fortemente condizionato lo sviluppo, che dovrebbe essere maggiore. Nonostante questo il trend degli ultimi anni mostra una buona crescita”.
Dall’incontro è poi emerso che in Italia il 50% di tutti gli interventi potrebbe essere effettuato in day surgery. Nel 2009 si è arrivati a un valore nazionale medio pari al 34,2%, con zone virtuose, come la provincia di Trento, che sfiorano addirittura il 55%. Il Friuli Venezia Giulia come il Veneto si attesta attorno al 33%: un valore di tutto rispetto se si considera che non vi è stata una vera riorganizzazione generale. In Italia, infatti, il day surgery viene effettuato per la maggior parte dei casi all’interno degli ospedali in reparti tradizionali, in cui alcuni posti letto sono riservati alla “chirurgia in un giorno”. Ciò significa che il personale medico, infermieristico e amministrativo che si occupa degli interventi effettuati in questo regime è lo stesso che segue tutti gli altri procedimenti. E questo fatto comporta uno sviluppo più lento del ricorso a questo metodo. La soluzione migliore, secondo il Sicads, un’associazione trasversale che comprende chirurghi, anestesisti, direttori di Centri pubblici e privati, è quella di realizzare Unità multidisciplinari di day surgery all’interno di un ospedale o sul territorio, che abbiano un’organizzazione dedicata, propri posti letto e personale medico, infermieristico e amministrativo autonomo, e che si dedichino agli interventi di bassa complessità per i quali sono più efficaci ed efficienti rispetto ai ricoveri tradizionali. Come dimostra l’esperienza di Genova, ciò porterebbe a un risparmio fino al 30% della spesa ospedaliera e questa somma potrebbe essere reinvestita nei reparti chirurgici a media e alta complessità.
Il Day Surgery non deve essere visto solo come un approccio per ridurre la spesa sanitaria. I vantaggi per il paziente sembrano infatti essere molteplici: si offre un percorso assistenziale organizzato su misura, si rispettano i tempi e si risponde al meglio alle esigenze anche dei portatori di disabilità. Ciò comporta una diminuzione dei disagi e dello stress emotivo conseguenti al ricovero di pazienti e familiari. Inoltre la degenza limitata a poche ore riduce al minimo la possibilità di contrarre infezioni ospedaliere, che ogni anno in Italia colpiscono 500.000 persone a seguito di interventi tradizionali.
Nonostante che in Italia la “chirurgia in un giorno” privata sia una nicchia, i suoi numeri sono in crescita. “Nei dieci anni delle “Zudecche Day Surgery” – ha sottolineato Augusto Grube – sono stati assistiti circa 7.000 pazienti, praticati interventi di chirurgia generale, urologica, oculistica, otorinolaringoiatrica, plastica (sia ricostruttiva che estetica), ortopedica e ginecologica”. “I vantaggi per i medici – ha aggiunto – sono una più rapida conduzione della terapia operatoria, che non è appesantita dalle pratiche burocratiche e organizzative dell’ambito ospedaliero, ed un maggior supporto organizzativo all’équipe operatoria. L’ottimizzazione dei costi si ottiene con alta qualità, soddisfazione del paziente, procedure a prezzo controllato, favore di politiche governative. Per il paziente che ritiene di perdere contatto con la realtà ospedaliera, l’introduzione ad esempio del controllo del paziente tramite la telemedicina e il telecontrollo postoperatorio domiciliare con telefonia mobile, porterebbe indubbiamente a grossi vantaggi”.
Vi sarà la diffusione di questo modello internazionale nella nostra sanità pubblica? Con il concorso dei pazienti ed un adeguato controllo post-operatorio, nel rispetto di spazi e tempi, dovrebbe potersi realizzare la deospedalizzazione, con un supporto politico abbinato ad un incentivo economico e governativo.
Ignazia Zanzi