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La paura: c’è sempre una via d’uscita

 |  Redazione Sconfini

 

Chi di noi non ha mai avuto paura? Quotidianamente ci troviamo ad affrontare timori ed insicurezze più o meno grandi. C’è chi riesce a superare traumi importanti e chi non è

in grado di affrontare neanche la più piccola difficoltà. Quello della paura è un sentimento senza epoca che in molti casi non si può del tutto risolvere, ma si può di certo modificare e in qualche modo guidare.

 

In questo senso, nell’ambito dell’Azienda Sanitaria n° 2 "Isontina", all’interno del Dipartimento di prevenzione è sorto da qualche anno uno specifico gruppo operativo che accoglie le proposte dei vari Dipartimenti e Servizi per portare all’interno delle scuole diversi progetti di educazione alla salute e alla prevenzione. Una delle proposte del dottor Marco Bertali, psichiatra e psicologo da noi contattato, rivolta alle scuole medie s’intitola: “Comprendere e trasformare le proprie paure”. In due ore e mezzo di lezione all’interno della classe, lo specialista affronta il tema della paura ponendo l’attenzione sul tema fino a portare i bambini ad esprimersi su questa emozione.

 

Come si svolgono gli incontri?

“Dopo una spiegazione iniziale con un’introduzione sul significato della paura, induco i ragazzi a chiedersi quali sono le loro paure e a scriverle su un foglietto. È molto difficile, soprattutto per i maschi, ammettere di avere delle emozioni di questo tipo. Ma nella maggior parte dei casi alla fine riescono ad esprimersi. Poi segue una discussione collettiva durante la quale ognuno illustra alla classe le proprie paure. Dopo esercizi e tecniche di liberazione, rinforzo, rilassamento e riequilibrio, la lezione termina solitamente nel giardino della scuola: i foglietti sui quali sono scritte le paure vengono messi in un piccolo braciere e poi viene dato loro fuoco. A questo punto quel piccolo falò non è più solo un semplice simbolo…”.

 

Quali sono le principali paure dei ragazzi?

“Sono molto varie: dalle più apparentemente banali, come la paura dell’esame di terza media o la paura del dentista, a quelle più problematiche come la paura della morte, della malattia, della separazione, dell’abbandono, del giudizio, della competizione. Ma altciò che ritengo importante sottolineare è che parlando in classe emerge il fatto che alla fin fine tutti provano anche le paure del proprio compagno. Conoscere le paure degli altri è molto utile per riflettere sulle proprie. Ci si rispecchia. È un mondo similare. Nel momento in cui si instaura il discorso emergono subito la condivisione e la solidarietà. È molto importante conoscere le proprie fragilità e debolezze e aprirsi alle paure altrui senza giudicare o ghettizzare”.

 

Qualche episodio?

“Ricordo per esempio una ragazzina con problemi di autismo che è riuscita nel corso della discussione a manifestare la sua paura nei confronti dei maschi della classe. In quel contesto era riuscita ad esprimersi chiaramente davanti a tutti, e proprio grazie al clima di accoglienza che si era venuto a creare, gli stessi maschietti si sono resi conto… al momento del falò la ragazzina era rimasta indietro… sono stati proprio loro a richiamarmi per aspettarla. È stato un momento commovente. Evidentemente avevano capito”.

 

Ultimamente assistiamo a preoccupanti episodi di bullismo, a volte esasperato. Dai palpeggiamenti sull’insegnante agli stupri di gruppo contro una compagna di classe. Possono essere comportamenti che alla radice nascondono qualche paura?

“Certamente. Di fronte ad atteggiamenti di esasperazione, di tendenza al dominio e al sopruso, da una parte può esserci il tentativo di mascherare e coprire un mondo interiore di insicurezza, dall’altra può esserci il ripetere di traumi od esperienze subite in passato. Non è insolito passare dal ruolo di vittima a quello di carnefice… Comunque alle spalle c’è un trauma che non si è riusciti a superare”.

 

Che cos’è la paura?

“È un’emozione, un sentimento, un vissuto che abbiamo tutti quanti e che sperimentiamo quotidianamente dal primo giorno in cui veniamo al mondo. Il primo trauma è proprio quello della nascita: il cambiamento, il passaggio da un mondo all’altro… E inconsapevolmente ce lo portiamo dentro per tutta la vita”.

 

Lei parla di prevenzione, ma non tutte le scuole offrono queste opportunità. Come deve comportarsi un genitore?

“Per quanto possibile deve stimolare il bambino affinché riesca ad esprimere quelle che possono essere esperienze di vissuti negativi come la paura, la sofferenza, la rabbia, la frustrazione. Bisogna saper ascoltare con un atteggiamento non giudicante. Quando un bambino piange, anche se lo fa spesso, non è positivo sgridarlo con forza. Le parole chiave in questo caso sono dolcezza e comprensione”.

 

Una paura non superata da bambino quali conseguenze può avere in età adulta?

“Una fragilità non ascoltata, non accolta e non accompagnata, pian piano negli anni può diventare espressione sintomatica. Un’emozione trattenuta e bloccata può portare a stati d’ansia, angoscia, insonnia, disturbi fobici, crisi di panico, fino ad arrivare in casi estremi anche al delirio e alle allucinazioni, come nelle psicosi schizofreniche”.

 

Quando disagi emozionali collegati al tema della paura non riescono ad essere affrontati in ambito famigliare, cosa consiglia di fare?

“Conviene pensare a dei colloqui psicologici ed eventualmente ad un percorso psicoterapeutico. Ad integrazione è anche opportuno considerare, come già prima dicevo, pratiche di espressività psicocorporea, di rilassamento psicosomatico, di visualizzazione guidata, abbinate allo stimolo di potenzialità intuitive e creative. In questa logica, solo come esempio, si possono svolgere dei cicli respiratori rallentati e cadenzati, delle espirazioni forzate, anche accompagnate dalla parola “via”, come per scacciare l’eccesso di emozione dolorosa. O ancora utilizzare dei brani musicali con tamburi per guidare al radicamento interiore e ad un atteggiamento assertivo, facendo una specie di danza “maori”, oppure una musica che porti alla quiete e al rasserenamento, o infine rimanere fermi, in piedi, ad occhi chiusi, immedesimandosi nella metafora dell’albero, ossia ben piantati a terra, resistenti a venti ed intemperie, ma nel contempo aggettanti verso il cielo, spinti ad evolvere e ad elevarsi. Per ottenere beneficio è importante abbinare queste tecniche al significato simbolico ed energetico che hanno: in tal modo, insieme all’approccio psicoterapeutico, possono indurre in modo incisivo e duraturo anche ad importanti rimodellamenti dei circuiti neurofisiologici cerebrali. In definitiva è opportuno e salutare prendere consapevolezza che dentro di noi c’è sì la paura, che è umana, ma c’è anche una parte che ha le risorse per attraversarla e superarla”.

Silvia Stern

 

 
In collaborazione con Help!

 

 


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