Occupazione femminile: la tenuta è ancora precaria
Rimane sempre alta l’attenzione sull’andamento dell’occupazione femminile e sulle politiche di conciliazione in Friuli Venezia Giulia, perché la rotta da seguire rimane sempre sullo stesso obiettivo: raggiungere la parità e la crescita dell’occupazione femminile. “Presentare il rapporto sul lavoro femminile e le politiche di conciliazione – ha dichiarato Angela Brandi, assessore al Lavoro, Università, Ricerca con delega alle Pari opportunità e Politiche giovanili della Regione F.V.G. – rappresenta l’occasione per consentire di soffermarci sulle misure attuate dall’Amministrazione regionale per fronteggiare l’evoluzione della crisi generale, verificarne l’efficacia ma anche per iniziare a guardare avanti verso la fase di ripresa”.
L’occasione per presentare il Rapporto 2009 su questo tema a cura dell’Agenzia regionale del Lavoro, è stato il convegno omonimo che si è tenuto recentemente a Trieste. Dalla presentazione di Domenico Tranquilli, direttore dell’Agenzia suddetta, si potevano già percepire i punti fondamentali: “La Regione Friuli Venezia Giulia ha visto manifestarsi nel corso del 2008 la crisi e l’impatto è arrivato soprattutto nel reparto manifatturiero. Nel corso della prima parte del 2010 l’occupazione pare destinata inevitabilmente a diminuire ulteriormente per poi stabilizzarsi nella seconda parte dell’anno, mentre per il 2011 e il 2012 è prevista una progressiva fase di ripresa”.
A partire dalla seconda metà del 2008 anche il Friuli Venezia Giulia è stato progressivamente interessato dall’evolversi di una recessione economica che è andata colpendo prima e con maggiore intensità i settori strategici dell’economia regionale, quali il manifatturiero (filiera degli elettrodomestici, occhialerie, produzione di gomma plastica, legno, e ancora il settore metalmeccanico, elettronico, alimentare e tessile) e l’edilizia. La situazione di crisi si è quindi spostata verso il terziario, interessando l’indotto dei servizi alle imprese (logistica, trasporti, ristorazione e pulizia industriale) e aggiungendosi a situazioni che già negli anni precedenti, per effetto dell’ampliamento ad Est dell’Unione europea, erano state coinvolte da ridimensionamento (in particolare gli spedizionieri e il commercio delle aree di confine).
Un’analisi dei dati occupazionali mette in luce per il 2008 e i primi tre trimestri del 2009 una maggiore tenuta dei tassi di partecipazione femminili rispetto a quelli maschili, rendendo evidente il fatto che non vi è stata una fuoriuscita dal lavoro per quell’effetto scoraggiamento che aveva condizionato le crisi degli anni precedenti. Diverse sono le motivazioni: le aspettative femminili sono mutate rispetto alle prospettive lavorative determinate dal generale aumento dei livelli di istruzione. Non vanno sottovalutati i casi in cui il lavoro femminile costituisce la principale o unica fonte di reddito, ad esempio nelle famiglie monogenitoriali, ma anche nei casi in cui in una coppia il partner è stato interessato da una situazione di crisi aziendale, con forte impatto e ricaduta sui livelli di reddito familiare. La “tenuta” dell’occupazione femminile è conseguenza in parte della concentrazione delle donne nel settore terziario (rappresentano infatti il 52,9% degli addetti ai servizi ed il 47,8% nel commercio) e in quello della pubblica amministrazione (qui non ci sono esuberi ma blocco del turn over).
Tuttavia, se i tassi medi di occupazione penalizzano meno le donne degli uomini (il tasso di occupazione nel 2008 era del 55,5%, due decimi in meno rispetto l’anno prima, mentre i maschi, il cui tasso era del 74,8%, perdevano 4 decimi), rimangono marcati i differenziali di genere per età. La forbice è di oltre 18 punti nella fascia 35-44 anni e oltre 22 in quella 45-54 anni e si rende evidente una maggiore presenza di forme contrattuali a termine tra le donne: su 100 dipendenti 15,4 sono a termine mentre fra gli uomini tale quota è del 10,9%, e su 100 lavoratori precari il 53,2% sono donne.
In una fase recessiva non si deve abbassare la guardia perché il mancato rinnovo del contratto determina uno stato di disoccupazione che può diventare di lunga durata o trasformarsi in inattività se la transazione non viene supportata da formazione e dalla possibilità di trovare soluzioni che rendano possibile l’eventuale conciliazione tra i tempi richiesti dal nuovo lavoro con quelli familiari e dei servizi disponibili in loco.
Facendo specifico riferimento al Friuli Venezia Giulia, possono essere importanti interventi sperimentali che promuovano e incentivino le imprese a un maggiore utilizzo di forme flessibili di lavoro, tra cui il part-time, in forma family friendly, reversibile e limitato al tempo necessario per risolvere i problemi contingenti di conciliazione. Da questo punto di vista la scarsa diffusione di queste misure, unitamente a un’informazione ancora poco capillare sulle potenzialità dell’art. 9 della Legge Regionale 53/00 (modificato dall’art. 38 della L.R. 69/2009), richiede per il futuro un forte ruolo di programmazione e coordinamento da parte della Regione nell’attuare gli interventi dedicati previsti dalla normativa.