Siamo nati per amore, siamo nati per amare ( se va tutto bene)
Febbraio è il mese del carnevale, e alla sessuologia interessa poco, ma è anche il mese di San Valentino e degli innamorati e per questo permettetemi di fare alcune riflessioni su uno degli aspetti più curiosi, controversi e contraddittori del genere umano.
Parlo di quella forza sottile, misteriosa e imprevedibile che ci affascina e ci trascina l’uno verso l’altro, ci seduce e ci avvolge, che ci tormenta, che ci sciupa e ci smarrisce. Di quella forza che fende le emozioni e travalica la coscienza senza mai appartenerle, che espande le nostre sensazioni e le scaraventa lontano, che ci riempie di vitalità ed entusiasmo ma che è anche in grado di infliggere brucianti tormenti e cocenti umiliazioni ai nostri sentimenti. Di quella forza ingannevole, equivoca, rischiosa che scardina gli equilibri, apre ferite, abbandona l’anima nelle tenebre. Meglio non essere sfregiati da lei, ammonivano i tragici greci, perché contamina e corrompe.
Eppure nella passione d’amore dev’esserci qualcosa di magico, di fatale, qualcosa di sospeso tra la vita e la morte, tra la paura e il coraggio. Un dialogo infinito, una solitudine aperta dove lo spazio e il tempo dell’amore niente hanno a che fare con il tempo e lo spazio della realtà fenomenologica. L’essere insieme nell’amore è, contemporaneamente, un essere nel mondo ma anche un essere al di fuori, al di sopra del mondo in un vortice invadente che allarga vertiginosamente le frontiere dell’anima.
Amare non è facile, in particolare per una donna. Non è facile riconoscere la sottile linea di confine tra l’amore amato e l’amore soltanto sognato, tra il desiderio e l’esistenza. La ragione appare spesso troppo noiosa, ripetitiva, incolore in confronto al desiderio e si sceglie allora di correr dietro alla fantasia, di immolarsi sull’altare della passione, di affrontare decisioni audaci e brucianti pur di non rinunciare all’assoluto. Pur di mantenere il primato del sogno sulla realtà. Pur di esorcizzare il gelido respiro della sincerità.
L’amore porta con sé un valore di dialogo infinito che si esprime anche quando non ci si vede, non si sta assieme, non ci si parla. Crea un legame che cancella il silenzio, rimuove l’assenza, annulla le distanze. La luce, inesauribile, di un grande amore sopravvive ad ogni evoluzione emozionale, ad ogni metamorfosi dei sentimenti, ad ogni prepotenza della realtà. Nonostante gli sconfinamenti fra memoria e oblio, fra gioie e dolori, fra desideri e rinunce, sulla scia di un senso della vita tracciato dalla consapevolezza della sua friabilità e della sua fugacità. Chi ama si sente più ricco, più energico, conquista inaspettatamente la facoltà di affrontare situazioni rischiose, stabilisce nuove connessioni e si concede originali e sconosciute progettualità.
Ma amare ed essere amati, a volte, porta a scontrarsi con gli ostacoli e con i limiti posti dalle persone che ci circondano. L’impeto, il cambiamento che si genera con l’esperienza amorosa viene spesso vissuto dagli altri come potenzialmente rivoluzionario, rischioso, destabilizzante, in grado di mettere in discussione schemi e assetti relazionali. Un disordine insostenibile che mobilita perciò il divieto costringendo gli amanti a confrontarsi con il senso di colpa e la trasgressione intesa come infrazione alle leggi familiari e sociali, alcune delle quali tese unicamente a controllare e a conservare lo status quo impedendo pericolose fughe individuali e soggettive. Per questo ogni volta che, attraverso i filtri della coscienza e della razionalità, si rifiuta l’esperienza amorosa sia essa declinata sul versante affettivo o su quello sensuale, non si fa altro che assecondare una norma collettiva ormai interiorizzata.
Tale ordine etico e morale, presente in ciascun individuo, nega di vivere liberamente non solo il desiderio ma anche l’immaginario innescato dal desiderio, in conformità ad una proibizione esterna strutturata nella personalità in modo spesso inconsapevole. Per tenerci protetti dai sensi di colpa che sperimentiamo quando ci sorprendiamo a far qualcosa che potrebbe esserci rimproverato, ricorriamo all’osservanza della proibizione, argine e riparo alla prepotenza del desiderio. Eppure è proprio il desiderio che plasma e alimenta la capacità di aggredire l’esistenza in modo nuovo, creativo, che allarga l’orizzonte a nuovi valori e nuove logiche.
Quando si fa qualcosa che non si dovrebbe fare, quindi, ci si allontana dalla via principale per aprirsi un percorso personale ed è proprio allora che ci si rende consapevoli e si diviene titolari della propria esistenza. Si lascia la strada sicura che indica la direzione da seguire per entrare in un territorio privo di segnali, lungo un percorso tracciato da soli. In quel contesto si sente realmente che si sta vivendo in pieno e profondo contatto con se stessi, assumendosi la responsabilità dell’orientamento anche se il più delle volte la consapevolezza passa attraverso l’inquietudine e l’angoscia di perdersi.
