
Bullismo: le responsabilità dei genitori
Mio figlio, minorenne, recentemente è stato coinvolto con alcuni suoi compagni in uno spiacevole episodio che ha visto protagonista la scuola da questi frequentata. Mio figlio, infatti, è stato accusato di
aver danneggiato alcuni arredi scolastici assieme con altri due studenti. Le indagini sono ancora in corso e per il momento la questione è trattata all’interno dell’istituto scolastico di appartenenza, ma francamente sono preoccupato in quanto non so a quali conseguenze (civili e/o penali) vado incontro quale genitore. Vorrei dei chiarimenti. (Lettera firmata)
Non passa giorno in cui non si assista sui media a comportamenti dei nostri adolescenti riconducibili al bullismo. Il fenomeno, per altro non nuovo nelle nostre scuole, negli ultimi tempi è stato percepito come un vero allarme del disagio giovanile per l’ampia risonanza che episodi, anche poco significativi, hanno ricevuto dagli organi di stampa. Ci stupiamo per l’assurdità di certi comportamenti e ci chiediamo di chi sia la colpa e quali responsabilità siano da imputare alla cosiddetta società civile. È pur vero però che, nonostante lo stupore di noi adulti, siamo pur sempre noi a doverne rispondere come genitori in termini molto articolati e precisi che vado ad illustrare al nostro lettore.
Il figlio che non abbia ancora compiuto il diciottesimo anno d’età e che sia capace di intendere e di volere, laddove commetta un illecito è responsabile del danno cagionato a terzi ai sensi dell’art. 2043 del Codice civile. In tal caso il danneggiato, limitandosi a provare il fatto illecito commesso dal minore e il danno subito, può agire nei confronti del minore, convenendo in giudizio i genitori dello stesso quali suoi legali rappresentanti, da considerare responsabili oggettivamente, per fatto altrui; si tratta, quindi, di un’ipotesi di responsabilità indiretta.
Il cosiddetto bullismo, nell’accezione che qui interessa, comprende quei comportamenti dei giovanissimi, che possono sostanziarsi in illeciti sia penali che civili, caratterizzati da atteggiamento prevaricatore e vessatorio nei confronti dei coetanei. In Italia non esiste ancora una compiuta disciplina del fenomeno; il tema è stato affrontato dalla Direttiva ministeriale n. 16/2007. Attualmente è possibile tracciare uno schema delle ipotesi di responsabilità che possono profilarsi nei casi di bullismo.
La prima distinzione è operata sulla base della capacità di intendere e di volere: se il minore che ha realizzato la condotta antigiuridica ne è privo, al suo posto risponderanno del danno arrecato alla vittima i soggetti tenuti a sorvegliarlo ex art. 2047 c.c. (principalmente i genitori). Se il minore autore dell’illecito possiede invece la suddetta capacità, ma non anche la capacità d’agire, genitori e tutori saranno civilmente responsabili ex art. 2048 c.c.; è anche ipotizzabile il concorso fra il minore e i genitori ex art. 2055 c.c.; questi ultimi potranno essere esonerati dalla responsabilità anzidetta solo qualora dimostrino di non avere potuto impedire il fatto, ma anzi di avere adeguatamente educato e controllato il figlio, per cui la condotta da questi tenuta si pone totalmente al di fuori dell’attività formativa realizzata nei suoi confronti. La responsabilità è esclusivamente dell’autore del fatto quando questi sia un minore emancipato.
Anche la scuola e i docenti possono essere responsabili per gli atti di bullismo commessi dagli allievi (responsabilità “da contatto sociale qualificato”). La responsabilità del docente è configurabile ai sensi dell’art. 2048, comma 2, c.c., quando l’illecito è commesso dall’allievo durante il tempo in cui è sottoposto alla sua vigilanza; per cui sarà chiamato a rispondere, in linea di principio, quando il fatto si sia verificato mentre egli allontanandosi ha lasciato la classe incustodita; viceversa sarà esonerato da responsabilità solo se dimostrerà di non avere potuto evitare il fatto.
Per quanto concerne i fatti costituenti reato, il minorenne di età superiore a 14 anni è responsabile in prima persona, ma i genitori possono a loro volta rispondere penalmente per il fatto commesso dal figlio, nei casi in cui la commissione dell’illecito sia riconducibile a una carenza del dovere educativo nei confronti dei figli.
La suddetta vigilanza deve, in ogni caso, consentire ai figli di svolgere la loro vita di relazione senza alcun pericolo e in maniera consona alla loro età, personalità e condizione; è un obbligo che varia in base alla maturità e al carattere del soggetto, alle sue abitudini ed attitudini oltre che all’ambiente in cui vive e opera e che, ponendosi in stretta correlazione con l’altro dovere di educazione, restringe i propri contenuti man mano che siano visibili i risultati dell’opera educativa. In sostanza, più il minore dimostra di essere capace di ben inserirsi nella vita di relazione, maggiore è il grado di autodeterminazione e libertà che può essergli concesso: laddove siano ben impostati i suoi rapporti con l’ambito extrafamiliare, non si rende necessaria una costante presenza fisica dei genitori al suo fianco.
Concludendo: nel caso prospettato si è compiuto un illecito penale che vede lo Stato (o chi per esso), quale proprietario e gestore della struttura scolastica, parte offesa, e come tale avente diritto ad un risarcimento in sede civile, che vedrà coinvolti i genitori dei tre minori quali loro legali rappresentanti, minori coinvolti ognuno per la “quota” di responsabilità che l’Autorità inquirente (se sarà aperta un’indagine da parte dell’Autorità giudiziaria) o le Autorità scolastiche (qualora il fatto sia unicamente trattato in via amministrativa-disciplinare interna) riconosceranno loro.
Marcello Giordano, avvocato