L’assegno di mantenimento
Sono in procinto di separarmi. Una volta constatata la crisi del nostro rapporto matrimoniale, sia io che mia moglie siamo stati concordi nel cercare di trovare un accordo consensuale. Purtroppo, la nostra buona volontà si è dimostrata insufficiente per superare lo scoglio della determinazione dell’importo dell’assegno di mantenimento a mia moglie. Necessariamente, pertanto, mi dovrò rivolgere al Tribunale per giungere ad una separazione giudiziale. Mi domando: con quali criteri il Tribunale potrà appurare l’effettiva consistenza della mia situazione patrimoniale per potere, quindi, determinare la corresponsione di un assegno equo? Confesso di essere seriamente preoccupato. (Lettera firmata)
Indubbiamente, allorquando i coniugi decidono di separarsi, i problemi che, di solito, si dimostrano più difficoltosi per una soluzione senza contrasti sono quelli relativi ai figli ed all’assegno di mantenimento.
Il caso prospettato dal signore, pertanto, rientra nella “normalità” e, purtroppo, di un tanto deve necessariamente prendere atto, accettando con serena consapevolezza che il problema prospettato può e deve essere risolto con le più ampie garanzie che il nostro sistema giudiziario garantisce.
In buona sostanza, il signore, allorquando presenterà, tramite ricorso, istanza di separazione al Tribunale, dovrà evidenziare come il problema che lo contrappone alla moglie sia specificatamente quello relativo alla quantificazione di un equo assegno di mantenimento per questa.
A tal proposito, vi è da dire che il Tribunale dispone d’appositi strumenti che sono finalizzati ad individuare con esattezza i redditi ed i patrimoni riferiti al coniuge economicamente più abbiente, e come tale onerato dell’esborso a favore del coniuge più debole (nel caso specifico – desumo – la moglie del signore).
In via principale il Giudice che tratta il ricorso presentato può, preliminarmente, ordinare ai coniugi l’esibizione della loro dichiarazione dei redditi, che normalmente viene considerata un primo punto di riferimento certo (salvo prova contraria) della consistenza patrimoniale dei due. Il Giudice, altresì, può disporre indagini di Polizia Tributaria, che tra l’altro possono eventualmente provare l’incompatibilità fra il tenore di vita accertato e le evidenze risultanti dalla documentazione
fiscale esibita. Non va dimenticato, inoltre, che, qualora fosse ritenuto necessario, il Giudice può disporre di una consulenza tecnica al fine di individuare cespiti reddittuali e patrimoni eventualmente non dichiarati in sede giudiziaria.
Tutti questi elementi, una volta pervenuti al Giudice, permettono a questi di avere un quadro complessivo tale da identificare (certamente non in base ad un calcolo matematico, pressoché improponibile stante l’estrema difficoltà di quantificare una cifra che corrisponda esattamente al contemperamento fra costo della vita e tenore della stessa mantenuto in corso di coniugio) una cifra opportuna.
In materia, il Giudice sicuramente ha un ambito discrezionale che fa riferimento all’equilibrio riferito ad un uomo di buon senso, ma che comunque la Suprema Corte ha più volte ribadito in modo più esatto con copiosa produzione di sentenze che, nel tempo, hanno variato i principi ispiratori, adattando gli stessi al veloce evolversi della vita sociale.
Emblematica in tal senso è la sentenza della Suprema Corte n. 9756/96 dd. 8/11/96, la quale in tema di determinazione di assegno di mantenimento chiarisce che: “Il potere concesso al Tribunale di disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita dei coniugi, valendosi, se del caso, della polizia tributaria (art. 5 comma 8 legge n. 898 del 1970, nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987) è subordinato alla disponibilità delle parti, ossia alla contestazione mossa da un coniuge circa la sufficienza e la veridicità, ai fini della decisione, della documentazione depositata dall’altro coniuge. Ne consegue che l’acquiescenza della parte interessata, che non contesti le risultanze e la completezza di detta documentazione, preclude alla medesima di dedurre in sede d’impugnazione il mancato uso di tali poteri da parte del Tribunale”.
Con tale pronuncia la Suprema Corte ha indicato, quindi, in maniera estremamente precisa, quali siano i termini e le modalità con cui il coniuge “insoddisfatto”, per quanto disposto a suo favore in termini di trattamento economico, possa azionare il suo diritto alla “contestazione” sulla congruità dell’importo erogato.
Concludendo: consiglio senz’altro al signore di demandare – con fiducia – al Tribunale la determinazione dell’importo da erogare alla moglie, fugando ogni timore sulla giustezza ed equità su quanto andrà ad essere statuito, posto che la normativa vigente in materia e l’auspicabile (quanto certo) equilibrio del Giudice non potranno che giungere a contemperare in maniera equilibrata il contrapposto interesse del signore e quello di sua moglie.
avv. Marcello Giordano