La contestazione delle multe
Una delle due forme consentite per impugnare un verbale di accertamento di violazione al Codice della Strada, è quella prevista dal D.Lgs. 285/92 prevedente il ricorso al Prefetto. Solo nel 1994, per intervento della Corte Costituzionale, è stata prevista la possibilità alternativa di rivolgere le proprie doglianze in materia all’Ufficio del Giudice di Pace.
Fermo restando la mia convinzione personale secondo la quale solo innanzi l’Ufficio del Giudice di Pace il cittadino automobilista possa usufruire nella sua integralità di un diritto di difesa pieno e speculare a fronte di un’istruttoria esaustiva e tecnicamente ineccepibile, non può passarsi sotto silenzio che rispetto al passato il ricorso al Prefetto rappresenta pur sempre una via alternativa all’iter ordinario, che può evidenziare – a seconda delle convinzioni di ognuno – indubbi vantaggi: esaminiamo quindi questo istituto qual è attualmente dopo numerose “rivisitazioni” da parte del legislatore.
Il ricorso al Prefetto ex art. 203 C.d.S. costituisce un’impugnazione alternativa al ricorso diretto al Giudice di Pace, quest’ultimo ora regolamentato dall’art. 204 bis C.d.S.. Il ricorso al Prefetto, innanzitutto, ha il pregio di poter essere azionato agevolmente dallo stesso interessato con un costo praticamente pari a zero dal punto di vista delle spese (va vergato su carta semplice). L’opportunità di preferire tale mezzo rispetto al menzionato ricorso diretto al Giudice di Pace, va valutata – a mio modesto avviso – anche con riguardo ai motivi di doglianza: ad esempio, nel caso in cui si invochino scriminanti o violazioni procedimentali evidenti (prescrizione dell’illecito; estinzione dell’obbligazione; vizi di notificazione; vizi evidenti dell’accertamento ed errori marchiani o scambi di targa o veicoli). Similmente, può costituire elemento da valutare positivamente l’introduzione del silenzio-accoglimento nel caso di superamento da parte della Prefettura dei termini di legge per pronunciarsi.
Particolare cura va comunque posta da parte del cittadino ricorrente al controllo assiduo presso la Prefettura dello svolgersi tempestivo e rituale delle varie fasi procedimentali: tanto al fine di verificare il rispetto dei termini di legge, quanto in caso di eventuale loro superamento, per un intervento nel procedimento prefettizio (sempre esperibile ai sensi della legge n. 241/1990) che potrebbe condurre ad un’archiviazione già in fase istruttoria, con chiaro risparmio di tempo e di costi dell’azione amministrativa.
Avverso l’eventuale ordinanza-ingiunzione del Prefetto è sempre esperibile comunque il ricorso diretto al Giudice di Pace nei trenta giorni dalla notifica della stessa; avverso l’ordinanza di archiviazione, invece, la giurisprudenza correttamente esclude la proponibilità di impugnazione da parte dell’organo a cui faccia capo il comando accertatore.
In conclusione, non vi è dubbio che, per quanto esposto, l’opzione che il lettore chiede (Prefettura o Giudice di Pace?) non può che rifarsi ad una valutazione complessiva delle priorità che ognuno di noi ha ben presente, e solo in base a quelle decidere, in quanto – ferme restando le mie convinzioni esposte in premessa – le due procedure possono essere considerate equivalenti.
Marcello Giordano, avvocato