Poffabro: uno dei 30 comuni più belli d’Italia
È un venerdì d’inizio autunno, la giornata è splendida. Oggi, né io né i miei amici abbiamo voglia di gente e traffico; scegliamo quindi un itinerario particolarmente tranquillo. Come sempre, non chiedeteci la difficoltà del percorso perché questa è la zona franca dei pigri e del “fai da te”.
Apriamo così la nostra cartina (anche voi dovreste averne almeno una in casa…) e con calma olimpica, sorseggiando un caffè, c’illuminiamo. I nostri occhi sonnacchiosi hanno inciampato in alcuni paesi di collina al limitare del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane. Il primo ad attirare la nostra attenzione è Poffabro, a circa 7 km da Maniago (PN). Che bel nome alla Aldo Fabrizi!
Poco prima di Maniago, provenienti da Udine, prendiamo una strada a destra e dopo pochi chilometri, arrivati ad un bivio, ci dirigiamo verso Poffabro. La collina si apre e case sparse precedono il vecchio borgo, cuore del paese, che già possiamo ammirare alla prima indicazione toponomastica. Lasciamo la nostra utilitaria al parcheggio-piazza del paese, fermandoci ad ammirare le morbide e verdi cime a ventaglio davanti a noi: scaldati dal sole, alcuni paesini appollaiati sui cucuzzoli sembrano sonnecchiare, godendosi gli impazzimenti di questo strano autunno.
Ci piace questo posto. Per ora è deserto. Girovagando troviamo la solita chiesa imponente e, accanto, la sede (chiusa, purtroppo) del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane. In lontananza, però, vediamo un bar e qualche tavolino fuori che dà sul belvedere. “Interessante, ma più tardi”, ci diciamo.
Ci avviamo a passo lento, chiacchierando, fra le tipiche case friulane del borgo. Sono edifici stretti e alti due o tre piani. Le solide pietre danno stabilità alla struttura, mentre sulla facciata rivolta a sud, per l’intera altezza, dominano i generosi ballatoi in legno; dello stesso materiale sono anche i serramenti e le travi del tetto. Nella nostra passeggiata incappiamo in parecchi lavori di ristrutturazione. Prendiamo tutti i sentierini infrattati, ovunque ci siano ciottoli, erba e vasi di fiori. Non incontriamo anima viva e c’è un piacevole silenzio ovattato. Eppure qualcuno ci deve essere perché sentiamo il continuo e monotono girare di una betoniera.
Siamo tutti armati di macchina fotografica, sembriamo dei matti. Cerchiamo di immortalare angoli pittoreschi da riguardare e pascersi nelle grigie giornate invernali. “Sonne tanken” (trad. ‘far rifornimento di sole’) dicono i nostri amici austriaci, quando il fine settimana vanno sulla cima della montagna soleggiata e magari guardano Klagenfurt immersa nelle nuvole del maltempo. In questa sorta di set televisivo seguiamo un’indicazione che ci porta in un cortile dove, però, troviamo solo alcune immagini a testimonianza di una festa estiva di prodotti artigianali e una targa in legno: Associazione Scarpeti (babbucce friulane). Forse per l’ora insolita, forse perché siamo in un giorno feriale, non troviamo nessuno. Pazienza.
All’improvviso, da un angolo, sbuca una signora sulla settantina con la gerla carica in spalla. È energica e veloce. La salutiamo. Subito, quando si gira, le scattiamo delle foto: la tradizione è diventata rappresentazione o racconto; ci pare strano che esista ancora qualcuno che vive il suo quotidiano come anni, decenni fa. Perquisito questo squisito borgo, setacciato ogni antro, ritorniamo alla piazzetta. Sono le 14 e abbiamo fame.
Ma… attenzione, c’è una donna laggiù; si avvicina. È giovane, ha la nostra età o forse meno (noi siamo pigri, ma non vecchi…). Spinge un passeggino. Non ci facciamo sfuggire l’occasione e attacchiamo bottone. Una persona simpatica, ex vicesindaco del paese. Che fortuna! Ci racconta, tra gli strilli impazienti dei suoi bambini, che siamo capitati in uno dei 30 comuni più belli d’Italia. La sfida era tra loro e Andreis, a circa 20-25 km da lì. Ma ce l’avevano fatta. Avevano vinto. “Ora ci sono circa 200 abitanti – dice la donna – ma all’inizio del secolo scorso la popolazione era di ben 2.000 persone. Da quando il villaggio è stato dichiarato fra i borghi più belli d’Italia, c’è più vita, molte sono le coppie giovani e c’è turismo giornaliero”. Fra le strette viuzze, infatti, abbiamo notato anche un cortile con un paio di Bed & Breakfast veramente carini. “L’aspetto negativo – continua l’ex vicesindaco – è che questa rinascita ha anche comportato un lievitare dei prezzi degli affitti e delle case”. “Per non parlare del fatto che i turisti – conclude amaramente – ci fotografano con le gerle in schiena… neanche fossimo dei fenomeni da baraccone”. Noi ci scambiamo uno sguardo imbarazzato di sottecchi, alziamo le spalle in segno di eloquente accordo e impotenza (che ipocriti!). Lei, peraltro sempre gentilissima, prima di salutarci ci consiglia di ritornare a visitare il borgo durante le festività, anche quelle natalizie, quando ci sono più servizi e più gente per le strade. Noi, però, continuiamo a pensare di aver fatto bene a venire fuori stagione e in un giorno infrasettimanale.
Dopo un breve consulto sulla destinazione successiva (la giornata per noi pigri non è ancora finita…), il gruppo è indeciso: Frisanco o Andreis? L’irrazionalità ci porta nel luogo più improbabile e lontano: Andreis. Certo, ci diciamo, dobbiamo pur verificare se lo scettro del più bello del reame sia finito in buone mani. Avanti, ragazzi, in sella al bolide.
Imbocchiamo la strada più lunga. Ritorniamo indietro a Maniago, poi ci dirigiamo verso Montereale Valcellina e sempre dritti fino alla meta. Giunti ad Andreis, un mugolio di disappunto pervade la compagnia. È un paesino normale! È carino, sì, con le sue caratteristiche case friulane ristrutturate già da qualche anno. Siamo comunque un po’ delusi. Non è un luogo raccolto, anche se il piano su cui è adagiato è dolce e soleggiato. Ci sono alcune persone, anche turisti, per le strade: è insomma un posto conosciuto e a tratti anche sgarruppato. Ripartiamo subito.
Abbiamo calcolato che ci rimangono ancora poco meno di 3 ore di luce e vogliamo sfruttarle appieno. Frisanco, paese finora snobbato dai più, diventa la prossima e ultima tappa. Per raggiungerlo, a 1 km da Poffabro, è necessario ripercorrere un tratto già fatto. Stavolta, però, esploriamo la strada alta, la panoramica, quella dai mille tornanti: bellissima, ma da evitare in caso di ghiaccio o maltempo. Con cipiglio grintoso, seguendo le scritte tra un guardrail e l’altro, arriviamo, ormai a pomeriggio inoltrato, a Frisanco. Un paese che ci accoglie con un ristorante e gli ultimi raggi di sole sulle tipiche casette montane ristrutturate. Prima di vagare per il piccolo centro abitato, notiamo, quasi di fronte al ristorante, il “Circolo Operaio”, edificio orrendo anni ’70 in ristrutturazione dove già nel 1995 avevamo goduto di vari e buoni concertini rock.
La giornata si conclude con questi vaghi ricordi musicali e il solito giochino tra di noi: abiteresti in un posto così isolato? Chissà…
Ivana Macor