L’amianto? È ancora tutt’intorno a noi
Negli edifici delle nostre città si trova ancora l’amianto?
“Troviamo ancora tutto quello che è stato prodotto fino ai primi anni ’90. Da allora, con la Legge 257 del 27 marzo 1992, l’amianto è stato messo fuori legge, ma nel frattempo la sua presenza è rientrata a 360 gradi nella produzione di una moltitudine di oggetti e materiali usati in ogni campo e settore. Pertanto, gli esposti potenziali alle sue polveri non sono stati solo i marittimi o i meccanici, ma un qualunque cittadino. In Italia, dunque, l’amianto è stato bandito, ma basta andare oltre confine nella vicina Slovenia per poter ancora trovare oggetti fatti di questo materiale. Numerosi Paesi europei, in vari momenti, hanno anche loro bandito l’amianto, ma in altri Stati anche molto vicini al nostro la situazione è ben diversa. Adesso la legislazione europea dovrebbe parificare la normativa estendendola a tutti gli Stati membri, ma non se ne conoscono ancora i tempi e le modalità”.
Quali patologie possono insorgere con l’inalazione delle polveri d’amianto?
“Si va dall’asbestosi al cancro ai polmoni, fino a tutta una serie di complicazioni delle vie respiratorie. In realtà, nell’amianto ci si potrebbe “tuffare” purché non lo si respiri. A questo riguardo, però, le casistiche sono molto varie: gente che per tutta la vita è vissuta in contatto con materiali contenenti amianto, come i pompieri, non hanno avuto nulla, mentre altri che hanno avuto un contatto relativo sono stati soggetti a gravi patologie respiratorie. Una volta, paradossalmente, di asbestosi si ammalavano più le donne che gli uomini perché erano loro che, sbattendo e pulendo gli abiti da lavoro dei mariti minatori (che invece si coprivano il naso e la bocca col fazzoletto), inalavano le polveri nocive. L’area della Venezia Giulia, e non è l’unica, è una zona abbastanza colpita poiché negli anni passati, “grazie” ai cantieri di Trieste e di Monfalcone, si veniva facilmente a contatto con l’amianto. I risultati di quest’esposizione, però, s’iniziano ad avere solo in questi anni poiché la malattia ha un’incubazione di oltre vent’anni e i sintomi si manifestano solo dopo molto tempo”.
Quanti interventi, indicativamente, un’azienda come la vostra fa nell’arco di un mese?
“Operiamo in tutto il Friuli Venezia Giulia, con qualche sortita anche nel Veneto. È difficile dare una risposta precisa. Potremmo quantificarli attorno al centinaio perché, al di là del classico tetto di eternit da levare, il problema inizia lentamente a diffondersi. A volte, ad esempio, sono gli stessi idraulici, trovandosi di fronte ad un tubo di amianto, a chiamarci subito. Ecco quindi che gli interventi possono essere anche due o tre al giorno. I tetti di eternit, di solito, li bonifichiamo di più in Friuli rispetto all’area giuliana per il solo fatto che c’è una percentuale maggiore di capannoni e magazzini. A parte questo fattore, però, soprattutto nella città di Trieste manca la conoscenza approfondita del problema”.
Come mai?
“Diciamo che c’è una sorta di “sensibilizzazione da portafoglio”, nel senso che il privato come prima cosa valuta quanto gli verrebbe a costare un’eventuale bonifica. Il più delle volte, infatti, egli ripiega sulla semplice messa in sicurezza, a meno che non vi sia una situazione tale da imporre, per legge s’intende, un intervento radicale. Poi ovviamente dipende dalle persone: c’è chi vuole maggiore sicurezza e prevede il possibile rischio; e chi invece, pur di non spendere, tiene duro e finché può lascia la situazione così com’è, salvo poi, quando capita l’incidente, preoccuparsi anche eccessivamente dei possibili rischi alla salute. Questo atteggiamento denota superficialità e una cultura decisamente poco sensibile al problema, poco incline alla prevenzione e alla sicurezza”.
Come s’interviene per la “messa in sicurezza” e per la bonifica di un ambiente a rischio?
“I due approcci sono completamente diversi. Per la messa in sicurezza, che non prevede un piano di lavoro ma una semplice comunicazione all’Asl, si usano dei materiali inglobanti o strutture che mettono pareti o tubazioni a rischio in una sorta di isolamento dall’ambiente esterno. Per la bonifica, invece, sia di materiale compatto (eternit) che friabile (tubazioni, coibentazioni), bisogna stilare un piano di lavoro, con precise documentazioni inviate all’Asl per la verifica e la valutazione, che può essere approvato o meno. In questo caso, pertanto, è necessario uno specifico nullaosta scritto dell’Asl. Infine, prima della restituzione definitiva dell’ambiente bonificato, vengono eseguite delle accurate analisi dell’aria per verificare la presenza di eventuali sostanze nocive”.
Claudio Bisiani