L'accettazione tacita di eredità
Un mio zio (fratello di mio padre) recentemente scomparso mi ha nominato suo erede universale. L’entità del patrimonio del defunto mi è nota, al momento, in termini molto vaghi ed imprecisi, ma è anche vero
che, soprattutto per quanto attiene alcuni cespiti immobiliari, vi è la necessità di prendere decisioni immediate per quanto attiene soprattutto la loro manutenzione. Non ho ancora deciso se accettare o meno l’eredità di mio zio e non vorrei che gli atti di intervento che mi vengono richiesti sui cespiti immobiliari, una volta da me attuati, possano essere considerati (così come mi è stato evidenziato da alcuni parenti che si sono trovati a suo tempo nelle mie stesse condizioni) una vera e propria accettazione tacita dell’eredità stessa. Accettazione che potrebbe trovarsi in contrasto con la mia reale volontà una volta valutate tutte le ipotesi economiche e giuridiche di mio subentro nel patrimonio di mio zio. A questo punto mi chiedo: quali comportamenti devo evitare per non incorrere nell’inconveniente lamentato e cioè di essere considerato erede di mio zio a seguito di accettazione tacita? (Lettera firmata)
Per prima cosa il lettore deve sapere che a seguito della volontà espressa dallo zio ha acquisito il diritto di accettare l’eredità dello stesso, ma ciò non presuppone che sia dichiarato immediatamente erede, in quanto l’art. 464 c.c. richiede che tale accettazione debba esternarsi nella forma espressa o tacita.
Relativamente all’accettazione tacita, è opportuno evidenziare al lettore che nella sua posizione attuale di chiamato all’eredità (ma non ancora erede) ben potrebbe non rendersi conto che eventuali atti dallo stesso in buona fede compiuti, con lo scopo di amministrare e/o conservare il patrimonio del defunto, in realtà comportino l’acquisto dello status di erede, atti che lo stesso non avrebbe compiuto se avesse avuto presente le descritte conseguenze.
Sull’argomento l’art. 476 c.c. prevede due requisiti perché si abbia accettazione tacita di eredità. Il primo di questi è rappresentato dall’atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare: deve, quindi, trattarsi di un atto che, secondo la valutazione obiettiva e per sua intrinseca natura, presupponga necessariamente l’acquisto dell’eredità. Non si ricerca se chi lo ha compiuto abbia o meno avuto la volontà di accettare, si ritiene anzi che non abbia valore una contraria volontà o una riserva manifestata nel compiere l’atto. Il secondo requisito, sempre oggettivo, è dato dall’atto che il chiamato “non avrebbe il diritto di fare se non nella sua qualità di erede”.
In linea generale si può affermare che non costituiscano atti di accettazione tacita la consegna dei beni ereditari da parte del soggetto chiamato (il lettore) all’esecutore testamentario, il compimento di atti aventi natura e finalità di gestione temporanea dei beni, la richiesta di provvedimenti conservativi per salvaguardare l’integrità del patrimonio ereditario (sequestro), la proposizione contro soggetti terzi di querela per appropriazione indebita di beni facenti parte del patrimonio ereditario, la cura della registrazione ed eventuale trascrizione del testamento, il pagamento di un debito del defunto che il chiamato compia con denaro proprio.
Al contrario, tra gli atti che comportano accettazione tacita possono ricomprendersi, tra gli altri, l’accettazione di somme di pertinenza ereditaria, la concessione di ipoteca gravante su beni ereditari, la riscossione di un assegno per un credito vantato dal defunto nei confronti di un terzo.
Il concetto di accettazione tacita, tra l’altro, è stato oggetto di ripetute pronunce della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha dato il suo apporto al fine di chiarire in maniera sempre più circoscritta e analitica il concetto di questa.
Interessante ed esaustiva in tal senso la sentenza della Suprema Corte n. 7075/99 che in materia così si pronuncia: “L’accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può essere desunta anche dal comportamento del chiamato, che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o siano concludenti e significativi della volontà di accettare; pertanto l’accettazione tacita dell’eredità può essere desunta dal comportamento complessivo del chiamato all’eredità che ponga in essere non solo atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione di per sé sola inidonea a comprovare l’accettazione tacita, ma anche atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale che rileva non solo dal punto di vista tributario ma anche dal punto civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi”.
Ritenendo auspicabilmente di aver risposto in modo chiaro ed esauriente al quesito postomi, invito il lettore a valutare con la dovuta prudenza ogni suo prossimo comportamento che riguardi il patrimonio ereditario per il quale è chiamato quale erede, in modo da evitare l’inconveniente temuto.
Marcello Giordano, avvocato