Oltre un secolo di psicanalisi ci ha abituato a pensare che l’amore rappresenti solo una forma sublimata di sessualità. Non è del tutto corretto. Il desiderio sessuale si presenta sotto forma di pulsione, come la fame, la sete, il sonno, come la collera. Soddisfatto si quieta, si dissolve. L’amore invece è uno stato permanente della mente e quanto più è appagato tanto più si rinforza. Anche attraverso l’influenza provocatoria della paura. Già Platone ragionava di Eros come conoscenza e Nietzsche sottolineava che nell’amore è soprattutto la paura che fa maturare e migliorare. L’amore suscita l’apprensione, perché ciò che l’altro raffigura va incessantemente intuito, compreso e decifrato. Ecco perché l’individuo sperimenta se stesso quando riesce a trasgredire. Se è prigioniero di un divieto e riesce a superarlo si mette in discussione e in quel momento può avere la percezione di essere realmente vivo. Quando si affievolisce la capacità di essere attivati nel proprio immaginario si indebolisce anche la nostra vitalità. È una condizione che dovrebbe provocare più sgomento di quello che suscita l’avventura di svelare l’altro con tutte le paure e le trepidazioni ad essa connesse.
Una ultima riflessione sugli amori, quelli incompiuti, prima di concludere… Sì, perché gli amori che non si sono realizzati, ahimè, durano per tutta la vita. Fatalmente ciò che non ha il tempo o il modo di succedere, anche potendolo fare, ci si ferma dentro, indelebile, impresso dalla propria potenzialità di essere. Con il suo segreto, con la sua ambiguità, con tutto quello di eventualmente bello che ci poteva capitare e, contemporaneamente, con tutto quello di eventualmente brutto che si sarebbe potuto verificare. I fatti che non sono avvenuti avrebbero potuto farci crescere, modificarci, stimolarci, indicarci una prospettiva diversa, una diversa maniera di pensare, un diverso modo di amare. Avrebbero potuto spianarci la strada o crearci ostacoli insormontabili, farci soffrire ma anche tranquillizzarci e rasserenarci. Certo, avrebbero potuto, ma l’uso del dubitativo li imprigiona nella virtualità di un mondo parallelo, esclusivamente mentale, spesso intriso di una nostalgia profonda, opaca e incombente. Li arresta al di qua di una sottile linea di confine alla quale si avvicinano per poi allontanarsene frettolosamente come ombre trascinate lontano dalla luce del sole, inseguite da un silenzio irreale e assorto. Eppure incidono molto più di quanto siamo disposti a credere.
La nostra esistenza è stabilita e tratteggiata in egual misura dalla realtà di quanto è accaduto ma anche dal rimpianto di ciò che ci è sfuggito e ognuno di noi è la risultante del confronto tra quel che gli è successo, quel che avrebbe potuto accadergli e quel che non gli è mai capitato. Perché ciascuno tiene dentro di sé uno spazio per i ricordi del passato, per i vissuti del presente e per l’attesa del futuro ma anche per le occasioni che non sono state presenti, che non hanno potuto diventare passato, che non saranno mai futuro. Buon San Valentino…
dott. Filippo Nicolini
Gli uomini imperfetti attirano di più
Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace, recita un vecchio adagio che richiama l’attenzione su come spesso a suscitare attrazione siano proprio le imperfezioni. Ora il dato è confermato anche a livello scientifico. Secondo i ricercatori dell’Università di Newcastle, le donne sono attratte da uomini con “imperfezioni” nel Dna.
In uno studio pubblicato sulla rivista Heredity, parente editoriale della più celebrata Nature, gli scienziati britannici affermano che il segreto della variabilità genetica degli esseri umani risiede nel fatto che le donne preferiscono maschi con mutazioni del genoma che assicurano maggiore protezione da virus e batteri. Alcune mutazioni del genoma possono infatti riguardare il cosiddetto “kit di riparazione” del Dna: i soggetti che hanno il kit compromesso hanno maggiori diversificazioni nel loro Dna che non vengono riparate. Il fatto, che di norma è svantaggioso, diventa però positivo se riguarda la parte del genoma che regola la resistenza alle malattie poiché gli uomini con una grande differenziazione genetica proprio in quest’area mostrano anche una serie di caratteristiche fisiche che le donne trovano particolarmente attraenti.
Solo i maschi perdono la testa?
Cari uomini, se in presenza di una bella donna vi capita di balbettare, confondervi, dimenticare cosa stavate facendo o dove stavate andando, consolatevi: non siete i soli. E, per di più, è madre natura che ha programmato gli uomini in maniera da comportarsi in questo modo. Una ricerca pubblicata in Gran Bretagna conferma infatti il vecchio luogo comune secondo cui il maschio, davanti alla bellezza femminile, perde la testa. Ebbene, sembra proprio così: basta un incontro fugace con una donna attraente e il cervello maschile smette di funzionare, perde colpi, non fa più il suo mestiere.
Gli studiosi pensano che la ragione sia questa: quando incontrano una donna che a loro piace, gli uomini usano istintivamente gran parte delle loro funzioni cerebrali, ossia delle risorse cognitive, per fare buona impressione su di lei, insomma per far colpo, e nel cervello rimangono dunque scarse risorse per altre funzioni. La ricerca suggerisce anche che le donne non perdono la testa allo stesso modo, quando incontrano un uomo bello e affascinante: questo perché gli uomini sono programmati dall’evoluzione per pensare a come trasmettere i propri geni, mentre le donne cercano anche altri attributi, come la gentilezza, la sincerità, la stabilità economica.
foto: Alexandra Gorn