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Convivenza More Uxorio e Rapporti Patrimoniali

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La convivenza more uxorio rappresenta, al giorno d’oggi, una sempre più diffusa forma di vita insieme alternativa alla famiglia tradizionale, fondata sul matrimonio.

Si tratta, infatti, di un modello familiare caratterizzato – pur in assenza di vincolo giuridico – dalla stabile convivenza e dalla piena comunanza di vita spirituale e materiale (cd. affectio), il quale trova riconoscimento e fondamento nell’art. 2 della Costituzione, volto a tutelare le formazioni sociali idonee a consentire lo sviluppo della personalità umana. Sebbene durante la convivenza i partner usualmente mettano in comune le proprie risorse personali ed economiche in modo non dissimile da quanto avviene per le coppie sposate, la famiglia di fatto, nonostante la rilevanza sociale del fenomeno, è tuttora priva di un’organica disciplina, assimilabile a quella propria della famiglia basata sul matrimonio, sia per quanto riguarda la fase fisiologica che in relazione alla – eventuale – fase patologica del rapporto. Va, altresì, evidenziato che, stante la differenza tra le due forme di unione, non è possibile estendere in via analogica alla convivenza more uxorio, se non nella parte relativa ai figli, il regime e la normativa previsti dal nostro ordinamento per i coniugi, anche se vi sono certamente numerose disposizioni di legge applicabili ai conviventi. Nella fase fisiologica del rapporto, quella cioè caratterizzata dalla prospettiva di crescita del rapporto e dalla partecipazione di ognuna delle parti alla vita dell’altra, in mancanza di veri e propri obblighi di assistenza morale e materiale, non configurabili in mancanza di un vincolo giuridico, gli adempimenti economici dei conviventi si configurano quali obbligazioni naturali. In altre parole, non esiste un obbligo giuridico di adempiere e l’esecuzione è rimessa esclusivamente alla volontà del singolo, che vi ottempera in ragione di un dovere sociale o morale. La caratteristica di tali obbligazioni è la non ripetibilità di quanto spontaneamente corrisposto, in virtù del fatto che tali adempimenti vengono considerati come conseguenti ai doveri morali di assistenza reciproci, comuni in un rapporto affettivo. Quindi, le elargizioni (in denaro o diversamente adempiute) compiute da un soggetto a favore dell’altro non possono essere richieste in restituzione da parte di chi le ha effettuate. Tuttavia, affinché si possa parlare di obbligazioni naturali, le prestazioni economiche devono essere proporzionate al dovere morale di cui costituiscono esecuzione. In relazione alla tematica dei rapporti patrimoniali, va inoltre subito evidenziato che non è applicabile ai conviventi di fatto la disciplina degli artt. 177 e seguenti del Codice civile sulla comunione legale. Pertanto, i beni acquistati durante la convivenza rimangono nella titolarità esclusiva dell’acquirente, eccezion fatta per il caso in cui i partner abbiano deciso di acquistare congiuntamente. In tale ipotesi, rilevante soprattutto quando si tratta di beni immobili, il regime applicabile è quello della comunione ordinaria e non quello, come visto, della comunione legale. Ovviamente, i maggiori problemi sorgono nel momento patologico del rapporto, cioè quando i rapporti affettivi si incrinano e la convivenza viene, conseguentemente, a cessare a seguito di semplice decisione delle parti, non essendo necessario in questo caso l’intervento del giudice. Spesso, in tale ipotesi, i problemi possono riguardare anzitutto richieste restitutorie di quanto corrisposto al convivente durante il rapporto di fatto o richieste di compenso a fronte dell’attività, casalinga ovvero di lavoro, prestata da un partner a favore dell’altro sul presupposto dell’esistenza del rapporto affettivo. Come già rilevato, configurandosi usualmente gli adempimenti tra conviventi quali obbligazioni naturali, tali pretese di ripetibilità non trovano riconoscimento nel nostro ordinamento, in quanto il rapporto di convivenza non genera obblighi di assistenza o di mantenimento. Tuttavia, un costante orientamento della giurisprudenza ritiene che la richiesta di restituzione della prestazione patrimoniale effettuata possa trovare accoglimento nella misura in cui essa non sia adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio ed alle condizioni sociali del soggetto adempiente. In tali casi risulta ben possibile, pertanto, agire per il recupero di quanto corrisposto. La mancanza di una specifica normativa di settore non significa, ad ogni modo, che il nostro ordinamento non presti alcuna tutela al convivente non intestatario dei beni il quale abbia contribuito, attraverso la prestazione di attività o di beni, all’acquisto degli stessi. Infatti, esclusa la possibilità di far valere alcuna pretesa sul piano della titolarità del bene, è sempre possibile ricorrere, ove non sia configurabile l’adempimento di un dovere morale, all’istituto dell’arricchimento senza causa. Ulteriore problema nel momento di crisi del rapporto more uxorio può riguardare la casa adibita ad abitazione familiare. Va subito evidenziato che, normalmente, l’ex convivente non può vantare alcun diritto all’assegnazione dell’immobile nel quale si è svolto il rapporto di fatto, ove questo sia di esclusiva proprietà dell’altro. Tale diritto potrà essere vantato solo nel caso in cui dal rapporto siano nati figli ancora minorenni o, se maggiorenni, non ancora economicamente autonomi. Da ultimo, è bene sottolineare che non sono, normalmente, configurabili obblighi risarcitori in capo al convivente che abbia determinato la fine della relazione. I problemi di natura economica cui la convivenza more uxorio dà origine possono, tuttavia, essere superati dai conviventi mediante la stipula di appositi accordi, i cosiddetti contratti di convivenza, che, sebbene non molto diffusi, permettono di regolamentare i profili patrimoniali (e soltanto quelli, mentre non sono ovviamente ammessi accordi relativi ai profili di carattere personale del rapporto) derivanti dalla vita di coppia, evitando in tal modo conflitti sia durante il ménage quotidiano che al momento della cessazione del rapporto. Paola Nodari, avvocato


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